Europa, Israele e Stati Uniti: il triangolo della colpa

Boaventura de Sousa Santos

Nel 1947, Karl Jaspers pubblicò un breve libro intitolato La questione della colpa tedesca (Die Schuldfrage)[1]. Era l’epoca di una Germania devastata nel corpo e nell’anima, un popolo paria, disonorato di fronte al mondo intero, una vergogna per l’umanità, governata in modo autoritario e militare dagli Alleati vincitori. Jaspers propone quattro tipi di colpa: la colpa penale, la colpa politica, la colpa morale e la colpa metafisica. La colpa penale è la colpa di coloro che violano il diritto nazionale o internazionale e che devono essere giudicati dai tribunali (in questo caso, il Tribunale di Norimberga).

La colpa politica è la colpa di tutti i cittadini di uno Stato che ha commesso tali atrocità, indipendentemente dal ruolo attivo o passivo che hanno avuto nel loro verificarsi. E la colpa morale è la colpa di ogni individuo di fronte alla propria coscienza, una colpa che non viene cancellata dal semplice fatto di aver obbedito agli ordini, la corresponsabilità di non aver fatto nulla per impedire una tale mostruosità, una tale barbarie, anche se fare qualcosa significava rischiare la propria vita. Infine, la colpa metafisica (concetto particolarmente controverso) è la colpa di essere sopravvissuti a tanta morte ingiusta, di aver assistito a tanti crimini, anche se si era innocenti; è, in definitiva, la colpa davanti a Dio.

Per quanto molto ricca, la distinzione tra modi di colpa proposta da Jaspers non include un modo di colpa che mi sembra cruciale nella modernità occidentale. Sto parlando della colpa storica, la colpa di un popolo che ha partecipato o acconsentito allo sterminio completo o incompleto di un altro popolo. Si può dire che la barbarie nazista ha preso di mira un popolo distinto, quello ebraico, ma la verità è che ha preso di mira anche gli omosessuali, gli zingari, i disabili, gli slavi e che gli ebrei erano tedeschi quanto i loro assassini, anche se sono stati sterminati anche polacchi, ucraini, russi, ungheresi e molti altri ebrei.

Il senso di colpa storico è la zavorra esistenziale che rimane nel cuore di un popolo che oggettivamente beneficia del sacrificio ingiusto di un altro popolo, anche se tale sacrificio è avvenuto molto tempo fa. Nella modernità occidentale, il colonialismo e tutte le atrocità che lo hanno accompagnato (genocidi, schiavitù, lavoro forzato, deportazioni, rapina di terre e di beni culturali) sono la principale zavorra della colpa storica e, quindi, quella che più di tutte giustifica i risarcimenti.

Non commenterò la colpa metafisica di Jaspers perché non mi riconosco nei presupposti religiosi che la sostengono, ma tutte le altre, più la colpa storica, hanno ogni rilevanza per comprendere e giudicare il genocidio in corso del popolo palestinese. Cominciamo dalla colpa storica. In modi diversi ma convergenti, Europa, Stati Uniti e Israele condividono lo stesso tipo di colpa. È una storia profondamente intrecciata, piena di complicità e antagonismi. L’Europa ha guidato il colonialismo moderno e lo ha giustificato in nome di un principio che è stato adottato in molteplici situazioni fino ai giorni nostri, il principio della superiorità civile ancorato alla superiorità razziale.

Questo principio ha avuto tre manifestazioni principali: il principio del popolo eletto dei colonialisti americani, il popolo razzialmente superiore dei tedeschi nazisti – il popolo dei padroni (l’Herrenvolk) – e il popolo eletto del Dio ebraico. La specificità di quest’ultima manifestazione sta nel fatto che il popolo ebraico è stato vittima della superiorità razziale nazista e allo stesso tempo è diventato il carnefice del popolo palestinese assumendo la forma di uno Stato sionista. Dalla loro immensa tragedia di vittime, si è creata l’opportunità di diventare aggressori.

In altre parole, la creazione dello Stato di Israele è il doppio risultato dell’efferato crimine contro il popolo ebraico (dimezzato a causa dell’Olocausto) commesso dai tedeschi durante il periodo nazista. È anche il risultato del moderno colonialismo europeo, che ha reso possibile la creazione dello Stato di Israele in un protettorato coloniale britannico, il territorio della Palestina, una creazione e un’occupazione tipicamente coloniale (colonialismo dei coloni), attuata contro la volontà dei popoli che vi abitavano.

