Votare per la pace? Un dilemma d/Democratico

Richard E. Rubenstein

Ho avuto recentemente occasione di discutere degli atti di politica estera dell’Amministrazione Biden e del partito Democratico USA con un vecchio amico del movimento pacifista. Che era d’accordo con che chiamare tale politica “imperialista” sia caso mai diminutivo. Ne è risultato che dichiarasse: “nel sistema bipartitico americano non c’è un male minore per cui votare o da sostenere”.

Nessun male minore? L’espressione mi ha ricordato intensamente di quand’ero nel movimento contro la Guerra del Vietnam, quando sembrava esserci nessuna differenza sostanziale fra le politiche globali del partito Democratico di Lyndon Johnson e dei Repubblicani cui era a capo Riichard Nixon. Anche oggi, in una nazione iperpolarizzata dal conflitto fra i Repubblicani nazionalisti bianchi e i Democratici liberal “attenti” [sensibilizzati a dinamiche sociali trascurate – ndt], ci sono analogie impressionanti e scoraggianti fra le opinioni e azioni dei due partiti riguardo a guerra e pace.

Fin da quando Lyndon Johnson, auto-dichiarato “candidato per la pace” del 1964, fabbricò una fasulla “Crisi del Golfo del Tonchino” e inviò mezzo milione di truppe USA in Vietnam, i Democratici hanno combinato programmi sociali relativamente progressisti in patria con interventi militari ultra-violenti all’estero. il governo Biden ha continuato questa bellicosa tradizione approvando un bilancio militare che spende più in armi che le dieci nazioni susseguenti in graduatoria messe assieme e oltre tre volte quello di tutti i presunti avversari USA. L’astrale sostegno governativo all’ Ucraina adesso comprende armi prima rifiutate al regime di Zelensky in base al rischio di un aggravamento serio della guerra da parte russa. Il potenziamento militare senza precedenti contro la Cina ha proceduto di pari passo agli sforzi di creare un’alleanza anti-cinese di tipo NATO in Asia. Con i trattati di regolamentazione degli armamenti nucleari stracciati o malandati, e una soluzione diplomatica per la crisi ucraina dichiarata esclusa dall’agenda (“non-starter”), tali attività ostili hanno quasi di certo aumentato la probabilità di una terza guerra mondiale fra grandi potenze nucleari.

Date le circostanze, ha sostenuto qualche patrocinatore di pace, si potrebbe sostenere il partito Repubblicano tanto quanto i Democratici.  La dottrina “Prima l’America” di Donald Trump, per qualche verso un revival dell’antico isolazionismo Repubblicano, ha condotto il paese verso lotte economiche con i concorrenti come Russia e Cina piuttosto che a confronti militari. Trump aveva promesso, pur non mantenendo, negoziati di pace con la Nord-Corea. E ci sono alcuni Repubblicani libertari abbastanza da considerare il Pentagono un esempio del “mega-governo” che vorrebbero eliminare.

Il problema con queste posture antiimperialiste, tuttavia, è che non riescono a dissimulare appassionato patrocinio di gran parte dei Repubblicani per una maggiore spesa militare e una “modernizzazione” nucleare, il loro odio profondo per la “Cina comunista”, la propria glorificazione ultra-patriotica di qualunque cosa di bellicoso, e la loro attuale tendenza a chiamare “codardo” il regime di Biden per la mancata fornitura agli ucraini di armi in grado di colpire la Russia in profondità. Il recente accordo fra Repubblicani e Democratici in parlamento di ridurre le spese federali contiene un aumento del 4% in spese militari e si concentra invece sulla riduzione dei programmi assistenziali federali per i civili poveri e della classe lavoratrice. Sicché le politiche pro-guerra di ambo i partiti generano povertà e crimine a casa e morte e distruzione all’estero.

Il che ci riporta alla domanda originaria: come dovrebbero comportarsi i pacifisti in un universo politico dominato da due partiti, ciascuno dei quali, dominato da un’ideologia di “pace mediante la forza” e finanziato da gigantesche aziende militar-industriali, persegue politiche mirate ad assicurare l’egemonia globale USA?  Una riposta che ha a lungo influenzato il mio comportamento politico è rompere con i grossi partiti. Ci si può rifiutare di sostenere Repubblicani o Democratici lavorando invece per rafforzare la credibilità e la potenzialità di qualche partito più piccolo oppure organizzazione all’opera per la pace e la giustizia.

