In mostra nel pieno centro di Torino gli impatti del TAV in Val Susa

Daniela Bezzi

Quanto mai azzeccata e tempestiva dati i tempi, e soprattutto per pubblicizzare la tradizionale marcia valsusina dell’8 dicembre, l’iniziativa promossa ieri dall’Assemblea NoTav Torino e Cintura nella centralissima via Garibaldi di Torino. Lunga via pedonale, paradiso dello shopping e dello struscio, più che mai affollata in questi giorni di luminarie pre-natalizie, eccola trasformarsi in teatro di un vero e proprio happening: quando da un certo portone (ovviamente il nostro, del CSSR) si è improvvisamente messo in moto un traffico di griglie espositive, una due tre… una decina. Pochi minuti per posizionarle a libro tutte in fila, e poi per appendere le foto per capitoli tematici, e in men che non si dica la Mostra era allestita, completa di banchetto per i calendari freschi di stampa che quest’anno sono proprio belli, fin dalla copertina.

Il tutto si intitolava Resistere per Esistere, per una mostra che già era stata esposta a fine maggio in occasione del Critical Wine di Bussoleno, ma che può considerarsi inedita (e quanto mai necessaria) per Torino, con tutto quello che sta per succedere alle sue porte, per esempio in quel di Rivalta dove la vecchia/nuova ipotesi di tracciato per il TAV dovrebbe prevedere una muraglia alta come un palazzo di sei piani per contenere 2.5 milioni di detriti da scavo, oltretutto in gran parte contaminati, che follia!

Resistere per Esistere quindi nel senso coniato da Stephane Hessel considerato il padre dei diritti umani quando scriveva: “l’ultima cosa che un governo dovrebbe fare nei confronti dei suoi cittadini è portarli all’esasperazione…” perché esasperare significa sfidare la speranza di essere ascoltati. Precisamente quello che succede da sempre in Val Susa, nonostante l’evidenza di emergenze (per esempio la siccità di quest’estate) ulteriormente aggravate dagli impatti sulle falde acquifere della Grande Opera. Che però procede, cantiere dopo cantiere, a cielo aperto nonostante i ritardi sul tunnel, con un’intera valle militarizzata, a suon di mandati di denunce, tribunali, lacrimogeni, manganellate… e nella più totale incuria dei cambiamenti climatici, nonostante il mai esausto impegno della popolazione, della commissione dei tecnici, di noi sparuti cronisti che vorremmo far sapere…

Una vicenda ben illustrata dalle foto di Diego di Fulcheri, nome ben noto per i lettori di questa news letter perché non c’è stato articolo o anche breve cronaca che abbiamo pubblicato nell’arco di questi ultimi anni dalla Val di Susa, che non siano stati illustrati dai suoi reportage. Vera e propria sentinella della valle, sempre-sempre presente in qualsiasi situazione, da quelle più difficili a quelle più serene e conviviali. Immagini le sue di straordinaria prossimità con ciò che accade, con gli abitanti di questo territorio da troppi anni sotto assedio, colti nella loro semplicità di persone che hanno a cuore la loro casa comune, con tutti i suoi valori: di montagne, acque, boschi, fontane, sentieri, reperti antichi.

E immagini che ben testimoniano la totale identificazione del fotografo con le ragioni della Valle, e con un Movimento che non si è mai arreso. Come dice lui stesso nel volantino che accompagnava ieri la Mostra “non mi interessa fare belle fotografie, ma qualche foto bella che racconti ciò che, in tutti i sensi, condivido con la gente giusta della Valsusa”. E come si può mantenere uno sguardo distaccato, dinnanzi allo scempio che giorno dopo giorno si auto-denuncia da solo sotto i tuoi occhi, senza bisogno di particolari appostamenti… Come si può non notare ogni volta che viaggi verso Susa, il disboscamento in corso in quell’area che un tempo era l’unico polmone verde di media valle a San Didero, ormai da tempo ridotto a fortino presidiato giorno e notte dalle milizie, un’estensione di 68.000 mq che dovrebbe trasformarsi in immensa area di stoccaggio definita ‘ausiliaria delle Grande Opera’ ma che neppure i sindaci dei comuni più vicini saprebbero descrivere nei dettagli, e dunque nella più totale opacità da parte delle istituzioni! Già solo questo basterebbe per dire NO a una Grande Opera che da trent’anni pende come una condanna su una popolazione di oltre 100.000 abitanti, mietendo solo penalità e condanne per chi osa il dissenso.

