La suggestione del “terrorista”
Dall’inizio di settembre numerosi maîtres a penser di diversa storia ed estrazione evocano, con riferimento alla Val Susa, i fantasmi del terrorismo. Con scarso senso di responsabilità e – nel Paese che, per coprire le stragi di Stato, inventò gli attentati anarchici – con colpevole mancanza di memoria. Ma presto tutto è diventato più chiaro.
Il 17 settembre i quotidiani hanno dato notizia, con titoli a tutta pagina, di numerosi arresti per corruzione in relazione ad appalti della linea ferroviaria ad alta velocità a Firenze. Tra gli arrestati Maria Rita Lorenzetti (ex governatrice Pd dell’Umbria, ora presidente di Italferr, subito definita «lady Tav») e Walter Bellomo (esponente del Pd siciliano e componente della Commissione Valutazione impatto ambientale del Ministero).
I giornali riportano stralci di intercettazioni telefoniche tra gli arrestati e commentano: «”Terrorista, mascalzone, bastardo, stronzo”. Maria Rita Lorenzetti, i tecnici di Italferr e Walter Bellomo non risparmiano insulti nei confronti di Fabio Zita, dirigente dell’ufficio Valutazioni di impatto ambientale della Regione Toscana che nella primavera 2012 osa ancora classificare come rifiuti i fanghi di risulta degli scavi. Nel giugno Zita viene rimosso dall’incarico.
Le intercettazioni hanno rivelato che c’erano stati forti pressioni della presidente Lorenzetti in tal senso e che la decisione fu personalmente assunta dal presidente Enrico Rossi (Pd)» (così La Repubblica). Decodifichiamo: per il milieu politico-affaristico sponsor dell’alta velocità non solo chi vi si oppone, ma addirittura chi chiede il rispetto della legalità, è «un mascalzone e un terrorista» (e, se titolare di un incarico pubblico, deve esserne sollevato). Prendiamo atto, ma continuiamo a credere che il terrorismo sia altra cosa.
Difficile non riandare, per associazione di idee, a due fatti tra loro diversi e temporalmente lontani. Il primo riguarda un altro pubblico funzionario, il responsabile dell’Ufficio tecnico del Comune di Chiomonte, a cui è accaduto soltanto di essere incriminato (secondo la cronaca del ben informato cronista della Stampa) per «false comunicazioni al pubblico ministero», all’esito di un interrogatorio di sette ore teso a chiarire chi lo avrebbe indotto a emettere un’ingiunzione di abbattimento delle reti di protezione del cantiere della Maddalena, non rappresentate su nessun elaborato progettuale e quindi, sotto il profilo edilizio, abusive (sic!).
Il secondo fatto rimanda a un altro lembo di Italia, Cinisi, e a Peppino Impastato, giovane e scomodo antagonista ucciso da Cosa nostra nel 1978 e, per oltre vent’anni, fatto passare, dalle istituzioni e dai media, per terrorista. Lo dico con le parole di sua madre, Felicia Bartolotta: «Loro si immaginano: “Questa è siciliana e tiene la bocca chiusa”. Invece no. Io devo difendere mio figlio, politicamente, lo devo difendere. Mio figlio non era un terrorista. Lottava per cose giuste e precise . Glielo diceva in faccia a suo padre: “Mi fanno schifo, ribrezzo, non li sopporto . Fanno abusi, si approfittano di tutti, al municipio comandano loro”. Si fece ammazzare per non sopportare tutto questo».
Ma c’è chi oppone alla storia e alla cronaca il fatto che in Val Susa è diverso come dimostrerebbe, da ultimo, l’escalation di violenza con attentati e incendi di mezzi di ditte impegnate (in maggiore o minor misura) nei cantieri del Tav. Difficile opporsi a questa suggestione. Ma, a ben guardare, solo di suggestione si tratta. Gli attentati a freddo sono, senza dubbio, cosa di assoluta gravità e fuori da ogni logica di protesta e di opposizione. Ma detto questo, senza se e senza ma, c’è una domanda, addirittura banale: in forza di quali elementi quegli attentati vengono attribuiti, con granitica certezza, ai No Tav? I principali siti del Movimento (i quali pure hanno sempre rivendicano le azioni dimostrative al cantiere e gli scontri che le hanno accompagnate) hanno respinto con fermezza tale attribuzione.
Le presenze e gli avvertimenti mafiosi sono in valle – soprattutto nell’edilizia – una realtà risalente e conclamata. I presìdi No Tav e finanche le auto di attivisti e simpatizzanti sono da anni oggetto di incendi e danneggiamenti, pur nel silenzio della stampa. La storia del Paese ci ha abituati a una moltitudine di attentati simulati o farlocchi (ricordate gli spari al direttore di Libero Belpietro?). I gesti sconsiderati di chi è interessato a pescare nel torbido o di schegge impazzite di diversa estrazione non sono, anch’essi, una novità. Né giova il richiamo al criterio del cui prodest (che, anzi, porterebbe in tutt’altra direzione, essendo evidente che attentati siffatti danneggiano il Movimento No Tav e i suoi obiettivi).
Non sarebbe, dunque, prudente e razionale denunciare la gravità dei fatti ma sospendere il giudizio sulla paternità degli stessi in attesa (quantomeno) dei primi accertamenti? Come accade, di regola, dopo ogni fatto di reato, quando sono gli stessi inquirenti a precisare che «si indaga in ogni direzione». Qui, invece, si parla, con sospetta disinvoltura, solo di intimidazioni e violenze No Tav e contemporaneamente, in una valle militarizzata, nessuno pensa che sia opportuno un controllo permanente (magari discreto) dei – pochi – siti di imprenditori a rischio attentati.
È vero. Qualcosa non funziona in Val Susa. Ma non è detto che sia quanto evocato dall’establishment e dai suoi portavoce.
il manifesto, 20 settembre 2013
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