I vantaggi d’impegnarsi in tale sorta di politica comprendono non solo il piacere di agire secondo quel che si crede, ma anche l’opportunità di concentrarsi sulle cause di guerra e promuovere metodi per eliminare i problemi sociali insoluti e l’affarismo predatorio militar-industriale che generano la violenza di massa. Gli svantaggi sono però preponderanti. Avendo partecipato a tali attività di “terzo partito” per molti decenni, posso testimoniare sia la soddisfazione emotive che si ha lavorando con autentici compagni politici, sia la profonda frustrazione e sensazione d’impotenza prodotta dall’essere isolati dai partiti di massa e la continua disunità e frammentazione delle forze pro-pace.

Negli USA, dove non c’è neppure l’equivalente di un partito “di sinistra” francese o tedesco, il destino dei partiti terzi è o di sparire senza lasciar traccia, o di trovarsi i programmi assorbiti dai partiti maggiori (come qualche iniziativa socialista fu assorbita dal New Deal di Franklin Roosevelt), oppure, in una crisi cataclismica come quella che produsse la guerra civile USA, di prendere il potere come fecero Lincoln e i Repubblicani nel 1860. La storia suggerisce che un attivista per la pace in America farebbe meglio a fungere da membro di una frazione dissenziente di uno dei partiti politici importanti.  Mi pare che tale conclusione abbia due immediate implicazioni:

Prima, negli Stati Uniti il partito con cui lavorare dev’essere il Democratico. Ciò nonostante che la storia di tale partito, come quella di molti partiti socialdemocratici europei, sia stata segnata da ripetuti tradimenti dei propri iscritti centrali. Il “candidato per la pace” Woodrow Wilson (come molti socialdemocratici in Europa Occidentale) impegno i lavoratori e i garzoni agricoli che avevano votato per lui a combattere e morire nelle trincee [europee] della 1^ guerra mondiale. Harry Truman sganciò le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, definì il ruolo americano nella guerra fredda e combatte le sue prime vere battaglie calde in Corea. Lyndon Johnson ci diede la disastrosa guerra in Indocina, che uccise, si stima, 5 milioni di vietnamiti, laotiani e cambogiani. le lunghe guerre in Afghanistan e Iraq sono state a guida Repubblicana, ma Biden, antico falco che da senatore votò l’autorizzazione alla guerra in Iraq, sempre più giustifica rischiose intensificazioni di violenza contro Russia e Cina sotto l’insegna della “difesa della democrazia”.

Capendo questo, sembra non solo impossibile per dei pacifisti sostenere l’odierno partito Repubblicano, ma anche imperativo che assistano i Democratici a impedire a Donald Trump o a qualcuno come lui di riacquisire la Presidenza. Le guerre afghana e irakena di George Bush sono state disastrose, ma l’odierno partito Repubblicano, frattanto convertito al conservatorismo nazionalista bianco da Trump e i suoi servitori, fa apparire Bush uno scipito liberal. Il rullio di tamburi dell’estremismo di destra cominciato nel 2017 col presidente neoeletto a scusare la violenza razzista, antisemitica di un raduno di “Unite the Right” a Charlottesville, Virginia, è divenuto sempre più forte e minaccioso negli anni successivi, culminando nel violento attacco al Congress da parte di super-patrioti convinti che i Democratici avessero carpito l’elezione [presidenziale] del 2020. Sembra quanto mai verosimile che, se sconfitto per la Presidenza nel 2024, Trump o un clone di Trump rifiuterà di nuovo di accettare il risultato e si appellerà ai suoi sostenitori per sovvertirlo. Se d’altro canto i Repubblicani vincono l’elezione, si può far conto su una loro ulteriore erosione dell’uguaglianza sociale, dei diritti dei lavoratori, della giustizia razziale, dei diritti delle donne e dei soggetti LGBT, e delle norme democratiche, come pure su un’intensificazione del conflitto con la Cina, loro particolare bestia nera.

Se i Repubblicani dominati da Trump siano già fascisti o in procinto di diventarlo, mi pare che si possa evincere da un’autorità in materia, Leon Trotsky, che ne scrisse negli anni 1920 e primi anni 1930: Fascismo: che cos’è e come combatterlo (Pathfinder Press, 1996, disponibile anche come audiolibro [in inglese]). Col partito Nazi[onalsocial]sta di Adolf Hitler in scalata passo a passo al potere in Germania, Trotsky critic aspramente il partito Comunista a guida stalinista per la mancata cooperazione con i Socialdemocratici contro i nazisti. (I Comunisti, che allora sostenevano le politiche militanti della “Terza Fase” di Stalin, tacciarono i Socialdemocratici di “social-fascisti” e rifiutarono di cooperare con loro, adottando anzi il motto, “Dopo i nazisti, noi!”). Trotsky riconosceva che l’incapacità dei Socialdemocratici di risolvere i problemi sociali ed economici della Germania aveva sospinto molti operai ed elettori del ceto medio verso il nazionalismo e l’ultra-militarismo dell’ Estrema Destra di Hitler, ma insisteva che un movimento popolare per la pace e la giustizia sociale non potesse sopravvivere con i fascisti al potere. Raccomandava quindi , prima di tutto, di unirsi ai Socialdemocrati per fermare; e poi di attuare le loro politiche per eliminare le cause del fascismo e della guerra.