Ma l’intreccio reciproco delle molteplici rifrazioni del colonialismo e del razzismo non finisce qui. Israele e gli Stati Uniti condividono la stessa pulsione genocida alla base del colonialismo europeo. Gli Stati Uniti erano originariamente una colonia che, una volta diventata indipendente dall’Inghilterra, è diventata uno Stato coloniale e, come tale, possedeva un DNA genocida. Gli Stati Uniti sono il Paese che conosciamo oggi grazie al genocidio delle popolazioni indigene, così come lo Stato di Israele è stato fin dall’inizio uno Stato coloniale nella cui matrice è inscritto il genocidio del popolo palestinese, genocidio commesso goccia a goccia dal 1948 e ora in via di consumazione con la più efferata brutalità.

Lo Stato di Israele, qualunque sia l’esito delle atrocità in corso, è considerato uno Stato paria da molti Paesi e da buona parte dell’opinione pubblica mondiale. Proprio come la Germania dopo la sconfitta del nazismo. A questo punto sorgono due domande.

La condizione di Stato paria

La prima domanda è perché gli Stati Uniti, pur essendo anch’essi basati sul genocidio (il genocidio delle popolazioni indigene), non sono mai stati considerati uno Stato paria. Le autorità indiane lo hanno certamente fatto, tanto scandalosa era la violazione dei trattati-trappola tra i colonialisti e i popoli nativi, ma la loro voce è stata raramente ascoltata. Inoltre, al di là di tutte le convenienze politiche, al di là del fatto che gli interessi dello Stato di Israele hanno una presenza consolidata all’interno del Congresso degli Stati Uniti, al di là del fatto che non si sa quale dei due Stati sia cliente dell’altro, la difficoltà per gli Stati Uniti di condannare Israele risiede in ultima analisi nel fatto che entrambi condividono la stessa condizione del genocidio originario. Delegittimando Israele, gli Stati Uniti metterebbero in discussione la loro stessa storia.

Il motivo per cui gli Stati Uniti non sono stati considerati uno Stato paria dalla comunità internazionale è che, al momento della loro fondazione, più del novanta per cento del pianeta era sotto il dominio (effettivo o indiretto) del moderno colonialismo europeo. Eravamo all’apice dell’orgia colonialista europea. Oggi, invece, viviamo l’agonia di un ordine internazionale che è stato creato proprio dopo l’Olocausto, affinché non venissero più commessi crimini di questo tipo.

Parlando di colpa penale, Jaspers ritiene che il tribunale di Norimberga, nonostante tutti i suoi limiti giuridici e il fatto che rappresentasse la giustizia dei vincitori contro i vinti, abbia rappresentato l’embrione di un nuovo ordine internazionale in cui sarebbe stato nuovamente possibile parlare di umanità nel suo complesso e di pari dignità di tutti gli esseri umani. Quest’ordine sarebbe infatti emerso poco dopo con la creazione dell’ONU e di tutte le convenzioni e i trattati che ne sono seguiti per impedire il ripetersi di simili atrocità.

Work of the United States Government, Pubblico dominio, Collegamento

La stessa NATO non è stata creata solo contro l’Unione Sovietica. È stata creata anche contro la Germania. L’embrione di questo ordine internazionale era emerso dopo la Prima guerra mondiale con la creazione della Società delle Nazioni e, sebbene questa fosse stata in gran parte rovinata dall’espansionismo nazista, fu in nome dei suoi principi che la Germania sconfitta fu considerata uno Stato paria.

Come aveva previsto Jaspers, “il mondo diffiderà di noi per molto tempo” (2000: 10); e aggiungeva che questo era ciò che caratterizzava la condizione di uno Stato paria. L’ordine creato nel 1948 è stato sovvertito dal 1991 (fine dell’Unione Sovietica) dal Paese che lo guidava, gli Stati Uniti. È in nome di questo ordine che Israele rischia di diventare uno Stato paria. Se quest’ordine crolla, ciò che viene dopo appartiene al regno della massima incertezza. Con la complicità degli Stati Uniti, Israele sta assestando a se stesso un colpo potenzialmente mortale.

Vittoria o sconfitta?

La seconda domanda riguarda il significato politico dell’azione militare di Israele a Gaza. La Germania è stata considerata uno Stato paria perché è stata sconfitta. Nel 1938, il Times di Londra pubblicò una lettera aperta di Churchill a Hitler in cui Churchill, tra l’altro, scriveva: “Se l’Inghilterra avesse subito un disastro paragonabile a quello che la Germania ha subito nel 1918, pregherei Dio di mandarci un uomo della sua [di Hitler] forza d’animo e volontà” (2000: 88). Israele sta vincendo questa guerra o è stato sconfitto? Sul campo di battaglia è difficile rispondere, ma nel giudizio della comunità internazionale si può già concludere che Israele è stato moralmente sconfitto. L’ordine internazionale eretto nel 1948, nonostante la retorica dei valori universali, era un ordine imperfetto e ingiusto.

