I libri bruciano male [1]

Paola Ginesi

«Che cosa sono l’uomo o la donna
la cui unica arma sono le parole?

Cosa c’è in queste parole da renderle così pericolose
che alcuni degli uomini più potenti della Terra,
con esercito, armi e persino armi nucleari,
non possono vivere in sicurezza sapendo che
queste persone, costoro – gli scrittori – esistono?»

Azar Nafisi

È difficile bruciare un libro: nel fumo acre “l’odore lugubre e triste delle cose che non vogliono bruciare”[2], contorcimenti dolorosi, le pagine sembrano difendersi compattandosi, alcune volano in alto quasi per sfuggire ad un destino di morte etica, culturale, di vita, di bellezza, di sapere… prima ancora che materiale… i libri bruciano male.

Un libro bruciato è il tentativo di cancellare un qualcosa esistito per anni, per secoli, per la paura del pensiero, della coscienza, della ragione, della forza dei diritti perché si sa bene che «conoscere il mondo è connesso al volerlo cambiare» (Aldo Capitini).

In Fahrenheit 451 i “vigili del fuoco”, “custodi della pace spirituale” della popolazione, inneggiano: “il libro è un fucile carico nella casa del tuo vicino: diamolo alle fiamme!”.

Però, se i libri bruciano male, ancor più difficile è bruciare il pensiero, la ragione, la bellezza, la coscienza, il sapere, il dubbio, la consapevolezza.

Ai Wei Wei, noto artista cinese in esilio – figlio di Ai Qing, uno dei più grandi poeti rivoluzionari della Cina – nelle memorie della sua famiglia[3], scrive come, per evitare prigione o condanna a morte, insieme a suo padre decisero di bruciare tutti i libri di casa. In mezzo al silenzio e al dolore, quasi fisico, Ai afferma che si sentì crescere dentro una forza incrollabile: «il senso “inflessibile” della bellezza».

Aisa Bint Ahmad, poeta arabo andaluso, contemporaneo all’incendio dei manoscritti e opere delle biblioteche di Al-Andalus con la Reconquista di Isabella di Castiglia, alla fine del XV secolo, scrisse:

«Smettete di dare fuoco a pergamene e carte
e mostrate la vostra conoscenza affinché si veda chi è colui che sa.

Anche se si brucia la carta, si può vedere chi è colui che sa.

E anche se bruciate la carta,
non brucerete mai ciò che essa contiene,
perché lo porto dentro di me,
viaggia sempre con me quando cavalco,
dorme con me quando riposo,
e nella mia tomba sarà poi sepolto».

La biografia di Francesco d’Assisi, affidata dai vertici dell’ordine francescano a Tommaso da Celano, vissuto con lui per lunghi anni, non fu accettata come “biografia autorizzata” perché lo presentava un po’ troppo umano, non sempre mite, non sempre saggio, una povertà scelta come valore non solo cristiano, insofferente di tante regole… pur nell’innegabile grandezza, la sua vita era, in qualche modo, imitabile: la figura di Francesco doveva assumere una perfezione che esonerasse dal pretendere una sua reale imitazione, sterilizzandone l’esempio e il messaggio.

Questa stesura ebbe così il nome di La vita prima di Francesco, in vista di una “vita segunda”, neppure questa accettata. Intervenne allora il generale dell’ordine francescano, Bonaventura, che ne scrisse, finalmente, una vita “serafica”, Vita di san Francesco. Legenda major, ordinando di bruciare tutti i testi delle vite precedenti dalle biblioteche francescane (e no). Molti anni più tardi ne furono ritrovate diverse copie in biblioteche benedettine: i libri bruciano male!

E i libri non bruciano solo nel fuoco acceso – ancora – nelle piazze ma in censure più o meno velate, in innumerevoli manipolazioni, in riforme e revisioni per “adeguarli ai tempi”, nel ricorso all’ignoranza come strumento di controllo delle coscienze, in riscritture cariche di menzogna e di inganno, nella persecuzione di chi scrive…

Si bruciano libri per azzerare la memoria collettiva, ma brucia male anche la memoria.

Il giorno o la notte in cui esploderà l’oblio
che salti a pezzi o crepiti
i ricordi atroci e quelli di meraviglia
spezzeranno le sbarre di fuoco
trascineranno finalmente la verità per il mondo
e questa verità sarà che non c’è oblio [4].

Storia vs memoria?

