8 dicembre a Venaus: C’eravamo… Ci siamo… Ci saremo!

Roberto Mairone

E’ l’8 dicembre del 2005, solo due giorni dopo la notte dei pestaggi. È il giorno della marcia popolare da Susa a Venaus indetta dal Movimento No tav in risposta a quella violenta requisizione, da parte della polizia, dei terreni che erano stati occupati per alcuni giorni, per inaugurare il cantiere del tunnel della linea ferroviaria ad alta velocità fra Torino e Lione.

Siamo tantissimi. Si parla di più di diecimila persone ma qualcuno azzarda, forse a ragione, che siamo in trentamila, o addirittura cinquantamila, chi può dirlo: siamo tantissimi davvero.

Io e Cinzia ci siamo, così come c’eravamo a presidiare in tante gelide notti trascorse sui terreni di Venaus, nei prati dove la terra gelata scricchiolava sotto gli scarponi. Allora avevamo 30 e 26 anni. Entrambi al primo lavoro dopo le lauree. Cinzia era insegnante delle elementari proprio a Venaus, dove da alcuni giorni per raggiungere la scuola doveva esibire ogni mattina i documenti ai check point della polizia, sentendosi apostrofare come “la maestrina di Venaus”. Vivere insieme e avere dei figli erano progetti concreti e desiderati, realizzatisi l’anno successivo e, poi, nel 2008 e nel 2013 con la nascita di Beatrice e di Sofia. L’impegno di garantire loro una valle vivibile è diventato un dovere costante cui attendere sempre, attraverso forme nonviolente di disobbedienza civile.

L’ora precisa non la ricordiamo ma mezzogiorno non è lontano. L’agitazione del momento e il freddo intenso tengono a bada l’appetito. Superato il centro abitato di Susa il messaggio arriva chiaro: la polizia ha caricato, ha colpito Nicoletta Dosio rompendole il naso con una manganellata. Come nel telefono senza fili il messaggio passa di bocca in bocca, si fa strada fra migliaia di manifestanti andando a ritroso, in direzione Susa. Il corteo accelera il passo, si arrabbia, insulta le forze dell’ordine. Dopo gli scontri di Venaus di un paio di giorni prima sappiamo tutti di cosa sono capaci. Io e Cinzia acceleriamo. Se decidessimo di rallentare o di fermarci saremmo travolti.

Come noi, tutto il fiume di donne, uomini, anziani, famiglie intere, ragazzi e bambini accelera la sua corsa. Tutti vogliono vedere cosa succede in località i “Passeggeri”, al bivio per Venaus. Silvano e Bianca sorreggono Nicoletta mentre un rivolo di sangue le esce dal naso e le riempie la bocca; con una bottiglietta di acqua gelida cercano di ripulirla. Intanto qualche metro avanti, dietro grandi scudi di plexiglas che, insieme, compongono la scritta “NO TAV”, ragazzi della Valle e di Torino, insieme ad altri giunti da ogni città d’Italia, fronteggiano i carabinieri e si riparano dalle manganellate. Sparuti fiocchi di neve cadono dal cielo e ottundono i suoni. I colpi dei manganelli sono secchi, battono senza risuonare.

Il corteo si accalca, non ha spazio, si arrampica sul promontorio antistante il bivio dove qualcuno issa una bandiera NoTav. Via via si riprendono le posizioni, una dopo l’altra. Chi si aspettava di rivedere i carabinieri o i poliziotti rabbiosi, “drogati di odio” e con la bava alla bocca della notte tra il 5 e il 6 dicembre, trova di fronte a sé giovani ragazzi spaventati e con lo sguardo inebetito di chi non capisce né gli ordini che riceve né la determinazione di chi ha di fronte. Un po’ discosta Rosalba Frainer, l’eremita della Baume di Oulx scomparsa nel 2022, fronteggia anche lei i carabinieri schierati stringendo nel pugno un crocefisso e una corona del Rosario. Dai suoi occhi sgorga qualche lacrima che lei, con dignità e pudore, asciuga con un fazzoletto.

8 dicembre a Venaus

Mentre scrivo non ricordo se c’è stata una trattativa fra sindaci e forze di polizia. La rabbia porta a galla ricordi e ne affoga altri. Dopo alcuni minuti, che sono sembrati eterni, lo schieramento di carabinieri si apre e il corteo può passare procedendo verso Venaus, là dove vogliamo riprenderci la dignità calpestata e, insieme a questa, i terreni che ci sono stati tolti nel corso di una notte di brutale violenza e di pestaggi della polizia.

