A quarant’anni dalla morte di Domenico Sereno Regis: La forza della profezia

Pietro Polito

A quarant’anni dalla morte di Domenico Sereno Regis (Torino, 7 dicembre 1921 – 24 gennaio 1984) 

A quarant’anni dalla morte di Domenico Sereno Regis la sua profezia, un’espressione che egli amava molto, continua a parlarci e merita di essere conosciuta da parte delle nuove generazioni di amiche e amici della nonviolenza. Se c’è un valore che egli ha cercato di trasmettere, questo è proprio il senso della profezia. Ricordo che in uno dei tanti corsi di formazione per obiettori di coscienza in servizio civile a cui abbiamo partecipato insieme pronunciò queste parole forti e chiare:

“Per me prima di tutto viene l’uomo. Sono contrario a qualsiasi ideologia o processo storico che nega l’uomo”.

Ecco, nel suo modo di agire si poteva leggere apertura e solidarietà. Credeva nel dialogo. Dialogo e apertura erano diretti al coinvolgimento solidale di ciascuno in prima persona. Con il suo impegno si è sforzato di testimoniare la profezia di una società diversa.

A quarant’anni dalla morte di DomenicoIl suo modello di società è espresso efficacemente dalla formula, «democrazia partecipata» che ricorre nell’articolo redazionale pubblicato su “Controcittà” nel novembre 1978. La «democrazia partecipata» è la «terza via» che va al di là delle democrazie e dei socialismi storicamente esistiti. Una democrazia che si fonda sul principio di autogestione; in economia si oppone sia alla democrazia capitalistica fondata sul mercato sia al socialismo inteso come statizzazione dei mezzi di produzione; in politica si oppone alla «democrazia centralistica», definita come «la democrazia consensuale di partito, che presuppone una speciale legittimazione degli organi di governo (direzione e segreteria) e quindi non tollera un dissenso organizzato», ma si pone come sviluppo della democrazia rappresentativa attraverso la democrazia diretta; infine, in etica auspica la formazione dell’uomo integrale al posto dell’uomo alienato e diviso del tempo presente.

Un’utopia? Forse sì, ma, come si è detto all’inizio, anche e soprattutto, una profezia: «La democrazia partecipata comporta che la propria legittimazione non sia mai presupposta, ma sempre da verificare, e che le sfere della società abbiano una loro autonomia che non si lascia mai comporre armoniosamente con le altre e risolvere nella superiore totalità dell’organizzazione politica della società. È una democrazia che, invece che il massimo consenso, lascia emergere il massimo dissenso».

Per un amico della nonviolenza della sua statura appare naturale il riferimento a Gandhi e ad Aldo Capitini, ma l’autore che ha contato di più per Sereno Regis è stato don Primo Mazzolari, al quale si sentì maggiormente legato per la comune ispirazione cristiana. Promotore dei gruppi degli “amici di don Mazzolari” negli anni Cinquanta, seguì il “pensiero movimentato” di don Primo, «amico nostro e vero ispiratore delle nostre iniziative sociali» (Riccardo Lizier). Prima ancora di quelli di don Lorenzo Milani, erano stati i libri di Mazzolari – Tu non uccidere del 1955 e La chiesa, il fascismo, la guerra del 1966 – a svolgere una funzione di rinnovamento nel mondo cattolico che non poteva non avere riflessi importanti anche nel mondo laico. Da Mazzolari, egli ereditò il senso della tolleranza e il gusto della libertà, virtù esemplari per il cristiano come per il laico.

Chi è il cristiano? Certamente egli conosceva la risposta di Mazzolari. «Il cristiano – si legge nel Tu non uccidere – è un uomo in pace, non un uomo di pace: fare la pace è la sua vocazione». La vocazione alla pace si persegue attraverso un «apostolato tollerante» contrapposto all’«apostolato intollerante» (la distinzione si trova nelle ultime pagine de La chiesa, il fascismo, la guerra). Ma condizione e scopo di un apostolato tollerante è la libertà. Alla difesa intransigente della tolleranza religiosa, Mazzolari accompagna uno dei più alti elogi della libertà.

Sempre ne La chiesa, il fascismo, la guerra, Mazzolari scrive: «La libertà, con tutti i suoi rischi, è l’aria dell’uomo, e l’impegno urgente del cristiano – e del laico, aggiungo io – non è d’imbrogliare la libertà perché non faccia male, ma d’impedire che venga incamerata o assorbita in una nuova dittatura. Egli deve amare la libertà senza timori e senza riserve, che possono farci complici di una sua eventuale soppressione; difenderla e volerla prima d’ogni altra cosa».

Servendosi delle categorie di Primo Mazzolari, si può dire che per Sereno Regis la pace fu una vocazione e il suo impegno per la pace e il riscatto dell’uomo una forma di apostolato tollerante. Forse, il fascino della sua figura su tanti giovani, credenti e non credenti, sta proprio nel suo modo “laico”, inquieto, di vivere la fede, una fede alimentata e resa sempre viva dall’esercizio della ricerca.

Per conoscere Domenico Sereno Regis

  • Rodolfo Venditti, Domenico Sereno Regis, in Id., Le ragioni dell’obiezione di coscienza, Intervista di Pietro Polito, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986, pp. 172-173;
  • AA.VV., Domenico Sereno Regis partigiano nonviolento, animatore della democrazia di base, sostenitore dell’obiezione di coscienza, lavoratore della giustizia inter-nazionale, presidente della sezione italiana del MIR, Satyagraha Editrice, Torino 1994;
  • Chiara Bassis, Domenico Sereno Regis, Beppe Grande editore, Torino 2012.

Mercoledì 24 gennaio alle ore 18 si ricorderà Domenico Sereno Regis con una Messa celebrata nella chiesa di san Bernardino, Via S. Bernardino, 11 Torino


 

 

 

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