Storia e memoria non sempre coincidono, appartengono ad ambiti diversi anche se trasversali, si crea un intreccio inscindibile al cui interno, “in alterne vicende”, l’una prevale sull’altra.

Un interessante dibattito di grande vastità e spessore che qui è impossibile affrontare.

Parafrasando Gandhi – il fine sta all’albero come il mezzo sta al seme -, si può credere che “la conoscenza della storia sia il fine e la memoria il mezzo” per una consapevolezza del passato che aiuti a comprendere il presente e prepararsi al futuro, a preparare il futuro? forse… in ogni modo non si può ignorare che “tra le due c’è lo stesso inviolabile legame”.

Il “fine” – la conoscenza del cammino storico – coinvolge tutti, segna il percorso della memoria individuale e comune, ma come quest’ultima incide sui “risultati”? come siamo responsabili della scelta dei “mezzi” per raggiungere il “fine”? In altre parole, in che modo possiamo usare la memoria come “seme” per salvaguardare il “fine” della conoscenza di una storia segnata da valori, diritti, sconfitte, opportunità, lotte, speranze comuni?

Una delle funzioni essenziali della ragione è la capacità critica del sapere. L’analfabetismo, di qualunque tipo sia, è sempre e ovunque un deficit di pensiero, di razionalità: la ragione sviluppa il pensiero che la memoria ricorda.

La memoria è uno strumento fondamentale per l’elaborazione delle idee, per creare quella logica che permetta di scoprire nuove riflessioni sul divenire della storia.

Non va dimenticato il passato, che può essere la “saggezza” del presente e del futuro, ma non deve costituire un ostacolo per sviluppare idee nuove e, se possibile, rivoluzionarie.

La memoria è valida nella misura in cui conserva i valori essenziali che la ragione ha conquistato nell’elaborazione del passato, e non deve impedire nuove conquiste, non solo nello sviluppo del pensiero, frutto di una conoscenza che coglie dalle scoperte nuovi valori, ma sulla stessa capacità di intuire, attraverso i recenti strumenti della conoscenza, le infinite ricchezze dell’universale storia umana.

La memoria del passato evita al presente e al futuro errori deleteri sul piano storico. L’ingiustizia, la negazione della verità oggi sono molto più distruttive perché se le conquiste del sapere aprono nuovi orizzonti, possono pure infittire le tenebre: ci sono maggiori possibilità di cogliere la verità, ma si è intensificata anche la capacità di nasconderla… così la menzogna acquisisce nuovi strumenti per confondere la memoria e, di conseguenza, la verità della storia.

«La memoria del nostro passato è indispensabile per capire che uomini siamo oggi; senza la memoria delle nostre conquiste e sconfitte non sapremmo di quale percorso storico e culturale siamo figli.

E la a memoria dà attualità al passato e, forse, crea un legame tra passato e presente con più facilità della razionalità della scienza storica.

La memoria traduce nell’oggi gli eventi e gli ideali di un tempo e congiunge la “passione” di ieri con la “passione” dell’oggi e così lo scenario del presente si fa più leggibile. La storia legge, nella ricerca razionale, le origini e i vari percorsi, la memoria li riscopre con la sofferenza, le speranze, le aspettative forti di ogni “nuova nascita” e le reincarna nelle “passioni” di ogni tempo nuovo.

L’attualità rischia di cancellare la memoria; si vive così in un oblio che coinvolge e travolge non solo il nostro passato, ma la preziosità delle origini dove si trovano i valori, le finalità e le aspirazioni che sono alla base del vero progresso di ieri e di domani e riempiono il presente di ideali, di utopie, di speranza. Nell’oblio, ogni capacità e possibilità di rifiuto, di sdegno vengono spente e la coscienza annega nel sonno dell’indifferenza – pericoloso quanto il sonno della ragione -. La forza razionale del dubbio non esiste più… vi sono solo le piccole certezze del momento» (Renato Piccini).

Memoria – Oblio

La memoria può essere una facoltà fragile in un processo, più o meno consapevole, di selezione e ricostruzione di esperienze ed emozioni; è un ponte tra passato e presente, nel percorrerlo il flusso dei ricordi diviene un aspetto essenziale al vivere di oggi.

