India verso il G20: la povertà è brutta, eliminiamola!

Daniela Bezzi

Il volto rassicurante di Narendra Modi è proprio ovunque, e non solo sui muri di New Delhi. Con l’occasione del G20 ogni possibile superficie o scorcio di paesaggio urbano in tutta l’India è stato usato come veicolo per amplificare come non mai la statura di un Modi-ji (Onorevole Primo Ministro) che apertamente ambisce a un ruolo di guida, la parola esatta è Vishwaguru, sul piano globale. Fiancate di autobus, pensiline, manifesti extra-large, persino gli involucri dei generi di prima necessità: lo sguardo benevol-severo di Modi-ji ti segue ovunque. Per non dire del battage sui talk show: “Un culto della personalità come mai si era visto prima d’ora” mi racconta un’amica indiana “e l’aspetto più inquietante è che il pubblico sembra gradire, indici di popolarità stellari…”

Non meno di 200 incontri preliminare sono stati organizzati in tutta l’India dall’inizio dell’anno al week end che sta per iniziare, 9 e 10 settembre, con la finalità solo apparente di impostare con buon anticipo almeno alcune delle questioni in agenda – perché l’evidente strategia di comunicazione è tutta interna, in vista delle elezioni del prossimo anno che Modi ha intenzione di stravincere per la terza volta.

Uno sfoggio di rinnovato orgoglio nazionale con il primario obiettivo di gratificare l’elettorato pro-Modi, e quello tutt’altro che secondario di allargare ancor più la platea. Particolarmente plaudite le iniziative rivolte ai giovani, con la miriade dei seminari on line o vere e proprie adunate, i moduli distribuiti nelle scuole con l’invitante intestazione “Scrivi al Primo Ministro”, per sollecitare dagli studenti chissà quali suggerimenti utili al miglior posizionamento dell’India a livello globale.


 

Ma quanto sarà costato una simile campagna? 120 milioni di dollari è la cifra che circola sulle testate indiane, probabilmente di più. E che sarà mai per un Narendra Modi che Bloomberg ha descritto al vertice dell’organizzazione politica più ricca del pianeta – perché non dobbiamo dimenticare che a sostegno del suo operato e culto della personalità non c’è solo il BJP, in quanto partito di governo, ma una organizzazione che si chiama RSS (acronimo che sta per Organizzazione Nazionale di Volontari), che del BJP rappresenta la forza di capillare anzi para-militare mobilitazione, presente in tutti gli angoli dell’India, anche quelli più interni e remoti.

“Per anni siamo stati una nazione che agli occhi del mondo appariva afflitta dalla cronica povertà. Da oggi il mondo sarà costretto a prendere atto che siamo ricchi di un miliardo di giovani uomini e donne, ricchi di sogni e aspirazioni, ricchi di oltre due miliardi di braccia capaci di qualunque cosa, dalla progettazione dei superconduttori fino allo sbarco sul versante sud della luna come delle più squisite creazioni”, questa la fanfara del Vishwa Guru Modi-ji man mano che ci si avvicina al week end.

Quanto alla povertà, e che diamine: eliminiamola una volta per tutte! Nel senso letterale: a colpi di ruspe, bulldozer, deportando il più possibile lontano dalla vista intere comunità da decenni residenti nei vari slum più o meno illegali del centro di New Delhi. Un lungo articolo pubblicato proprio ieri dall’ottimo web site The Quint documenta nei dettagli l’estensione di questa allucinante prodezza, nel nome della beautification (abbellimento) necessitato dall’importante evento.


Ben cinque le aree prese d’assalto e rase al suolo secondo il Land Conflict Watch. Due di queste (Mehrauli e Tughlakabad, che complessivamente conterebbero oltre 250.000 residenti!) coincidono con zone di indubbio interesse archeologico, e rientrano nel programma di visite previsto per i distinguished guests del G20. Idem per alcuni slum lungo il fiume Yamuna (4.900 persone) e nel quartiere di Moolchand (3.000) che sfortunatamente costeggiavano le arterie afferenti al centralissimo Pragati Maidan, dove avranno luogo gli incontri. Ma le demolizioni, gli sfratti, le intimidazioni per convincere la gente a sloggiare, hanno visto sotto assedio parecchi altri quartieri di Delhi, da fine aprile ad oggi e con una brutalità senza precedenti.

“La polizia ha circondato tutto quanto, ha installato dei dispositivi di blocco del segnale in modo da impedirci di condividere quel che avremmo ripreso con il cellulare. Ha imposto la chiusura di tutti le attività commerciali e in due giorni ha raso al suolo le nostre case” è la testimonianza di un certo Shakeel, dal quartiere di Suraksha Manch,

Nell’area di Mehrauli, dove tra l’altro sorge il Qutub Minar, magnifico minareto dichiarato patrimonio dell’UNESCO, le demolizioni sono iniziate addirittura a febbraio: 4000 famiglie costrette ad andarsene, benché le povere abitazioni in cui dimoravano fossero state in qualche modo ‘regolarizzate’, con gli  allacci per l’acqua e l’elettricità, un insediamento che sembrava tacitamente accettato dalla municipalità, ma non per il G20.

