Proteggere la filiera alimentare… non solo merci, anche persone

Elena Camino

La circolazione mondiale di cibo

“Scarsità di cibo”: questo il titolo di un recente articolo pubblicato sul giornale «The Guardian». Se i governi introducessero misure protezionistiche durante questa crisi sanitaria da coronavirus, potrebbero verificarsi difficoltà di approvvigionamento di cibo in tutto il mondo: questa l’opinione espressa da Maximo Torero, economista dalle FAO (Food and Agriculture Organisation).

Maximo Torero

I raccolti sono stati buoni, ma la ridotta disponibilità di lavoratori agricoli causata dalle restrizioni decise per arginare i contagi e certe decisioni di tipo protezionistico (tariffe e bandi all’esportazione) potrebbero causare rapidamente dei problemi. Torero afferma che «la cosa peggiore che possono fare i governi è di ridurre il flusso dei generi alimentari. Tutte le misure contro la libera circolazione di questi beni saranno controproducenti».

Purtroppo alcuni hanno già preso misure restrittive: il Kazakhstan, per esempio, ha vietato l’esportazione di farina di grano, di cui è uno dei maggiori produttori, e ha imposto delle restrizioni su  grano saraceno e verdure, tra cui cipolle, carote e patate.  Il Vietnam, terzo esportatore mondiale di riso, ha temporaneamente sospeso I contratti di vendita. Non è ancora definita la posizione di Russia e Stati Uniti. 

‘Forza-lavoro’ e mezzi di trasporto

Finora l’approvvigionamento di cibo sta funzionando bene nella maggior parte dei Paesi, ma la situazione potrebbe farsi problematica nei prossimi mesi, quando molti generi di frutta e verdura saranno pronti per la raccolta. Si tratta di prodotti a rapida maturazione e rapidamente deperibili. Tuttavia – ricorda l’esperto della FAO, «frutta e verdura richiedono molta manodopera, e se questa non è disponibile perché non può muoversi, è un grosso problema».

Occorre dunque assicurare che la forza-lavoro possa continuare a muoversi, così com’è necessario assicurare la circolazione delle merci: il lockdown imposto per arginare la pandemia deve essere accompagnato da norme che consentano la raccolta e la distribuzione di frutta e verdura: la forza-lavoro e la logistica associate a queste merci non devono incontrare barriere ai confini.

André Laperrière

André Laperrière, Direttore esecutivo della Global Open Data for Agriculture and Nutrition, sostiene che i confini tra UK e gli altri Paesi dovrebbero restare aperti per consentire gli scambi di generi alimentari, e che i lavoratori agricoli dovrebbero essere forniti di equipaggiamento protettivo per operare in sicurezza nonostante il coronavirus: «Il settore del cibo fa parte delle infrastrutture critiche, insieme al settore sanitario e alle emergenze».

Lavoratori stagionali… da dove?

Ma da dove arrivavano questi lavoratori stagionali? È solo dagli anni ’90 del secolo scorso che l’agricoltura inglese è diventata pesantemente dipendente dai lavoratori stagionali internazionali.  Il fenomeno è da collegare con la progressiva concentrazione del controllo nelle mani di poche grandi aziende. Ciò significa che il potere di contrattazione degli agricoltori si è notevolmente ridotto, con conseguente rapido calo dei margini. L’accentramento di potere ha trasformato il comparto agricolo in una grande industria, e molti piccoli agricoltori sono stati costretti a ridurre i salari ai braccianti, per sopravvivere. Ad ogni primavera si è assistito, negli ultimi decenni, alla migrazione stagionale di manodopera agricola soprattutto dai Paesi dell’Est Europa.  

I migranti stagionali di solito ricevono un salario inferiore a quello che un inglese considera accettabile. Inoltre chi arriva per raccogliere frutta, svolgere lavori agricoli non qualificati, raccogliere frutti di mare trova condizioni di lavoro faticose e sistemazioni abitative precarie, rifiutati dalla maggior parte degli inglesi. [3]

Dato che si prevede nel 2020 un calo del 75% del numero di lavoratori stagionali stranieri nel settore orto-frutticolo, bloccati dalle restrizioni causate dalla pandemia, si spera adesso di mobilitare la forza-lavoro locale, in modo da sopperire per quanto possibile al calo di manodopera.