I ricordi, legati all’esperienza vissuta, raccontata, memorizzata, operano una selezione con la possibilità di “modificare” quanto realmente avvenuto; spesso si “aggiustano” secondo le diverse situazioni interiori, momenti passati più o meno recenti si trascinano nel presente ed emergono in letture diverse dalla loro valenza reale, dal tempo a cui si riferiscono; nella loro complessità e diversità, possono amplificare, innestare e prolungare sentimenti ed emozioni “tristi”, negative, “contro” che perpetuano divisioni e rivendicazioni, estendono tempi di chiusura dal passato al presente, aprono – se ben manipolati – a facili fanatismi, divisioni, desideri di rivincita, radicalizzazione di pensiero, chiusura etica e culturale.

Il tempo, oggi più che mai, è caratterizzato da mutamenti e cambi di direzione che non è facile comprendere, il passato sembra sempre più segnato dall’oblio o, peggio, dal trasformare, fino a stravolgere, quanto è avvenuto.

La memoria che nasce dai sentimenti di una persona-famiglia-gruppo-società ha specifici effetti su decisioni di ampio raggio e, in un certo senso, influisce a “dar forma alla storia”.

Per la rappresentazione del passato e per conoscere la realtà del cammino fatto è essenziale rifarsi al percorso storico, la frattura tra storia e memoria spezza questa possibilità.

Nella nostra società alcune pagine di storia continuano ad essere ferite aperte, si è così innestata nel corpo sociale una contrapposizione ideologica per cui anche fatti lontani possono (ri)diventare oggetto di spaccatura socio-politico-culturale, nel rifiuto di una lettura in chiave di analisi storica.

È evidente come non esista la volontà di comprendersi in un confronto aperto con memorie “altre”, si giunge allora ad un’adesione apatica, convenzionale e conformista alle “verità pubbliche” che non danno risposte.

Senza porre le domande essenziali, di fondo, è impossibile recuperare il senso di alcuni momenti del passato, di certe lotte e conquiste, non si riesce ad aprirsi ad una comprensione della loro impronta nel presente e si finisce per perdere il senso della parte “perduta” della storia, anche quella personale che si è incrociata con molte altre storie: c’era – c’è – un futuro “sognato”, “promesso” che è apparso distrutto da congiunzioni geopolitiche, situazioni di violenza, strumentalizzazioni, paura, opportunismo, sconfitte… ma che si deve continuare – o iniziare – a costruire contro (e forse con) i fantasmi di quel passato.

Se la memoria storica non è condivisa, si rischiano letture di comodo, se non alibi per nascondere a se stessi che avremmo potuto fare scelte diverse, che abbiamo seguito ideologie pesanti, pericolose e arroccate in difensiva.

Basta pensare alle attuali riletture della resistenza, del fascismo, della shoah, di momenti bui della storia e di tempi di lotta per la libertà, la dignità, i diritti nel tentativo di sotterrare tutto sotto le macerie dell’indifferenza, della convenienza, del conformismo, dell’ignoranza… ma la verità soffocata qui riappare altrove, in altri percorsi, in un altro tempo, per quanto lontano possa essere.

La memoria collettiva non muore, ha un percorso carsico, è un fiume che scorre sulla terra e sotto terra, in percorsi quotidiani e sotto il processo storico, rivive quando la aiutiamo ad aprirsi il passaggio per accendere una memoria non di cerimonia o di vuota e inutile retorica di routine per impedire una ricostruzione politica con finalità identitarie che, nell’escludere ogni “altro”, manipola persone e fatti alla logica del progetto politico-economico del momento.

È utile, allora, porsi una domanda: ricordo cultura tradizione sono questioni di “memoria” oppure rischiano di divenire di “moda”, legate a tempi e situazioni socio-politico-culturali specifiche?

L’identità tramandataci dal passato non è intangibile né statica, si sviluppa in contesti, sensazioni, esperienze personali e comuni, ma oggi si assiste ad una cesura che rende inutili le coordinate su cui si basavano i criteri per dimenticare e ricordare.

Mutamenti imposti da modifiche radicali legate ad imprevisti di vario tipo – un colpo di Stato, una guerra, un’emergenza ambientale… – sconvolgono alle radici il tessuto del vivere personale e sociale, ma nella realtà attuale l’oblio del passato – pericoloso come le peggiori “emergenze” – si basa, secondo interessi spesso transitori, su una cernita di quanto si vuol ricordare e di cosa si vuol dimenticare.

Il “conservare” non risponde più ad una logica basata su fatti avvenimenti idee valori bisogni del passato, ma ad enclaves non inserite nella complessità, isolate nel dar forza, forse inconsciamente, a interpretazioni politiche, letture (pseudo)culturali, visioni sociali superficiali e contingenti, funzionali a ideologie prevalenti e ad obiettivi momentanei.