Non ha condannato il colonialismo e, nello stesso anno in cui sono state create le Nazioni Unite e proclamata la Dichiarazione universale dei diritti umani, è stato creato lo Stato coloniale di Israele e il sistema dell’Apartheid è stato istituzionalizzato in Sudafrica. Nonostante tutto ciò, il nuovo ordine chiedeva il riconoscimento dell’umanità nel suo insieme, fatta di popoli, comunità e individui dotati di pari dignità, e la risoluzione pacifica dei conflitti. Questo aspetto positivo è ancora presente nella mente di alcuni leader politici e nell’immaginario dell’opinione pubblica mondiale. Ne è testimonianza la coraggiosa denuncia del Sudafrica contro Israele presso la Corte internazionale di giustizia, seguita da altre denunce convergenti di altri Paesi. Altrettanto coraggiosa è stata la dichiarazione del Presidente Lula da Silva, il 17 febbraio, all’apertura del 37° Vertice dell’Unione Africana, contro le operazioni militari di Israele a Gaza e tutto lo scompiglio internazionale che ha causato.

Questo ordine internazionale è stato violato impunemente dagli Stati Uniti e tutto lascia pensare che Israele lo seguirà, facendo prevalere i propri interessi. È possibile, in queste condizioni, parlare di sconfitta? Secondo Immanuel Kant, la guerra deve essere condotta in modo tale che la riconciliazione sia possibile alla fine delle ostilità (2000: 48). È noto che Hitler ha condotto la guerra in netta violazione della saggezza di Kant. La riconciliazione non è possibile con un popolo sterminato o con cadaveri smembrati. Questo è il modo in cui le forze armate israeliane stanno conducendo la guerra a Gaza, commettendo regolarmente crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Certamente si obietterà che i vincitori rinunciano alla riconciliazione.

Ma nel mondo di oggi, che osa pensare all’umanità nel suo insieme e alla pari dignità della vita umana, siamo tutti Palestina. Con questa Palestina in senso lato, la riconciliazione con Israele non sarà mai possibile, che si vinca o si perda la guerra sul campo di battaglia. La grande vittoria della Palestina è stata quella di trasferire il criterio che decide la vittoria o la sconfitta dal campo di battaglia al campo dell’etica internazionale. E in questo campo Israele è definitivamente sconfitto. Come disse amaramente Jaspers a proposito del suo Paese, il mondo diffiderà a lungo di Israele.

Questa sfiducia non è una sfiducia come le altre. È sfiducia nella struttura politica che pretende di rappresentare un popolo che è stato vittima della brutalità di Hitler e che tutti i democratici del mondo hanno difeso dal virus dell’antisemitismo che ha preceduto di molto l’estremismo hitleriano e che è continuato dopo Hitler nel pensiero e nelle azioni dei gruppi di estrema destra. Come è possibile che questa estrema destra oggi domini la politica israeliana e la sua propaganda internazionale investa contro tutti coloro che hanno difeso la causa ebraica? Noi, che abbiamo sempre combattuto contro l’antisemitismo, non ci siamo sbagliati. Israele si sbaglia tragicamente. È fondamentale non confondere il popolo ebraico con lo Stato ebraico di Israele.

È fondamentale che i democratici del mondo si preparino a due battaglie molto difficili. Da un lato, continuare a difendere il popolo palestinese, certi che, ad eccezione degli Stati Uniti, gli Stati coloniali non hanno mai vinto e che i popoli colonizzati sono riusciti, a costo di molto sangue innocente, a conquistare la loro liberazione. La Palestina vincerà. D’altra parte, saluto i cittadini di Israele, ebrei e non ebrei, che alla fine della guerra (che finisce sempre) sentiranno che solo le caratteristiche negative li accomunano: la colpa politica, morale e metafisica (per i credenti) di aver acconsentito o di essere sopravvissuti a una crudeltà così selvaggia; la sfiducia del mondo futuro verso un popolo che, dopo aver tanto sofferto, pensavamo incapace di provocare il genocidio di un altro popolo; il senso di sventura di essere visti come una non-comunità dopo secoli di lotta per un’identità comune.

Condanno fermamente le azioni violente di Hamas contro la popolazione civile, ma mi rifiuto di considerare Hamas un’organizzazione terroristica [2]. Israele è uno Stato coloniale e la storia ci insegna che i popoli colonizzati hanno sempre cercato una soluzione pacifica per porre fine alla dominazione coloniale. Hanno fatto ricorso alla lotta armata come ultima risorsa.