Di questo parlano le foto di Diego Fulcheri, che sono arrivate ieri nel pieno centro di Torino. Per molti che ritenevano questa storia archiviata, è stata un’occasione per rinfrescarsi la memoria. Per altri che sono passati via senza prestare attenzione, sarà bastato registrare le bandiere, le voci al microfono di Francesca Bertini e Giulia Ferro. E qualche volantino con la convocazione per la manifestazione dell’8 dicembre se lo saranno messo in tasca, un bel po’ di calendari sono stati venduti, e insomma un minimo di comunicazione una volta tanto ‘extra-social’ è successa ieri a Torino e speriamo solo che possa replicarsi di nuovo e presto.

Resta solo da dire del fotografo, Diego Fulcheri Zografos, questo il cognome completo per chi lo voglia rintracciare sulla sua pagina Facebook, sempre aggiornatissima. “Le mie origini sono in Grecia” spiega infatti. “E in val di Susa ci sono arrivato per una serie di passaggi, ma direi per caso… Mi considero un privilegiato, nel senso che ora sono in pensione, padrone del mio tempo. E come fotografo potrei ritenermi un veterano, perché la macchina fotografica è sempre stata con me, un modo per mettere meglio a fuoco ciò che mi interessa; ma ancora adesso, dopo anni, mi considero un dilettante, nel senso migliore del termine. Fotografo per passione, e in particolare con il popolo della Val Susa, ho maturato una rapporto di totale identificazione …”

(…) “In Val di Susa ci sono arrivato quando ero ancora full time operativo come elicotterista, a tutti gli effetti arruolato, spesso in missione: ho volato, ho visto, ho toccato con mano l’ipocrisia delle cosiddette missioni di pace, motivate nel migliore dei casi da strategie di carattere economico. Lo abbiamo visto in Bosnia, nel Kossovo, per non dire in Afghanistan: ci siamo già dimenticati dello scempio, dopo vent’anni di occupazione… E fu così che tra una missione e l’altra a un certo punto mi ritrovo non più ad Aosta, dove ero di base anche con la famiglia, bensì a Venaria, ed è sembrato ovvio spostare la famiglia prima a Susa, nei primi anni ’90 e successivamente a Gravere dove vivo attualmente. Ma tutta la prima fase del Movimento NoTav non l’ho neppure vista, compresi i fatti di Venaus e quel che è successo prima e dopo: quando ti tocca stare per 4 o 5 mesi all’anno fuori casa in missione, anche il rientro a casa comporta non pochi problemi di riambientamento, e per farla breve al Movimento NoTav ci sono arrivato solo intorno al 2011/12, con la Repubblica della Maddalena in Clarea. Mi ci ha portato la prima volta mio figlio, quello maggiore, che invece già da tempo frequentava. E ricordo il senso di imbarazzo, per il mio background, il fatto di essere un militare. Ma la grandezza di questo movimento è l’accoglienza, la capacità di accettare le persone per quel che sono, senza pregiudizi. (…) Provo molto affetto, molta gratitudine per il movimento, per quello che mi ha insegnato e che ancora oggi mi aiuta a capire. Voglio un mondo di bene a questi ragazzi, che non hanno timore di esporsi, che pagano prezzi altissimi per ciò che fanno. Per questo ogni volta che posso sono al loro fianco, in un rapporto di reciproca fiducia che ormai è totale ed è la cosa che più mi ripaga”.

Succedeva ieri in pieno centro di Torino, solo per poche ore dal primo pomeriggio fino a sera. E per chi se le fosse perse, ecco una piccola selezione delle foto esposte, in attesa di prossime occasioni di scambio in altre sedi espositive.

Resistere per esistere


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