L’intreccio di memoria/oblio non è un percorso facile e scontato perché il passato ci “perseguita” in mille modi e momenti, e, se abilmente gestito, nell’innestarlo nell’immaginario sociale, penetra nella percezione comune, manipolata dai vari giochi politici attraverso una revisione storica che scandisce le scelte “utili” al momento presente, al sistema attuale per – si dice – non incorrere in “spiacevoli e pericolose” conseguenze per l’intera società.

La memoria collettiva è un grande mosaico da costruire insieme per ostacolare ogni revisionismo che stende “patti di silenzio”, strumentalizza e distorce la verità di momenti essenziali al percorso storico del nostro paese per impedire forme di dissenso e di rivendicazione.

Questa riscrittura della storia trova ben poco argine nell’ignoranza di tanta gente che sembra aver perso ogni orizzonte e capacità di pensare: un gregge guidato da mercenari pronti a tutto per salvaguardare un passato oscuro, che costituisce l’humus da cui provengono, servendosi anche di “intellettuali” di parte che stravolgono la narrazione della storia (basta pensare alla banalizzazione del fascismo a cui oggi si ricorre) nel tentativo di manipolare, nel vuoto storico che si sta costruendo, il costume politico collettivo.

I “patrioti” di una “nazione” prediletta di un dio che apre il mare per i suoi e fa affogare tutti gli “altri”, i “non-noi”, una “patria” meschina che trasforma il diritto in privilegio, la dignità in merito, la diversità in crimine.

La storia non è una pagina di letteratura, non è un romanzo a cui, secondo l’estro dell’autore, si può togliere o aggiungere senza dover render conto a nessuno. Senza memoria si diviene prigionieri di un limbo tra passato e futuro: nel limbo non c’è storia, si rimane sospesi nel nulla, nel vuoto mentre si spalanca la strada ai peggiori incubi e si mettono in pericolo i valori che sono alla base del vivere insieme di una società.

Per la difesa della memoria

«La verità è tanto più difficile da accettare quanto più a lungo è stata taciuta» (Anna Frank) ed è un vero dramma sociale, politico, culturale quando, scoperta, si vuol di nuovo metterla a tacere:

«Tra pochi anni sulla Shoah ci sarà, nei libri di storia, appena una riga e poi più neanche quella. […] Quando uno è vecchio come me e ha visto prima l’orrore e poi è arrivato a sentire che si nega addirittura… quando ad un certo punto la coscienza si sveglia, non sei mai contento, perché quello che vedi intorno a te non è abbastanza. Una come me non si accontenta»[5].

E noi?

«Un giorno gli elefanti si riuniranno per dimenticare. Tutti meno uno».

Così sostiene lo scrittore uruguayano Rafael Courtoisei che vive in un paese, in un continente, dove la memoria ha dovuto lottare a lungo per tornare in superficie, per dimostrare quanto sia inutile, prima ancora che perverso e criminale, l’obbligo di dimenticare imposto con strumenti legali per assicurarsi l’impunità.

È lungo l’elenco dei paesi che ricorsero alle leggi di amnistia – le leggi dell’oblio, di amnesia collettiva – un colpo di spugna sul passato per mettere a tacere le vittime ed i loro diritti: la Ley de Punto Final e la Ley de Obediencia Debida in Argentina per la pace e la riconciliazione sociale (!!!), la Ley de Caducidad in Uruguay per impedire i processi a militari e polizia per delitti commessi durante la dittatura, il Decreto de ley 2191 (noto come legge di amnistia) in Cile…

Quando le istituzioni di uno Stato impongono l’oblio collettivo dimostrano i piedi d’argilla su cui fondano il loro potere. L’oblio non copre né assolve colpe e crimini per cui basta un solo elefante che continui a ricordare per rendere inutile ogni sforzo per seppellire i fatti e l’orrore.

«Per imporre le menzogne del presente – scrisse George Orwell – è necessario cancellare le verità del passato»… ma basterà un solo elefante per far fallire ogni tentativo di punto final.

Memoria deriva da aletheia: il senso della parola greca, tradotta in latino con veritas, da cui il nostro verità, non ha proprio lo stesso significato: è “assenza di oblio”, svelare, scoprire, portare alla luce ciò che è nascosto, che si tenta di nascondere, che non è più dimenticato, che non rimane oscuro in un processo di “rivelazione, svelamento”. L’aletheia, insegnata da Dike dea della giustizia, si contrappone alla via delle false opinioni e dell’ignoranza.

