Conoscere i sistemi d’arma autonomi

Giulia Faraci

Conoscere i sistemi d’arma autonomi e le azioni per fermarli, dalla posizione dell’ONU alla Campagna “Stop Killer Robots

Lo sviluppo tecnologico ha comportato non solo un mutamento delle guerre, ma ha anche condizionato il modo con cui esse vengono combattute.

Lo scenario offerto dal galoppante progredire dell’intelligenza artificiale e della robotica propone sistemi in grado di agire in autonomia e capaci di rivoluzionare la strategia bellica.

Le prime ricerche riguardanti tecniche di autonomia militare risalgono alla Grande Guerra. Si sviluppò il cosiddetto “Kattering Bug”. Questo minuscolo aereo era guidato da controlli preimpostati, che lo rendevano capace di colpire bersagli terrestri fino a circa 120 chilometri dal punto di lancio.

Benché la prima guerra mondiale terminò prima che il veicolo potesse essere utilizzato, molti lo considerano il precursore degli odierni sistemi bellici autonomi.

Attualmente la corrente letteratura militare e giuridica impiega i termini di “Sistemi d’arma autonomi letali” (LAWS, Lethal Autonomous Weapons Systems) o semplicemente “Armi autonome” per indicare gli ordigni che possono colpire un obiettivo militare senza l’intervento umano.

Le diverse definizioni

Una definizione del mezzo ha prodotto molteplici interpretazioni a causa della fluidità dei vocaboli in gioco.

È la Gran Bretagna a proporre la prima definizione. Un sistema d’arma autonomo può essere considerato come tale se dotato di comprensione ad alto livello dell’intenzionalità e della direzionalità.

Da questa comprensione e dalla sua percezione dell’ambiente, tale sistema è in grado di agire in modo appropriato per creare la situazione desiderata. È capace, inoltre, di decidere il corso delle azioni tra un certo numero di alternative senza dipendere dalla supervisione o dal controllo umano, sebbene presente.

Una seconda declinazione del termine si propone nel 2017, quando il Comitato Internazionale della Croce Rossa convocò una tavola rotonda con esperti indipendenti per esaminare le questioni etiche relative a tali mezzi.

La definizione che si elabora è quella di un qualsiasi sistema d’arma che agisca in autonomia nelle sue funzioni critiche, dunque in grado di selezionare (cercare, rilevare, identificare e tracciare) e attaccare obiettivi senza l’intervento umano, ponendo particolare attenzione alle funzioni su cui possa essere esercitata l’autonomia.

Non poteva mancare l’interpretazione proposta dagli USA come paese che ne ha maggiormente sperimentato l’utilizzo sul campo, soprattutto a causa delle guerre condotte in Vietnam, Bosnia e Kosovo.

Lo stato leader del settore designa tali armi come un sistema d’arma che, una volta attivato, può selezionare e ingaggiare obiettivi senza un ulteriore intervento da parte di un operatore umano.

Infine, l’organizzazione non governativa Human Rights Watch definisce questi sistemi come robot in grado di agire secondo una specifica programmazione grazie a un notevole grado di autonomia. Questo grado permette alla macchina di operare senza una supervisione umana.

Le categorie

Tuttavia, a seconda del grado di autonomia e del coinvolgimento umano nell’utilizzo, si distinguono tre categorie di armi differenti:

  • Primo, Human in the loop weapons. Robot in grado di selezionare bersagli ed erogare forza solo con un comando umano;
  • Secondo, Human on the loop weapons. Robot in grado di selezionare bersagli e erogare forza sotto la supervisione di un operatore umano che può annullare le azioni dei robot;
  • Terzo, Human out of the loop weapons. Robot che sono in grado di selezionare gli obiettivi e l’erogazione della forza senza alcun intervento umano o interazione.

Campagna Stop Killer Robots

Conoscere i sistemi d’arma autonomi

La campagna Stop Killer Robots tiene a sottolineare il suo impegno riguardo alle armi completamente autonome che deciderebbero chi vive e chi muore, senza un ulteriore intervento umano, che possa definire una soglia morale. 

Stati Uniti, Cina, Israele, Corea del Sud, Russia e Regno Unito sviluppano sistemi d’arma con funzioni critiche di selezione e attacco di obiettivi caratterizzate da una particolare autonomia. 

Se lasciato incontrollato, il mondo potrebbe entrare in una destabilizzante corsa agli armamenti robotici. Sostituire le truppe con le macchine potrebbe rendere più facile una corsa alla guerra facendo abbassare drasticamente la soglia di una chiamata alla guerra.

Inoltre le armi completamente autonome mancherebbero del giudizio umano necessario per valutare la proporzionalità di un attacco. Mancherebbe anche la distinzione tra civili dai combattenti e il rispetto degli altri principi fondamentali delle leggi di guerra. 

La soluzione che si propone è quella mantenere un controllo umano significativo sulle decisioni di targeting e attacco. Si vieta così lo sviluppo, la produzione e l’uso di armi completamente autonome. Pertanto l’obiettivo è quello di legiferare un divieto attraverso leggi nazionali e trattati internazionali in modo da regolamentare il fenomeno.

Conoscere i sistemi d’arma autonomi

Impegno delle Nazioni Unite

All’interno dell’ultima Risoluzione del Parlamento europeo (2018) sui sistemi d’arma autonomi si indica un forte impegno da parte delle Nazioni Unite. L’ONU afferma che gli attori statali che metteranno in atto l’utilizzo dei droni armati dovranno divulgare pubblicamente la base legale per l’uso di essi, la responsabilità operativa, i criteri per il targeting, l’impatto che susciteranno, e le informazioni su presunte violazioni, indagini e azioni penali.

Gli Stati devono riconoscere l’applicabilità extraterritoriale dei trattati sui diritti umani. Devono altresì riconoscere l’applicabilità globale del diritto alla vita sulla base del diritto consuetudinario e dei principi generali del diritto internazionale, anche durante i conflitti armati.

Gli Stati che invocano il diritto all’autodifesa per l’uso della forza dovrebbero presentare un rapporto al Consiglio di sicurezza ai sensi dell’articolo 51 della Carta nei confronti di ciascuno Stato sul cui territorio viene usata la forza.

La sicurezza internazionale e la protezione del diritto alla vita dipendono dal principio che l’uso della forza è una questione di ultima istanza. La pace infatti, dovrebbe essere la norma. Tali scenari però rischiano di rendere la sua deroga la regola, privilegiando la forza rispetto alle alternative pacifiche a lungo termine.

L’ampio uso di droni armati da parte degli Stati, se non contestato, può arrecare danni strutturali ai capisaldi della sicurezza internazionale. Nello stesso tempo può creare precedenti che minano la protezione della vita, arrecando un problema che si potrebbe protrarre a lungo termine.

Autrice
Giulia Faraci


 

1 commento
  1. Giuseppe Bruzzone
    Giuseppe Bruzzone dice:

    Sapendo che qualche tecnico umanista nel campo militare e politico pensava addirittura di far scattare attacchi di guerra, ovviamente di
    "difesa", attuandosi determinate situazione esterne considerate "pericolose", affidandosi all' intelligenza artificiale, direi che l'intero campo
    deve essere sotto controllo, compreso quello civile. Anche qui dovrebbe rinascere quella spinta etica dei primi tempi della Fisica moderna e qualche Ente sovranazionale che possa verificare gli studi dei vari, forse troppi laboratori, nel pubblico interesse.
    L' articolo mi sembra lasci troppi spiragli. Grazie

    Rispondi

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