Domenico Sereno Regis: una vita per la nonviolenza

Nanni Salio

Nell’anniversario dei cento anni dalla nascita di Domenico Sereno Regis, primo presidente del nostro centro, ripubblichiamo uno scritto di Nanni Salio del gennaio del 1990.

Domenico era uomo d’azione più che di penna. Per questo il suo ricordo è direttamente legato alla storia dei movimenti di base dei quali fu instancabile animatore. Ricostruire, anche se parzialmente e per sommi capi, la storia collettiva di questi movimenti, delle loro idee e delle azioni che seppero promuovere è il modo migliore per rendere omaggio a una persona insofferente della retorica e delle cerimonie ufficiali. Una persona che riconoscerebbe a stento, con grande umiltà, il contributo, spesso determinante, che diede alla crescita di quell’insieme di iniziative concrete e di riflessioni che costituiscono la base teorica e pratica della nonviolenza.

È questo infatti il filo conduttore al quale rimandano le molteplici attività e sfaccettature della vita di Domenico. La ricerca e la tensione costante verso uno stile di vita nonviolento.

Seguire lo snodarsi di questo impegno significa prendere in considerazione diversi periodi della sua vita.

Negli anni Quaranta egli si trova, ancora all’inizio della sua ricerca, a dover compiere una scelta impegnativa: come comportarsi di fronte alla Resistenza. Mentre un’altra figura di spicco di quei tempi, Aldo Capitini, fondatore del Movimento Nonviolento italiano, pur assumendo una posizione di aperta critica al regime fascista, non aderisce alla «Resistenza in armi» e continua la sua opera di resistente civile nonviolento, Domenico matura la scelta sofferta di aderire alle formazioni partigiane. Ma coerente con la sua ricerca di una alternativa nonviolenta, imbraccerà il fucile senza tuttavia sparare mai un colpo; come fecero altri partigiani anch’essi combattuti tra l’adesione morale alla Resistenza, che era fuori discussione, e la coerenza con il principio del «non uccidere».

Il MIR

Nel decennio successivo, si estende il campo delle iniziative alle quali partecipa e che lo faranno approdare al Movimento Internazionale della Riconciliazione (MIR), sezione italiana, fondata nel 1952, dell’IFOR (International Fellowship of Reconciliation), nata nel 1919 dopo la prima immane tragedia della «Grande Guerra» che lacerò le coscienze di molti cristiani, costretti a subire lo scandalo degli eserciti che si combattevano in nome dello stesso Dio.

Il lavoro di «riconciliazione» non riuscì a impedire l’altra e ancor più grande tragedia, quella della seconda guerra mondiale. Ma ciononostànte proseguì e proprio negli anni Cinquanta iniziarono quei contatti, difficili, faticosi e sofferti per riconciliare innanzi tutto le chiese cristiane, in secondo luogo per superare, già allora, le divisioni dei blocchi Est e Ovest e infine per giungere a un lavoro ecumenico su scala mondiale.

I frequenti viaggi nei paesi dell’Est portarono Domenico a conoscere direttamente la realtà di quei paesi. Attraverso le «Berliner Konferenz», entrò in contatto con il mondo sommerso del dissenso.

Negli stessi anni si aprì un altro filone di impegno, specificamente nel MIR, che lo portò a conoscere i coniugi Jean e Hildegard Goss, quest’ultimo presidente internazionale dell’IFOR e infaticabile animatore di lotte nonviolente ovunque nel mondo si dovesse lottare contro l’ingiustizia. Con Jean Goss, Domenico ebbe una calorosa e amichevole corrispondenza, sin dai primi anni Sessanta, tra il ‘62 e il ‘64, quando Jean e Hildegard maturarono la scelta di recarsi in America Latina, per far conoscere ai movimenti locali, stretti tra ingiustizia e ribellione armata, l’alternativa nonviolenta.

Il SERPAJ

Fu proprio da questo lavoro, ancor oggi poco conosciuto ai più, che nacque, qualche anno dopo, il SERPAJ (Servicio Paz y Justicia), che in seguito si strutturò in una sezione AL (America Latina) e in un’altra, di supporto, EU (Europa).

Per far conoscere il coraggioso lavoro di Jean Goss e la sua azione di stimolo anche durante i lavori del Concilio Vaticano II, Domenico organizzò a Torino nei giorni 16 e 17 aprile ‘63 una conferenza dal titolo Il valore della pace per l’uomo d’oggi nel corso della quale Jean Goss ebbe modo di illustrare la sua ricca esperienza e la sua riflessione profonda sulla nonviolenza evangelica.