Se la ricerca della veritas significa dimostrare la conformità di un fatto, di un’affermazione alla realtà, in aletheia lo “svelamento” è un percorso più radicale, costituisce un processo dinamico per la comprensione della realtà, per far emergere i vari percorsi storici.

L’esatto contrario di ciò che si sta sperimentando in Italia.

«Noi siamo un paese senza memoria. Il che equivale a dire senza storia. Se l’Italia avesse cura della sua storia, della sua memoria, si accorgerebbe che i regimi non nascono dal nulla, sono il portato di veleni antichi, di metastasi invincibili»,

scrisse già allora Pasolini!

Pasolini rende omaggio alla tomba di Antonio Gramsci | Fonte Wikipedia, Pubblico Dominio

La memoria dà la consapevolezza della continuità della storia, vista come eredità che si coniuga nel tumulto del presente: dimenticare il passato apre quelle crepe, quelle spaccature da cui escono i peggiori mostri contro ragione, coscienza, diritti, libertà, dignità, pace, uguaglianza…

Il senso della memoria è la costruzione di una coscienza comune, pubblica, nella ricerca di percorsi – difficili, spesso oscuri – che parte da lontano per acquisire un’etica diffusa che faccia prendere coscienza di fatti del passato e della loro ripercussione sul presente e sul futuro.

La memoria come bene comune

Scompaiono i testimoni di tempi storici passati e si teme che tutto possa essere sepolto nell’oblio, la memoria però è una scia che non si esaurisce e – in positivo o in negativo – lascia traccia nel presente e nel futuro.

Ricordiamo la shoah non solo per il dovere di non dimenticare le vittime, ma come simbolo universale di un orrore e una perversità umana per preservarci dal pericolo di ricadere in derive simili. Purtroppo la storia si ripete e ci parla ancora di genocidi, violenze di ogni tipo verso paesi interi, guerre, massacri, torture, schiavitù… che si tenta di coprire sotto le ceneri di un oblio che rende ciechi e sordi per non turbare la propria esistenza.

Genocidi operati da fame, cambiamenti climatici, guerre infinite, razzismo, fanatismi religiosi, intolleranza culturale… i cui responsabili hanno nomi e cognomi – fra i quali, forse, dovremmo scrivere anche i nostri -.

Non se ne parla o se ne parla troppo poco perché dimostrano come il “male” non si può vincere senza un sistema-mondo costruito su regole totalmente diverse da oggi.

Ricordare passivamente il passato può divenire un alibi per far tacere la coscienza: ci si indigna per le vittime di ieri e si rimane indifferenti di fronte a ciò che succede oggi, la memoria serve a condannare ciò che avvenne ma ha senso solo se fa sentire responsabili di ciò che avviene nel tempo che stiamo vivendo.

Allora, dopo aver ascoltato i testimoni dei tanti Auschwitz del passato, saremo capaci di indignarci per la cronaca di oggi, saremo attenti ad ascoltare i testimoni del genocidio perpetrato nel Mediterraneo, nei centri profughi, alle frontiere del nostro egoismo e indifferenza in ogni angolo di mondo.

La memoria è l’eredità di un passato non scomparso, non concluso: anche l’inedito conserva radici e fermenti di ieri, la memoria di quanto avvenne non significa conservare tradizioni che salvaguardano “identità” come conferma di nazionalismi e chiusure identitarie, ma, sulle radici di ieri, costruisce un domani nuovo, dove creare qualcosa di sconosciuto, non ancora sperimentato.

È necessario comprendere la memoria come bene comune da coniugare per un futuro migliore; si tende, invece, a perdere tale percezione per cui si ha una visione del passato schiacciata sul presente e incapace di illuminare un qualche diverso domani.

Memoria come bene comune non significa identificarsi in un livellamento piatto, ma scoprire un denominatore comune nella complessità delle singolarità personali e superare quell’individualismo – privato o d’insieme – che impedisce analisi, dubbi, ricerca, condivisione.

La storia è parte di ognuno di noi e di tutti, aiuta a comprendersi… la memoria deve essere occasione di incontro, contatto, scambio, strumento d’intesa ed occasione di reciproco rispetto, capacità di aprire il dialogo della ragione, un mezzo di educazione condivisa nella vita politica e nella società civile.

Secondo un luogo comune, il passato presenta sempre il conto… non sembra così scontato alla luce di fatti, parole, avvenimenti di ogni giorno… però lo scrittore greco Agatone affermava che “neanche gli dei possono far non avvenuto ciò che avvenne”.