Arrivati a Venaus, superata l’area dove il Movimento No tav aveva eretto e difeso la prima barricata, il fiume umano, prima compatto, ora si allarga come l’acqua dolce abbraccia il mare alla fine del suo viaggio. Ognuno percorre la sua strada, tutti verso un obiettivo comune che è quello di strappare le recinzioni del cantiere della CMC e riprenderci Venaus. La rete è divelta e la ri-occupazione dei terreni è partita. A favore degli elicotteri della polizia che, dall’alto, hanno sorvegliato tutto il nostro cammino, i resti della recinzione vengono adagiati sui prati a comporre l’inequivocabile scritta “NO TAV”. Gli operai indietreggiano e si compattano contro quella montagna che avrebbero dovuto perforare. Le forze dell’ordine rispondono scomposte e allarmate all’invasione pacifica e ostinata di famiglie, giovani, anziani. Sparano ed è una pioggia di lacrimogeni.

È la guerra dello Stato dichiarata ai suoi cittadini. È la resistenza dei cittadini al nuovo e violento occupante! Il lancio di lacrimogeni è fitto ma l’area è talmente ampia che i manifestanti non desistono: i valligiani conoscono i venti e si spostano là dove possono meglio respirare. È tardi e qualcuno, in mezzo ai lacrimogeni e alle cariche di alleggerimento di polizia e carabinieri, addenta un panino, chiacchiera e scambia impressioni, si inorgoglisce e si commuove. Dall’altra parte della strada i bambini giocano in mezzo al prato, là dove sorgerà il nuovo presidio. In pochissimo tempo ci riappropriamo dei terreni che erano destinati al futuro cantiere.

Il popolo unito, compatto e determinato suggella la sua vittoria installando un container che simboleggia il presidio che ci è stato tolto e prefigura quello che verrà costruito nei mesi successivi, diventando quel presidio di Venaus che è allo stesso tempo casa e storia del Movimento. La polizia è definitivamente arretrata, probabilmente l’ordine è di non rispondere più all’invasione pacifica dei manifestanti nel grande prato. Ora si susseguono, nei pressi del container, gli interventi al microfono di attiviste, attivisti, portavoce del movimento e sindaci, tutti a ribadire che la Valle non vuole il TAV Torino Lione e che la risposta della giornata è l’unica risposta democratica con cui la politica locale e nazionale deve e dovrà fare i conti.

Da quel momento i tradimenti e la prostituzione degli ideali politici di alcuni amministratori locali e di politici nazionali (Amprino e Ferrentino in primis) sono storia nota, insieme ai picareschi tentativi di circondare di un’aura democratica i tentativi di imporre la realizzazione della linea AV Torino Lione perché irreversibile e conseguenza di una decisione presa dalla maggioranza del Paese e dell’Europa.

Sono trascorsi 18 anni da quell’8 dicembre 2005. Non siamo mai mancati ad una marcia del Movimento. Abbiamo sempre percorso quei passi lenti che sono diventati pellegrinaggio laico per la terra a cui apparteniamo. Diciotto anni fa la gente della Valsusa ha aperto gli occhi e ha dovuto riscrivere la definizione di democrazia sul proprio vocabolario. Da allora infinite volte abbiamo visto la nostra dignità calpestata, i nostri volti e le nostre azioni sbattuti in prima pagina da pennivendoli senza scrupoli, senza arte né parte. I corpi di molte compagne e compagni sono stati pestati e illividiti a suon di manganellate mentre il territorio veniva martoriato dalle ruspe sotto la costante protezione di polizia ed esercito. Abbiamo calcato strade, aule giudiziarie, presidi, infiniti luoghi dove la gente voleva ascoltarci, comprendere e condividere la nostra lotta.

Siamo andati avanti sempre, senza mai indietreggiare. Guardando i vostri cantieri, circondati dai betafence, dalle reti e dalla concertina metallica, che sono cancro e metastasi per l’ambiente, vi dico che i rinchiusi, quelli che non possono muoversi, siete voi, dal primo giorno obbligati a nascondere e difendere le vostre malefatte. In 18 anni avete fatto ben poco, avete fallito per inettitudine, siete stati incapaci e sconsiderati. Ieri come oggi voi siete gli sfrontati, gli ospiti sgraditi, gli imbucati, i malaccetti. Noi siamo la sabbia fra gli ingranaggi del vostro sistema, l’olio che manca al vostro motore, quelli che intralciano la vostra strada, che smascherano le vostre menzogne e interrompono le vostre narrazioni togliendo loro il vostro lieto fine.

Domani, 8 dicembre, io e Cinzia ci saremo di nuovo.

Il Movimento No Tav, più che mai ostinato e determinato, ci sarà.

Come sempre, ancora e di nuovo: C’eravamo… Ci siamo… Ci saremo!


 

 

 

 

 

 

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