L’educazione

Domenico era, come ho già detto, uomo d’azione. Ma questo non significa che non avesse opinioni precise e soprattutto che non continuasse a riflettere sui grandi problemi del tempo. Come ebbe modo di scrivere lui stesso, in una lettera in risposta all’invito che Gianni Valerio, della segreteria piemontese di Pax Christi, gli aveva rivolto per partecipare a «una giornata di studio sui problemi dell’educazione dei figli (e dei coniugi)»: «[…] sull’argomento ho poche ma chiare idee». E queste poche a chiare idee costituiscono (siamo nella metà degli anni Sessanta) una notevole anticipazione di quanto quindici anni dopo verrà sviluppato dai movimenti di educazione alla pace. Dice Domenico testualmente:

1) La pedagogia della pace come tale non esiste. La «vera» pedagogia senza altri aggettivi deve insegnare il rispetto, la tolleranza e cioè la pace tra gli uomini, quindi «pedagogia» è già (o dovrebbe essere) pedagogia di pace.

2) La pedagogia della guerra (di classe, di partito, di esercito) è qualche cosa di aberrante alla mia sensibilità di cristiano.

3) La pace va testimoniata davanti ai propri figli, come davanti ai nostri fratelli, cioè a tutta l’umanità (compresi arabi e israeliani).

4) Se vuoi la pace prepara la pace. Gli Americani a forza di giocare alla guerra con i films western, alla TV, anziché scaricare gli istinti di violenza, come dicono psicologi superficiali, si sono preparati al western del Viet-Nam, ad ammazzare Kennedy ecc.

5) Sabotaggio motivato di ogni giocattolo bellico.

6) Abolire sports di addestramento alla guerra (caccia, pesca specie subacquea, tiro al piccione, al piattello ecc.).

7) La scuola, attraverso la storia, dovrebbe insegnare le tappe del progresso civile, non la serie delle guerre.

L’obiezione di coscienza

Con la seconda metà degli anni Sessanta egli intensifica l’impegno antimilitarista e per il riconoscimento della legge sull’obiezione di coscienza. Nel 1967, partecipa al X congresso del MIR (30 aprile-1 maggio) e accetta di entrare a far parte del comitato nazionale.

In quegli stessi giorni prende spunto da un fatto di cronaca, una fotografia del «tenente Facchetti» pubblicata sul quotidiano «Il Giorno», per la rievocazione storica, presso il CAR di Orvieto, della partecipazione del reggimento alla guerra di Abissinia, per scrivere una lettera di protesta al Direttore del giornale denunciando che

«Se per voi la notizia può avere una certa vivacità giornalistica, per me è invece fonte di dolorose riflessioni e di amara constatazione, nel vedere come la più stupida e la più ingiustificata delle guerre italiane, condannata da tutte le persone con un minimo di onestà culturale, possa ancor oggi nel 1967 essere motivo di “nostalgie imperiali” e di “eccitazioni viscerali” per taluni generali che a detta guerra devono forse le loro promozioni sul campo, magari contrabbandare con il compiacente Regime».

Lo stile di Domenico era incisivo, tagliente, ma sempre corretto. In quella fine degli anni Sessanta ebbe modo di manifestarlo nelle diverse occasioni in cui le lotte per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza, condotte in particolare a Torino dal MAI (Movimento Antimilitarista Italiano), animato tra gli altri da Beppe Marasso, sfociarono in denunce, arresti, processi, intimidazioni da parte delle autorità militari, della magistratura e di gruppi fascisti.

Domenico Sereno Regis
Domenico è il secondo da sinistra in alto e Nanni il primo in basso a destra. Tra Domenico e Beppe, Alberto Perino, oggi storico esponente del movimento NOTAV della valle di Susa

Approvata finalmente la legge, allo scadere del 1972, iniziò l’altro faticoso lavoro. Quello di farla applicare e rispettare da un Ministero della Difesa intenzionato a boicottarla. E in questo campo Domenico, responsabile degli obiettori di coscienza in servizio presso il MIR di Torino, svolse un’opera tenace di difesa dei diritti e di contestazione dei soprusi.

I Comitati spontanei di quartiere

Ma la sua multiforme attività doveva ancora manifestarsi in un altro impegno per il quale anche il giornale cittadino, La Stampa, non particolarmente tenero per quanto riguarda i movimenti di base, almeno in quegli anni, doveva riconoscere, nel giorno della sua morte, che egli era stato «il padre dei quartieri».