La memoria deve affiancare la conoscenza storica.

L’importanza della storia non è tanto ricordare fatti e date, personaggi e luoghi, vincitori e vinti… è conoscere l’azione, il pensiero, il percorso degli esseri umani nello scorrere del tempo, in ogni campo, per questo aiuta a conoscere meglio noi e l’altro, il nostro paese e il mondo nel suo complesso.

La conoscenza storica è prender coscienza del cambiamento, del divenire, del concatenarsi degli avvenimenti, tutto ciò che fa capire cosa è successo per comprendere meglio ciò che sta succedendo.

È significativo il fatto che la distruzione della memoria, il far dimenticare il passato, siano un obiettivo perseguito da ogni potere e istituzione che guarda ai privilegi di pochi e non ai diritti di tutti.

La lotta contro la memoria non è prerogativa di alcuni paesi, è una pericolosa attualità ovunque, non esclusa l’Italia dove decreti leggi e provvedimenti estemporanei rischiano di mettere in pericolo una conoscenza del passato indispensabile per costruire un futuro migliore di questo difficile presente.

Ritengo sia utile conoscere il pensiero di chi vive con le ferite aperte di un passato recente, prendo come esempio una realtà che conosco bene, il Guatemala, dove gli Accordi di pace furono firmati nel 1996 dopo 36 anni di “violencia”.

La conferenza episcopale, nella persona di Juan Gerardi (ucciso subito dopo la presentazione, nel 1998, dei risultati del progetto REMHI[6]), e, poco dopo, la Comisión de esclarecimiento histórico[7], su iniziativa ONU, attuarono un’operazione di grande portata per il recupero e la conservazione della memoria di tutta la popolazione, dalla capitale ai più isolati villaggi:

«La verità è la nostra forza. Finché non si saprà la verità le ferite del passato rimarranno aperte e senza guarire. Abbiamo assunto il compito di rompere il silenzio che per anni ha tenuto nel dolore e nella paura migliaia e migliaia di vittime della guerra e dare la possibilità perché parlino e dicano la loro parola, raccontino la loro storia di dolore e sofferenza per sentirsi liberate dal peso che per tanti anni le ha oppresse. Non vogliamo dimenticare anche quando perdoniamo e giungiamo ad una riconciliazione, la memoria di tutto ciò che avvenne sarà sempre un punto di riferimento della nostra vita presente e futura.

In essa troveremo lezioni per non sbagliarci nel futuro ed evitare che tutto ciò accada di nuovo. In questo ha le sue radici l’importanza di lavorare per recuperare e comprendere la memoria di ciò che le nostre comunità dovettero soffrire a causa della violenza» (Juan Gerardi).

I poteri politico-economici non vogliono il cambiamento radicale della società previsto dagli Accordi di pace che rappresentano non soltanto il “cessate il fuoco”, quanto un progetto di paese nuovo, aperto alle sfide del futuro, con forti radici nel passato.

«La lotta per la memoria è una lotta ideologica storica dalla quale dipende la versione che della storia recente verrà insegnata alle future generazioni. La lotta per la memoria storica fa parte della lotta per l’egemonia popolare, cioè per la prevalenza della versione dei fatti che danno la collettività e le sue organizzazioni (e non le élites di potere) come protagoniste dei cambiamenti sociali. Nella lotta per la memoria storica, cioè nella lotta per la versione che si scriverà della storia di una tappa sociale, politica e culturale del nostro paese, non possono esserci mezze misure.

Una cosa è la riconciliazione come necessità per il futuro, tutt’altra cosa è invocarla nel proporre che non si faccia giustizia [ricorrendo anche all’amnistia] quando questa è la pietra miliare che permetterà di scrivere la storia oggettivamente e giungere ad una reale riconciliazione sociale. La lotta per la memoria storica è la lotta per la nostra legittimazione finale come popolo che rivendica la propria dignità. Di conseguenza è una battaglia che non possiamo perdere» (Mario Roberto Morales).

Il dovere della memoria

Storia e memoria sono le due facce di una stessa medaglia: la storia è fatta dagli avvenimenti del passato, la memoria li vive, interpreta, ricorda da una visione spesso parziale; la storia cerca la “verità” dai diversi punti di vista per sapere cosa è successo, la memoria è più legata a ciò che persone, gruppi, società, paesi si portano dentro come “esperienza” del passato.

