In difesa della Terra e del Futuro. Lotte ambientali e nuove forme di repressione

Mamme in piazza per la libertà di dissenso, Nicoletta Salvi Ouazzene

Foto di copertina di Nicola Gastini

Di nuovo sul ‘Festival dell’Alta Felicità’ che si è appena concluso a Venaus: una riflessione sulle forme di repressione degli stati e sulle possibili azioni di lotta, a partire dall’incontro In difesa della Terra e del Futuro

In difesa della Terra e del Futuro

Foto Festival Alta Felicità


Non poteva mancare tra gli interessantissimi dibattiti che hanno preso vita durante il festival, un confronto sulle forme di repressione che colpiscono in particolare le lotte ambientali. Titolo In difesa della Terra e del Futuro.

Sul palco di lunedì 31 luglio, h 12, erano presenti Livio Pepino, ex magistrato e da sempre molto critico sulla repressione che cerca di neutralizzare il movimento NoTav, alcuni portavoce del movimento francese Soulevements de la Terre insieme all’avvocato dei movimenti francesi Faycal Kalaf, oltre a Amnesty International con Mariapaola Boselli che ha partecipato a tutto il festival e ha svolto, assieme ad altri attivisti di Amnesty, il ruolo di osservatrice durante la manifestazione di domenica. Moderava Dana Lauriola che ormai tutti conoscono per avere subito una condanna e una carcerazione di quasi due anni (solo in parte ai domiciliari) a causa del suo ruolo di attivista in Valle di Susa.

Dal dibattito e dal confronto che ne è seguito sono emerse strategie molto simili attuate dagli stati contro le emergenti lotte climatiche che si stanno ovunque diffondendo, coinvolgendo sempre più giovani attivisti/e, anche se Amnesty ha ritenuto giusto ricordare che altrettanto accanimento è rivolto contro gli attivisti per i diritti dei migranti e delle lotte sindacali. Ultimi baluardi di un conflitto sociale in una società che non riesce più ad esprimere qualsiasi valore propulsivo, lasciando mano libera ai governi di attuare differenti livelli di repressione volte a silenziare ogni pensiero divergente e spegnere ogni scintilla di contestazione.

Foto Diego Fulcheri


Viviamo in un momento storico in cui gli stati non sembrano più in grado di governare attraverso la partecipazione e quindi governano attraverso la repressione, in cui non sono tollerate le manifestazioni di dissenso, neanche quando vengono espresse attraverso gesti simbolici. Altamente significativo è l’utilizzo del linguaggio, dello stile di narrazione adottato per criminalizzare le lotte ambientali.

Tutti i relatori ci hanno messi in guardia sull’utilizzo delle PAROLE: “ecovandali”, o “ecoterroristi”, che sono i termini coniati dai politici per identificare il nemico e giustificare nuove proposte di legge sempre più restrittive. In Italia è in cantiere il “DDL eco-vandali” che potrebbe determinare multe salatissime e persino il carcere, per chi deturpa (non importa se in modo provatamente temporaneo) un bene culturale. E non va meglio in Francia, dove sono allo studio nuove leggi speciali contro gli “eco-terroristi”.

La parola terrorismo avrebbe una sua definizione giuridica ben precisa nell’ambito del diritto internazionale, eppure con il prefisso “eco” eccola riadattata a ridefinire azioni e dimostrazioni parecchio lontane dalle stragi di uomini e donne a cui la norma giuridica l’aveva preclusa. Ed è proprio in forza dell’accusa di “ecoterrorismo” che il governo francese ha promulgato la dissoluzione del movimento Les Soulèvements de la Terre, dissoluzione quanto mai difficoltosa visto che il movimento è composto da una molteplicità di soggetti, che vanno dalla associazioni anche spontanee di agricoltori, a quelle di giovani attivisti/e, dai partiti politici alle associazioni sindacali, un ventaglio insomma molto variegato.

Narrazioni, legislazioni peggiorative volte a criminalizzare qualsiasi tipo di protesta, accanimento giudiziario (carcere, misure cautelari, fogli di via) e violenze sul terreno delle manifestazioni sono le strategie comuni messe in campo dagli attuali governi contro le nascenti “eco-coscienze” o “eco-attivismi” (come preferiremmo definirli). Proprio per questo Amnesty International sta conducendo una campagna sul diritto di manifestazione intitolata “Proteggi la protesta”, iniziativa che sta promuovendo in tutto il mondo e in particolare contro il commercio senza regole delle armi sempre più spesso utilizzate dalla polizia nelle varie piazze delle proteste.

 

E allora veniamo alla “narrazione” della manifestazione che si era svolta proprio il giorno prima attorno ai cantieri che occupano addirittura militarmente la Valsusa. Tutti i mezzi di comunicazione hanno mostrato video e foto di giovani ragazzi/e intenti ad “assaltare i cantieri” e ne hanno sottolineato la pericolosità, elencando le “armi”, ma non gli scopi, le motivazioni, le modalità.

Obiettivo di cotanto scenario bellico erano le reti, tirare giù le reti, abbattere i cancelli, gesti molto più simbolici che reali. Gesti di alcuni giovani/e sostenuti dalla totale presenza di tutte e tutti i partecipanti, vicini, solidali, partecipi, che con la presenza dei loro corpi hanno visibilmente testimoniato la contrarietà a un’opera così evidentemente invasiva e senz’altro “ecocida”.

Quella sì, ecocida.

À suivre!


 

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