In una lettera a Jean Goss del 13 marzo ‘74, Domenico presenta sinteticamente il lavoro che stava svolgendo, con le seguenti parole:

«Dopo il lavoro di base con i gruppi nonviolenti, sindacali, politici, culturali, abbiamo fatto decollare un movimento molto importante soprattutto nella vita di Torino, e anche nei dintorni e a poco a poco persino nel paese intero. Si tratta dei Comitati spontanei di quartiere nei quali si trovano insieme cristiani e marxisti, socialisti e democristiani e molti altri senza alcuna etichetta allo scopo di costruire una città nuova, dove l’uomo sia il soggetto attivo della sua realizzazione contro un sistema di sfruttamento che la FIAT e la sua cerchia hanno realizzato a casa nostra e… contro di noi! Va da sé che questo movimento si sviluppa nello spirito della tolleranza costruttiva e della nonviolenza attiva che abbiamo sognato per così lungo tempo».

A distanza di tempo, questo programma, rimasto incompiuto, è più attuale che mai!

Nel ‘79, Domenico accetta di assumere un altro impegno importante, che aggiunge ai tanti che già portava avanti. Diventa presidente del MIR nazionale e continua quindi a potenziare ulteriormente l’azione per la promozione dell’obiezione di coscienza e del servizio civile. È questo un impegno che continuerà a seguire sino agli ultimi giorni, con una continua disponibilità e un sorriso per tutti coloro con cui era in contatto e che, durante la malattia, gli facevano visita.

All’inizio degli anni Ottanta, con l’acutizzarsi della guerra fredda e la crisi degli euromissili, si apre una nuova stagione di iniziative, impegni e lotte culminate in Italia nei blocchi alla base di Comiso.

Tra un impegno e l’altro lungo tutta la penisola, Domenico trova il tempo, con la moglie Maria, di portare la sua solidarietà a coloro che tenacemente organizzano a Comiso i blocchi nell’estate del 1981. 

Il Centro Studi

E l’anno successivo decidiamo, con altri due amici, Franco Sgroi della cooperativa Satyagraha e Piercarlo Racca del MIR-Movimento Nonviolento, di costituire formalmente il «Centro Studi e Documentazione sui problemi della Pace, della Partecipazione e dello Sviluppo», per raccogliere, classificare, conservare la grande quantità di materiale dei movimenti di base che operano presso la sede del Coordinamento dei Comitati di Quartiere, promuovere nuove ricerche e studi e mantenere viva la memoria storica di questo importante patrimonio di democrazia dal basso.

La fine degli anni Ottanta corona un sogno che Domenico ha solo potuto immaginare, sperare, ma purtroppo non vedere direttamente. La caduta del muro di Berlino, il ritorno della democrazia (anche se a piccoli faticosi passi) nei paesi dell’Est, il fervore dell’attività ecumenica (culminata negli incontri internazionali di Assisi, Basilea e Seul) sono la realizzazione concreta del «realismo della nonviolenza» che animava la visione e l’azione di Domenico.

Altre cose sono cresciute nel frattempo. Dalle poche centinaia di obiettori dell’inizio anni Settanta si è giunti oggi agli oltre ventimila giovani che ogni anno scelgono il servizio civile. I pochi enti convenzionati sono diventati migliaia. Le prime faticose esperienze di formazione sono oggi formalizzate in vere e proprie «Scuole di formazione per formatori di obiettori di coscienza». I primi passi dell’obiezione alle spese militari e della difesa popolare nonviolenta hanno prodotto nuove ricerche e nuove proposte.

Il «Centro di Documentazione», fondato insieme a Domenico, è stato intitolato alla sua memoria. Oggi conta numerosi simpatizzanti e svolge un prezioso lavoro nel campo, fra l’altro, dell’educazione alla pace, in collaborazione con altri gruppi e associazioni (dal Gruppo Abele al CISV, all’ASSEFA, al Movimento Sviluppo e Pace, al REAS, a tanti altri ancora), seguendo quello spirito di cooperazione che animava l’attività e la concezione politica di Domenico.

Nella sede del Coordinamento dei Comitati di Quartiere ci sono nuovi ospiti che si occupano di tematiche che certamente Domenico avrebbe apprezzato. In particolare è doveroso ricordare l’azione contro la violenza sulle donne svolta dal «Telefono rosa».

Cosa resta

Ma ciò nonostante, molto ancora resta da fare. Alcune barriere sono cadute, altre debbono ancora essere abbattute, sono risorte vecchie forme di intolleranza contro i diversi, gli immigrati, i deboli. La guerra del Golfo prima, quella nella ex-Jugoslavia poi, e le «false» operazioni umanitarie stile Somalia, hanno nuovamente suscitato preoccupazioni e angosce e stimolato al tempo stesso nuove energie, nuove forme di partecipazione, di impegno, di solidarietà, in particolare tra i giovani.

Il cammino da percorrere è lungo. Ma la strada da seguire è stata tracciata da tanti maestri. Gandhi, Capitini, Martin Luther King e aggiungiamo noi, con la stessa modestia che lo caratterizzava, il nostro caro amico Domenico Sereno Regis.


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