Conoscere la storia, ripeto, non permette soltanto di “accertare i fatti”, significa interpretare, collegare, dare un senso a quanto nel tempo è avvenuto, innestare un approccio critico per essere più oggettivi, non accettare niente senza cercare di verificarne i motivi di fondo e le diverse fonti, aprirci a capire la complessità della realtà, andare oltre letture settarie e faziose che finiscono per spingere a far parte di realtà intransigenti e funzionali a interpretazioni di potere, di parte.

«I popoli hanno il diritto ai loro miti fondativi, alle loro leggende, a queste menzogne e mezze verità che servono da cemento per costruire un’identità che formi una coscienza collettiva e animi il loro cammino nella storia. È un elemento comune alla nascita della maggior parte delle nazioni che, da Roma agli Stati Uniti, hanno costruito la loro identità, così come il loro potere sulla Terra, su basi mitologiche.

È una prassi tanto comune quanto (forse) legittima. Però i popoli, le persone hanno anche il dovere di conoscere la verità, di sapere cosa è stato nascosto, cosa è stato esagerato, cosa è stato manipolato, cosa è stato inventato, […] chi sono i veri padri di questa identità inventata, i vincitori che riscrivono la storia: in quale fucina, in quale momento e per quale motivo è stato fuso l’acciaio di questa potente lega di realtà e finzione, di storia e leggenda» (Ignacio Escolar).

Il problema, però, va oltre: cosa veramente “vogliamo sapere” o “non sapere”? e non solo del nostro passato ma del presente, di ciò che sta avvenendo oggi, preparato da momenti storici di ieri, di cui siamo – più o meno direttamente – responsabili.

Sulla risposta si gioca il ruolo della memoria: «La memoria deve unire l’umanità per le nuove sfide. Se diventa una cassaforte identitaria perde la sua funzione» (Gabriele Nissim).

Non bastano commemorazioni, giornate della memoria, luoghi della memoria, viaggi della memoria… i fatti di ieri devono far scattare un’allerta su situazioni del presente che possono sfociare in realtà simili a quelle del passato: anche la shoah (e non solo) non è “avvenuta” improvvisamente, è stata preparata da un lungo periodo di scelte politiche e sociali di cui sono stati ignorati i segnali di pericolo.

Quando “qualcosa” si istituzionalizza, si trasforma in consuetudine, rischia di divenire una “moda”, se non addirittura un vuoto “dovere” di routine che non si può evitare… si parla di “abusi della memoria”.

Non una memoria statica per “ripagare” in qualche modo errori del passato, ma un ricordare per gettare luce sul presente; una memoria dinamica, come stimolo per ricercare un progetto comune per il domani, iniziando da una domanda che i giovani si e ci pongono: quale futuro? La presa di coscienza, la discussione sulla storia di ieri diviene indispensabile per illuminare il futuro da costruire.

Non si chiede alla memoria di “mettere ordine” nel passato, ma può intervenire nelle istanze del tempo presente: per non scadere in vago ricordo, deve mettere in discussione (quasi un’autocritica) l’arroccamento che il passar del tempo può rafforzare, cercando un coinvolgimento che apre alla propria presenza di oggi, dinanzi alle sfide di oggi, per comprendere le cause dei fatti e delle loro conseguenze con maggiori e migliori strumenti di analisi perché ora abbiamo i mezzi necessari per “sapere come sono andate le cose”, a cosa sono sfociati certi momenti storici, dove hanno portato certe scelte politiche.

L’aumento, e forse lo “sfruttamento”, della memoria rischia di togliere il mordente dei fatti senza aprire ad una conoscenza reale e complessiva di momenti storici non solo nostri. Non è possibile dimenticare il passato senza difficili conseguenze che divengono ostacoli al vivere civile.

Le domande giuste, pertinenti, non strumentali o funzionali a qualche fazione socio-politica, permettono di trovare le risposte necessarie al tempo che ci è toccato vivere.

Rimuovere il passato, nascondere le oscurità che hanno segnato soprattutto la storia più recente, produce individualismo, insofferenza, violenza, strumenti facili per chi teme democrazia, uguaglianza, rispetto della diversità, e impediscono di vedere il degrado umano, civile, sociale, politico, culturale che stiamo vivendo; molti finiscono per divenire pedine nel gioco di chi nasconde i suoi progetti con il pretesto di non “disturbare” la presunta “sicurezza” di una quotidianità, di fatto sempre più insicura, attraverso risposte non di vita ma di semplice e povera sopravvivenza.