Nel Regno Unito alcuni leader del settore agricolo hanno lanciato la richiesta di una ‘armata di terra’ (land army) di braccianti agricoli per rimpiazzare la mancanza di un gran numero – stimato fino a 80.000 – di migranti stagionali che ogni anno arrivavano nel Paese nella stagione del raccolto.

Organizzazioni locali di proprietari terrieri, di grandi imprenditori e anche proprietari di piccole e medie imprese hanno chiesto al governo contributi finanziari per pagare dei braccianti agricoli sostitutivi, e facilitazioni per favorire l’inserimento lavorativo di persone residenti in UK che – per effetto del lockdown – hanno perso il lavoro:

«Abbiamo bisogno urgente di aiuto: molti agricoltori inizieranno presto, o hanno già iniziato, a seminare o a raccogliere».

Da invisibili a indispensabili

Negli anni passati i tentativi di far tornare gli inglesi a scegliere lavori agricoli sono falliti: gli incentivi sono pochi, le aree di elevata disoccupazione sono spesso distanti dalle aziende agricole che offrono lavoro. L’impiego in agricoltura in UK è stato finora percepito come un vicolo cieco, ed è socialmente poco apprezzato. Le paghe, che per gli stagionali stranieri rappresentano una discreta occasione di reddito, non lo sono per i residenti inglesi. La meccanizzazione si è finora rivelata inadeguata, data la delicatezza del lavoro di raccolta, anche se alcuni ipotizzano la prossima introduzione di robot.

La pandemia in atto sta modificando rapidamente e profondamente la situazione, mettendo in evidenza il ruolo primario del bracciantato agricolo nell’assicurare la stabilità e la continuità della filiera alimentare.  Forse nei prossimi mesi gli inglesi disposti a lavorare in campagna saranno più numerosi che in passato, e la società urbana imparerà a riconoscerne l’importanza e il valore.

E altrove?

Secondo la Coldiretti [6], la chiusura delle frontiere che è stata decisa per fronteggiare il Coronavirus “blocca” nella sola Europa quasi un milione di lavoratori stagionali dell’agricoltura, proprio nell’imminenza delle campagne di raccolta ortofrutticola. Dalla Germania alla Francia, dalla Spagna all’Italia è allarme per l’Ue, che rischia di perdere quest’anno l’autosufficienza alimentare e il suo ruolo di principale esportatore mondiale di alimenti.

Il drammatico progredire della pandemia da Covid-19, oltre al carico sul settore sanitario, sta scompaginando tutti i settori produttivi: in particolare i braccianti agricoli, sia quelli che stagionalmente migrano all’estero, sia i migranti interni, sono ovunque in situazioni disperate.  In India, per esempio, milioni di braccianti a giornata sono rimasti senza lavoro, senza paga, e per lo più senza tutele sociali: molti sono di origini contadine, e cercano di tornare ai loro villaggi, per riunirsi alle famiglie e cercare insieme di resistere. In questi giorni sui media si vedono fotografie di autostrade deserte di auto, e lunghe file di uomini e donne che camminano lungo i bordi delle strade: dopo che il governo ha ordinato lo stop ai mezzi di trasporto, non c’è altro mezzo che andare a piedi.

L’Italia irregolare

Anche in Italia le aziende agricole hanno visto calare drammaticamente la disponibilità di lavoratori agricoli in alcune aree del Paese, perché l’emergenza Covid-19 ha causato l’interruzione dei flussi dai Paesi dell’Est Europa. Si è verificato infatti un rientro massivo da parte di persone immigrate da Romania e Bulgaria, mentre gli arrivi previsti dalla Polonia si sono azzerati.