La seconda implicazione della mia conclusione che i pacifisti USA debbano operare come fazione di un grosso partito è contenuta nella frase precedente. nel sostenere i candidati Democratici contro Trump e i suoi seguaci MAGA, chi cerca pace e giustizia non deve arrendersi o barattare le proprie idee ed esigenze anti-imperialiste.Al contrario, il loro ruolo è educare il partito su temi quali l’inefficacia delle soluzioni militari a problemi diplomatici, la fallacia di una deterrenza forzosa, e il potenziale di conflitti fra stati evidentemente intrattabili per una risoluzione pacifica. Si richiede il loro aiuto per organizzare un’opposizione implacabile al complesso militar-industriale e la richiesta di riconversione di quelle che qualcuno ha definito industrie “socialiste del Pentagono” per produzioni da tempo di pace disperatamente necessarie.

Una classica lezione su come non comportarsi in proposito è stata fornita non dopo lo scorso ottobre da trenta membri del Comitato Ristretto Progressista dei Democratici alla Camera dei Rappresentanti [=Deputati – ndt], che ha per prima emesso una dichiarazione moderata, del tutto ragionevole, per la casa Bianca sulla necessità di negoziati di pace in Ucraina. La loro lettera era di ferma condanna per l’invasione russa dell’Ucraina e sosteneva l’assistenza al regime di Kyiv per l’autodifesa. Poi proseguiva:

Data la distruzione effettuata da questa guerra per l’Ucraina e per il mondo, nonché il rischio di escalation catastrofica, crediamo pure che sia nell’interesse dell’Ucraina, degli Stati Uniti e del mondo evitare un conflitto prolungato. Per questa ragione vi sollecitiamo ad accompagnare il sostegno militare ed economico fornito all’Ucraina dagli Stati Uniti con una spinta diplomatica proattiva, raddoppiando gli sforzi per cercare una cornice realistica a una tregua.  

Non si trattava davvero di un appello estremista, ma allorché attaccati come traditori della causa ucraina da funzionari della Casa Bianca e capi del partito Democratico, i membri del Comitato Ristretto ritirarono ignominiosamente la propria lettera neppure 24 ore dopo averla inviata. la loro presidente, la Rappresentante Pramila Jayapal, “spiegò” come segue il voltafaccia:

Ogni guerra termina con la diplomazia, e così sarà per questa dopo la vittoria ucraina. La lettera inviata ieri, pur riaffermando quel principio basilare, è stata fusa con l’opposizione Repubblicana al sostegno alla giusta difesa degli ucraini della propria sovranità nazionale. Come tale, è al momento motivo di scompiglio e pertanto la ritiriamo.

Di fatto, non c’era né c’è alcuna “opposizione Repubblicana” al massiccio armamento dell’Ucraina di Biden e della NATO. Si trattava solo di una cortina fumogena per oscurare l’orientamento dei Progressisti troppo pro-pace per un governo in cerca di una “vittoria” ucraina al fine (come già dichiarato dal Segretario della Difesa) di “indebolire la Russia”. perché questi deputati abbiano deciso di sottomettersi alla disciplina di partito in questo caso non è del tutto chiaro. Con le elezioni di metà-mandato fra poche settimane, hanno temuto la rappresaglia del Comitato Nazionale Democratico o degli elettori? Non sappiamo la risposta, ma capiamo che non è così che ci si comporta da pacifisti che agiscano come fazione anti-guerra di un grosso partito pro-guerra.

La possibilità di funzionare effettivamente in tale sorta di ruolo dissenziente può sembrare utopica a qualcuno, a la storia fornisce esempi ispiranti di “fazionalismo di pace” come pure di assunzione gestionale di grossi partiti da parte di movimenti politici in precedenza considerati troppo radicali per ottenere un sostegno di massa. Il potere politico non è mai concentrato e inottenibile come talora pare. Bisogna che i pacifisti militanti inspirino profondamente e si tuffino da gruppo dedito alla causa nei partiti politici importanti. E bisogna che lo facciano prima che una terza guerra mondiale renda ipotetici tutti i nostri sforzi.


EDITORIAL, 5 Jun 2023

#799 | Richard E. Rubenstein – TRANSCEND Media Service

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis


 

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