“Di quale crimine dovrei rispondere? Sono madre di un ragazzino che andava a scuola, si impegnava. Il nostro rifugio è stato distrutto, adesso abbiamo trovato riparo sotto gli alberi, ma fino a quando? Come riusciremo a garantire la frequenza scolastica ai nostri figli… come è possibile che le autorità si siano dimenticati di noi!” è un’altra testimonianza raccolta da The Quint – e così via, mentre a reti unificate i media pro-Modi plaudono al coraggio (sic!) di questi interventi, grazie ai quali la capitale dell’India non è mai stata così bella, come racconta anche Hannah Ellis-Peterson su The Guardian. “Sparite le scene di povertà che fino a ieri erano il normale urban landscape di New Delhi, intere famiglie accampate sui marciapiedi o al riparo dei sottopassaggi con i loro miseri averi. Sloggiati chissà dove centinaia di migliaia di venditori ambulanti. Risolto una volta per tutti il problema degli slum che sino a poco tempo fa erano un pugno nell’occhio per i turisti…” e così via. Auguriamoci solo che la ricetta non venga seguita troppo alla lettera da quel Global South di cui Narendra Modi vorrebbe assumere la guida!

“E’ davvero uno scandalo: la gente in questa città muore per strada, soprattutto nel freddo pungente dell’inverno, o perché non ha accesso agli ospedali. Di questo dovrebbe preoccuparsi il Governo Indiano” è il commento dell’attivista sociale Harsh Mander, impegnato sul fronte dei diritto alla casa e in particolare sulla piaga dei bambini randagi. “Invece si vergogna dell’effetto che lo spettacolo della povertà potrà avere sui dignitari che stanno per atterrare a Delhi. Come se la povertà, la necessità di arginare la crescente disuguaglianza non fossero tra i più gravi problemi del mondo in cui viviamo, non solo in India – e non a caso tra i primi obiettivi delle Nazioni Unite, per cui senz’altro nell’Agenda del G20…”

Secondo i più recenti dati disponibili la percentuale di povertà in India avrebbe registrato un confortante declino nell’arco dell’ultimo decennio, particolarmente negli stati dell’Uttar Pradesh, del Bihar, del Madhya Pradesh, del Rajashtan e dell’Orissa. Ma gli stessi dati descrivono una netta controtendenza per quanto riguarda le grandi città, e in particolare New Delhi, naturale recettore dello sfollamento ambientale da alcuni degli stati appena elencati. Nel giro dello stesso ultimo decennio la popolazione  di Delhi è quasi raddoppiata e conta attualmente quasi 35 milioni di abitanti, su un’area metropolitana che si è mostruosamente estesa, ma solo in minima parte è riuscita a garantire condizioni di decenza e abitabilità.

“Il denaro usato per questa operazione di make up viene anche da noi contribuenti, non è accettabile un simile spreco per un evento che durerà solo pochi giorni! Non è accettabile una simile offesa alla povertà” è l’opinione di un gruppo di attivisti chiamato Save The Colony Forum, che in questi ultimi tempi si è molto impegnato per dare visibilità al problema delle demolizioni. “Invece di costruire quell’edificio dall’altisonante nome Bharat Mandupam, dove avverranno gli incontri del G20, perché non costruire nuove case, perché non considerare che anche su questo fronte di welfare l’India potrebbe dare una lezione al mondo…”

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Il We20 Summit dei Movimenti Sociali dell’India, di cui abbiamo riferito su questo web site, intendeva dibattere proprio questi temi e perciò è stato censurato già dal secondo giorno. Il focus era la stridente proporzione tra un interventismo di facciata, esercizio di vanagloria a cortissimo raggio, rispetto alle reali urgenze di un intero subcontinente che sta sicuramente facendo dei progressi, ma sul fronte della giustizia sociale resta sordo.

Nella memoria di tutti rimane scolpita l’immagine di quel muro, lungo mezzo chilometro, eretto nello stato del Gujarath in occasione della visita di Donald Trump, per impedire la vista di uno slum abitato da migliaia di straccioni. E prima ancora, anno 2010, le demolizioni motivate dai giochi del Commonwealth – quando (va detto) al governo non c’era ancora il BJP ma il Partito del Congresso, stessa gestione della povertà nel segno dell’abolizionismo.

“La città intera è di nuovo in stato di lockdown” mi descrive in estrema sintesi l’amica di New Delhi. “Si vergognano di noi. I poveri sono stati eleminati, il resto starà a guardare.”

Anche perché proprio nelle ultime ore si è scatenata l’ennesimo incredibile dibattito, circa il fatto che dal G20 in poi l’India potrebbe non chiamarsi più India, bensì assumere l’antica denominazione di Bharat, in omaggio a quella valorizzazione identitaria, a quel ritorno alle gloriose origini del tempo che fu, precedente (secondo il mito) a ogni invasione esterna, precedente in particolare al dominio coloniale, con tutto ciò che ne è conseguito. E non è solo una questione culturale, non è solo l’ennesimo esercizio di sanskritizzazione, perché se così fosse, se la geografia del Sud-Est Asia dovesse recepire una simile ‘novità’, gli antichi confini del Bharat che precedeva l’attuale India vedrebbero annullata quella dolorosa partizione che ha generato il Pakistan – che infatti ha subito protestato.

Una polemica insomma totalmente pretestuosa, che è stata innescata dall’invito diramato dal Governo Indiano alla cena d’onore, sabato 9 settembre, in cui appunto si legge “Il Presidente di Bharat, ha l’onore di invitare ecc ecc…” e subito tutti a speculare, tutti presi in rete, tutti a giocare la ben nota partita della polarizzazione: purché si discuta, anzi purché si litighi, magari con legioni di trolls pagati ad hoc per dirigere le danze…

Una partita che Modi Vishwa Guru ha mostrato di saper condurre molto bene – e che anche senza il G20 rischia di diventare sì il modello per molti paesi anche fuori dall’India (ops: fuori da Bharat).

3 – Continua


 

 

 

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