Dai dati del 2019, su un totale di 3,3 milioni di occupati irregolari in Italia, 220mila possono essere ricondotti alle attività agricole, della silvicoltura e della pesca, settori indispensabili per la sicurezza alimentare.  Rappresentanti di sindacati e organizzazioni del terzo settore hanno espresso in questi giorni profonda inquietudine e preoccupazione per le migliaia di lavoratori stranieri che abitano nei tanti ghetti e accampamenti di fortuna sorti nel nostro paese.

Hilal Elver

All’inizio di marzo 2020 la Relatrice speciale per il diritto al cibo, Hilal Elver, ha presentato al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite il rapporto relativo alla visita in Italia che ha svolto  dal 20 al 31 gennaio 2020. Preoccupante la situazione dei lavoratori nel settore agricolo sia per i carichi di lavoro eccessivi, sia per i salari molto bassi. Inoltre, prolifera il lavoro nero, soprattutto nei casi in cui sono utilizzati lavoratori migranti (che ricevono 2 euro l’ora a fronte di un importo minimo fissato a 7 euro) e stagionali, così come troppi lavoratori sono vittime del caporalato.  

Dunque, mentre in UK si pensa di convincere gli inglesi ad accettare il lavoro agricolo, in Italia il problema più urgente da affrontare può essere quello di far emergere il lavoro nero, assicurando il riconoscimento dei diritti, la tutela della salute  e la dignità di svolgere – con uno stipendio equo – un lavoro di cruciale importanza per tutta la società.

Verso un secolo contadino

Mi ha sempre colpito la scarsa considerazione e la mancanza di rispetto che la ‘moderna’ società esprime  verso i contadini, che sono il prezioso, indispensabile anello di collegamento tra noi e i doni della natura. Anni fa avevo presentato ai lettori del CSSR un libro scritto da Silvia Perez Vitoria dal titolo Manifesto per un XXI secolo contadino [8] (Jaca Book, Milano 2016), dopo aver letto con grande interesse due suoi precedenti libri (Il ritorno dei contadini, 2007; La risposta dei contadini, 2011). In questo «Manifesto» Silvia Perez-Vitoria vuole trasmettere l’urgenza di scelte politiche e sociali che consentano di restituire ai contadini il loro ruolo – necessario e indispensabile – per la sopravvivenza dell’umanità sulla Terra. Si legga anche l’intervista di Giuliano Battiston a Silvia Perez-Vitoria: Uno spettro si aggira per il mondo, lo spettro dei contadini.  

Trascrivo qui alcune frasi che l’Autrice scrive nella parte conclusiva del suo libro (pag. 116 e seg.):

«L’agricoltura rappresenta il fondamento di una ricostruzione sociale, al di là del fatto che questa si realizzi dopo un conflitto armato, dopo una catastrofe naturale o per rimediare ai danni dello sviluppo. Tale ricostruzione deve però essere il frutto dell’iniziativa di una comunità umana che trova il tempo di conoscere il proprio territorio, di definire ciò che può fare con i propri mezzi. […]

La natura è indispensabile per la sopravvivenza dell’umanità. Procura il cibo, la base per la maggior parte dei farmaci, acqua potabile, aria pura, senza contare la bellezza e la poesia, e molti altri modi di dare, a noi umani, un equilibrio. La natura deve essere preservata, conservata, semplicemente amata. […]

Non c’è niente di ineluttabile negli orientamenti che si dà una società. Si può tornare indietro, farsi da parte, fermarsi, riflettere, ricominciare…ma per far questo bisogna essere capaci di ammettere i propri errori. Alla luce delle conseguenze sempre più evidenti del sistema che abbiamo creato, dobbiamo avere il coraggio di dire che ci siamo sbagliati e che in ogni caso non andremo molto lontano proseguendo per questa strada. Allora perché non ripartire dai fondamenti della vita sulla Terra, che presuppongono rispetto, equilibrio e considerazione delle molteplici visioni del creato dei popoli?».