Ricordo ancora bene come la stampa portoghese nel 1973 considerasse Amílcar Cabral (Guinea-Bissau), Samora Machel (Mozambico) e Agostinho Neto (Angola) dei pericolosi terroristi che disturbavano la pace e l’ordine nelle “nostre province d’oltremare”, termine con cui il colonial-fascismo si riferiva alle colonie portoghesi. Un anno dopo, questi stessi “terroristi” venivano celebrati nei loro Paesi come eroici liberatori della loro patria. Grazie al ruolo che le lotte anticoloniali avevano avuto nel rovesciamento del regime fascista, i nuovi eroi furono celebrati anche in Portogallo, finalmente liberato dalla Rivoluzione dei Garofani (25 aprile 1974) dalla dittatura di Salazar durata 48 anni. Questo accadeva solo cinquant’anni fa. La storia ha una pazienza che supera quella degli uomini.

Note

[1] Karl Jaspers, The Question of German Guilt, traduzione di E.B.Ashton. New York, Fordham University Press, 2000. Edizione italiana: La questione della colpa. Sulla responsabilità politica della Germania, Raffaello Cortina Editore, 1996.

[2] L’uso dei tunnel contro l’oppressore è stato utilizzato anche dalla resistenza ebraica, ad esempio nel ghetto di Varsavia e nel ghetto di Novogrudok (oggi Bielorussia). Colin Miazga, Paul Bauman, Alastair McClymont e Chris Slater, “Geophysical investigation of the Miła 18 resistance bunker in Warsaw, Poland” First International Meeting for Applied Geoscience & Energy Expanded Abstracts; Eran Zohar, “Jewish subterranean operations in major east European ghettos“, Holocaust Studies A Journal of Culture and History. Volume 26, 2020 – Issue 1,1-37; Betty Brodsky Cohen, “The Warsaw Ghetto Uprising and the Novogrudok Tunnel Escape“, The Jerusalem Post, 19 maggio 2022.


Fonte: ZNetwork, 26 febbraio 2024

Traduzione di Enzo Gargano per il Centro Studi Sereno Regis


 

2 commenti
  1. Rocco Altieri
    Rocco Altieri dice:

    Lasciano sconcertati le scelte del traduttore e del curatore del sito del Centro Sereno Regis, che dovrebbe sostenere un punto di vista nonviolento, di pubblicare ( in nome del pluralismo?) un’analisi, comune a certa sinistra ostile alla nonviolenza, che parteggia per una delle due parti e sostiene la lotta armata di Hamas e la legittima come fazione non terrorista. Accettato che bisogna dialogare anche con i gruppi terroristi, è cosa ben diversa legittimarne la lotta armata, la più cruenta e barbara che si conosca, dove i due contendenti fanno uno un terrorismo dall’alto bombardando e l’altro un terrorismo nei sotterranei tenendo in ostaggio i rapiti e costringendo tutta la popolazione civile a subire le rappresaglie. La guerra moderna fa vittime soprattutto tra la popolazione innocente e disarmata. Basta guerra e basta terrorismo! Abbiamo bisogno di voci, di articoli che facciano capire che alla barbarie non c’è alternativa se non la scelta della nonviolenza. Bisogna agire perché si impari a vivere insieme da fratelli, scegliendo la strada della verità e della riconciliazione.

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  2. Rocco Altieri
    Rocco Altieri dice:

    Lasciano sconcertati le scelte del traduttore e del curatore del sito del Centro Sereno Regis, che dovrebbe sostenere un punto di vista nonviolento, di pubblicare ( in nome del pluralismo?) un’analisi, comune a certa sinistra ostile alla nonviolenza, che parteggia per una delle due parti e sostiene la lotta armata di Hamas e la legittima come fazione non terrorista. Accettato che bisogna dialogare anche con i gruppi terroristi, è cosa ben diversa legittimarne la lotta armata, la più cruenta e barbara che si conosca, dove i due contendenti fanno uno un terrorismo dall’alto bombardando e l’altro un terrorismo nei sotterranei tenendo in ostaggio i rapiti e costringendo tutta la popolazione civile a subire le rappresaglie. La guerra moderna fa vittime soprattutto tra la popolazione innocente e disarmata. Basta guerra e basta terrorismo. Abbiamo bisogno di articoli che facciano capire che alla barbarie non c’è alternativa se non la scelta della nonviolenza. Bisogna agire perché si impari a vivere insieme da fratelli, scegliendo la strada della verità e della riconciliazione.

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