Al “siamo tutti sulla stessa barca”, si sostituisce spesso “siamo tutti nello stesso mare” …che, però, può essere attraversato con navi da crociera, in un lussuoso yacht, in un pericolante gommone o una zattera improvvisata, qualcuno solo nuotando… ma chi potrà salvarci da un suicidio etico-morale, prima ancora che sociale, verso cui stiamo pericolosamente andando?

La memoria ci aiuta a rispondere a una domanda di grande importanza: quale mondo, quale futuro stiamo costruendo?

La memoria deve tener viva la storia vissuta verso traguardi di una vita migliore, le lotte per diritti conquistati con sacrifici e dolore, tenacia e forza morale, per un innalzamento di opportunità per tutti… deve spingerci a chiedersi il perché tutto questo non ci ha fatto davvero crescere, perché ci troviamo a vivere in una società chiusa su se stessa, su interessi individuali e “nazionali”, mentre sulle nostre teste si fanno giochi che rendono il futuro una minaccia per tutta l’umanità.

Non possono non suscitare domande e turbamento i corpi inermi che arrivano sulle nostre spiagge o che scompaiono per sempre nel mare; non possiamo non chiederci chi abbiamo ucciso, quali ricchezze abbiamo sottratto al futuro di tutti nella rotta della Libia, della Tunisia, nel percorso balcanico, nelle innumerevoli banlieues delle nostre ipocrisie; non possiamo non sentire l’orrore del riaffiorare dei nuovi schiavi venduti e comprati nel viaggio del Magreb; non possiamo non sentirci responsabili del lavoro schiavo nelle nostre terre per pagare qualche euro in meno nel consumismo dei nostri supermercati, complici degli enormi profitti accumulati da chi li sfrutta…

Non hanno impedito di scaldare i tifosi dei mondiali di calcio le denunce di migliaia e migliaia di morti sotto il manto verde degli stadi, sotto l’asfalto di veloci vie di comunicazione, dentro i muri dei grattacieli di hotel di lusso, sotto la dignità lacerata di donne stuprate e costrette alla prostituzione…

Tutto poteva andare in un’altra direzione, non è il destino a chiudere le porte ad un presente e ad un futuro diversi, spetta ad ognuno di noi costruirlo: tra queste macerie, abbiamo la possibilità di invertire la rotta per rivendicare il diritto anche di chi è stato ucciso da una logica perversa, di chi è stato ridotto al silenzio, di ogni schiavo che deve chinare la testa per tentare di continuare a sperare, di chi è rimasto sotto le acque del mare, di chi non ce l’ha fatta, di chi…

C’è un “possibile” da (ri)costruire prima di tutto in noi, immaginarlo, farcelo crescere dentro già lungo il percorso perché divenga reale, la speranza di ciò che non c’è ma che potrebbe essere se solo lo vogliamo, se solo lo volessimo insieme.

Chiese a Marco Kublai: – Tu che esplori intorno e vedi i segni, saprai dirmi verso quali di questi futuri ci spingono i venti propizi –.

– Per questi porti non saprei tracciare la rotta sulla carta né fissare la data dell’approdo. Alle volte mi basta uno scorcio che s’apre nel bel mezzo d’un paesaggio incongruo, un affiorare di luci nella nebbia, il dialogo di due passanti che s’incontrano nel viavai, per pensare che partendo di lì metterò assieme pezzo a pezzo la città perfetta, fatta di frammenti mescolati col resto, d’istanti separati da intervalli, di segnali che uno manda e non sa chi li raccoglie. Se ti dico che la città cui tende il mio viaggio è discontinua nello spazio e nel tempo, ora più rada ora più densa, tu non devi credere che si possa smettere di cercarla. Forse mentre noi parliamo sta affiorando sparsa entro i confini del tuo impero; puoi rintracciarla, ma a quel modo che t’ho detto – [8].


Note

[1] Manuel Rivas, Los libros arden mal, Alfaguara 2006

[2] Idem

[3] Ai Wei Wei, Mille anni di gioia e dolori, Feltrinelli 2023

[4] Mario Benedetti – El olvido está lleno de memoria

[5] Liliana Segre, 23 gennaio 2023

[6] Guatemala nunca más. Informe Proyecto Interdiocesano de Recuperación de la memoria histórica, 1998 – 4 volumi

[7] Guatemala memoria del silencio. Informe de la Comisión para el Esclarecimiento Histórico, 1999 – 12 volumi

[8] Italo Calvino, Le città invisibili, Oscar Mondadori 1993


 

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