2 commenti
  1. Giorgio Cingolani
    Giorgio Cingolani dice:

    Ebbene si, è venuto il momento per analisi approfondite del settore agroalimentare e proposte per cambiamenti radicali del sistema produttivo e distributivo dei prodotti alimentari che è palesemente insostenibile sul piano tecnico, economico, ecologico, finanziario e soprattutto sociale. La crisi denunciata nell'articolo di Elena focalizza un aspetto della insostenibilità sociale del modello di produzione/distribuzione del cibo nella maggioranza dei Paesi industrializzati: quello denunciato di mancanza di lavoratori per la raccolta dei prodotti ortofrutticoli dove la meccanizzazione non è possibile. Ma occorre affrontare contestualmente anche tutte le altre cause di insostenibilità. Infatti il modello dell'agricoltura moderna convenzionale crea il problema della stagionalità del lavoro in agricoltura perché porta a estremi di specializzazione nella produzione che a livello aziendale si trasforma in monocoltura con abbattimento di agrobiodiversità e punte di domanda di lavoro bracciantile in particolare nella stagione della raccolta dei prodotti ortofrutticoli. Ovviamente c'è il problema della finanziarizzazione del settore di trasformazione e distribuzione del cibo ed in particolare della catena distributiva. Problemi trattati da molteplici autori: ricordo solo gli atti del Convegno organizzato dalla Fondazione Luigi Micheletti in aprile 2015 e pubblicati da Jaca Book a cura di Pier Paolo Poggio "Le tre agricolture, contadina, industrale ecologica , Nutrire il pianeta e salvare la terra" a cui è seguito un altro convegno organizzato della stessa Fondazione Micheletti nell'Ottobre 2017 "Nuovi Contadini . Per una agricoltura ecologica., ma i cui atti non sono stati pubblicati
    A questi due convegni ha collaborato il CSSR. Credo che la tragica crisi indotta dalla pandemia COVID-19 sia l'occasione per fare giustizia ai lavoratori stagionali in agricoltura ma anche trasformare il modello agroalimentare in Italia e non solo.

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  2. beppe marasso
    beppe marasso dice:

    Devo esprimere grande apprezzamento per le parole di Elena Camino e di Giorgio Cingolani. E' sperabile che l'attuale pandemia di coronavirus passi presto e che sia davvero sentita come una sveglia. Sveglia di una società che deve avere il coraggio di dire che ci siamo sbagliati.
    La società urbana non solo allontana dal cibo sano, allontana pure dalla sobrietà dei consumi, che è propria di chi ha esperito il valore delle cose, cioè la fatica di produrle. Ha dell'incredibile la quantità di cibo che , ai vari livelli della filiera alimentare, nei paesi ricchi viene buttata. la società urbana allontana altresì dalla conoscenza del proprio territorio-comunità, così come dalla bellezza della natura e del variare delle stagioni.
    E' possibile che solo il 2,6% dei lavoratori siano nell'agricoltura attraverso il costo (energetico e non solo) di fortissima meccanizzazione, la quale per altro, a sua volta, è possibile anche attraverso manipolazioni genetiche. Valga l'esempio di pomodori per conserve che vengono "corretti" affinchè anche a maturità siano consistenti, cioè raccoglibili da macchine senza venire spappolati.
    La società urbana è strutturalmente "ignorante" e dunque irresponsabile, distante da ciò che la sostiene materialmente, estranea alla vita che viene dalla vita.
    Gandhi ha profeticamente proposto una libertà (swaraj) fondata sulle proprie risorse (swadeshi), che vanno conosciute ed, essendo limitate, vanno gestite con parsimonioso amore. Il contrario di quel che abbiamo fatto.
    Le Comunità dell'Arca, fondate da Lanza del Vasto (chiamato da Gandhi Shantidas) sono un serio tentativo di cambiare marcia. L'incontro avvenuto l'estate scorsa alla Borie Noble e Flaissiere , con presenza di amici da vari paesi d'Europa e dall'America Latina è stata una grande gioia.

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