Genocidio israeliano a Gaza e occidente

Ramzy Baroud

Per il diritto internazionale, Israele non ha “il diritto di difendersi” in questo modo e l’occidente impenitente approva il genocidio israeliano a Gaza

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L’8 febbraio, il cancelliere tedesco Olaf Scholz si è recato a Washington in visita ufficiale, con l’obiettivo di lavorare insieme agli Stati Uniti per “assicurarsi che Israele abbia ciò di cui ha bisogno per difendersi”.

Se tale dichiarazione fosse stata fatta subito dopo l’operazione di Al-Aqsa del 7 ottobre, se ne potrebbe riconoscere la logica, basata sulla ben nota e intrinseca parzialità di Washington e Berlino nei confronti di Israele.

La dichiarazione e la visita, tuttavia, sono state effettuate nel 125° giorno di uno dei più sanguinosi genocidi della storia moderna.

Lo scopo della visita è stato sottolineato in una conferenza stampa dal portavoce della Casa Bianca John Kirby, anche se, ore dopo, il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha ammesso che Israele ha “esagerato” nella sua risposta all’attacco di Hamas del 7 ottobre.

Se uccidere e ferire oltre 100.000 civili, e non solo, è la versione di Israele dell’autodifesa, allora sia Scholz che Biden hanno fatto un ottimo lavoro nel garantire a Israele tutto ciò di cui ha bisogno per portare a termine la sua sanguinosa missione.

Tuttavia, in questo contesto, chi ha diritto all’autodifesa, Israele o la Palestina?

Il diritto di vivere senza paura di essere sterminati, senza bombe e senza occupazione militare è un diritto naturale, che non richiede argomentazioni legali e non è influenzato da razzismo, discorsi di odio o propaganda.

In una recente visita a un ospedale di un Paese mediorientale, che rimane riservato come condizione preliminare per la mia visita, ho assistito a uno degli spettacoli più orribili che si possano mai vedere. Decine di bambini palestinesi senza arti, alcuni ancora in lotta per la vita, altri gravemente ustionati e altri ancora in coma.

Quelli che erano in grado di usare le mani hanno disegnato bandiere palestinesi appese alle pareti accanto ai loro letti d’ospedale. Alcuni indossavano magliette di SpongeBob e altri cappelli con personaggi Disney. Erano puri, innocenti e molto palestinesi.

Un paio di bambini hanno fatto il segno della vittoria non appena ci siamo salutati. I bambini volevano comunicare al mondo che sono forti e che sanno esattamente chi sono e da dove vengono.

I bambini erano troppo giovani per rendersi conto del contesto legale e politico dei loro forti sentimenti verso la patria.

La Risoluzione 3236 (XXIX) dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha “affermato il diritto inalienabile del popolo palestinese in Palestina […], il diritto all’autodeterminazione (e) il diritto all’indipendenza e alla sovranità nazionale”.

L’espressione “diritto palestinese all’autodeterminazione” è forse la frase più frequentemente pronunciata in relazione alla Palestina e alla lotta palestinese dall’istituzione delle Nazioni Unite.

Il 26 gennaio, anche la Corte internazionale di giustizia (CIG) ha affermato ciò che già sappiamo, ovvero che i palestinesi sono un “gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso” distinto.

I bambini palestinesi feriti non hanno bisogno di un linguaggio giuridico o di slogan politici per definirsi. Il diritto di vivere senza paura di essere sterminati, senza bombe e senza occupazione militare è un diritto naturale, che non richiede argomentazioni legali e non è influenzato da razzismo, discorsi di odio o propaganda.

Sfortunatamente, non viviamo in un mondo di buon senso, ma in sistemi legali e politici stravolti che esistono solo per soddisfare i più forti.

In questo mondo parallelo, Scholz è più preoccupato che Israele sia in grado di “difendersi” piuttosto che una popolazione palestinese assediata, affamata, sanguinante, ma incapace di ottenere qualsiasi misura tangibile di giustizia.

Nonostante ciò, Israele non ha ancora il diritto di difendersi.

Logicamente, chi compie atti di aggressione non dovrebbe pretendere che le sue vittime si astengano dal reagire.

I palestinesi sono stati vittime del colonialismo israeliano, dell’occupazione militare, dell’apartheid razziale, dell’assedio e ora del genocidio. Pertanto, per Israele invocare l’articolo 51, capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite è una presa in giro del diritto internazionale.

L’articolo 51, spesso utilizzato dalle grandi potenze per giustificare le loro guerre e i loro interventi militari, si è concepito con uno spirito giuridico completamente diverso.

L’articolo 2 (4) del Capitolo I della Carta delle Nazioni Unite proibisce la “minaccia o l’uso della forza nelle relazioni internazionali”. Inoltre, “invita tutti i membri a rispettare la sovranità, l’integrità territoriale e l’indipendenza politica degli altri Stati”.

Poiché Israele viola l’articolo 2 (4), non ha il diritto di invocare l’articolo 51.

Nel novembre 2012, la Palestina è stata riconosciuta come Stato osservatore presso le Nazioni Unite. È anche membro di innumerevoli trattati internazionali ed è riconosciuta da 139 Paesi sui 193 membri delle Nazioni Unite.

Non viviamo in un mondo di buonsenso, ma in sistemi giuridici e politici stravolti che esistono solo per soddisfare i forti.

Anche se accettiamo l’argomentazione che la Carta delle Nazioni Unite si applica solo ai membri a pieno titolo dell’ONU, il diritto palestinese all’autodifesa può comunque essere stabilito.

Nel 1960, la Dichiarazione n. 1594 dell’Assemblea Generale garantì l’indipendenza alle nazioni e ai popoli colonizzati. Sebbene non discutesse il diritto dei colonizzati di usare la forza, condannava l’uso della forza contro i movimenti di liberazione.

Nel 1964, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite votò a favore della Risoluzione n. 2105, che riconosceva la legittimità della “lotta” delle nazioni colonizzate per esercitare il loro diritto all’autodeterminazione.

Nel 1973, l’Assemblea approvò la Risoluzione 38/17 del 1983. Il linguaggio, questa volta, era inequivocabile: i popoli hanno il diritto di lottare contro la dominazione coloniale straniera con tutti i mezzi possibili, compresa la lotta armata.

Le stesse dinamiche che hanno governato l’ONU ai suoi albori continuano ancora oggi, dove i Paesi occidentali, che hanno rappresentato la maggior parte di tutte le potenze coloniali del passato, continuano a concedersi il monopolio dell’uso della forza. Al contrario, il Sud globale, che ha sofferto sotto il giogo di quei regimi occidentali, insiste sul fatto che anch’esso ha il diritto di difendersi dall’intervento straniero, dal colonialismo, dall’occupazione militare e dall’apartheid.

Mentre Scholz era a Washington per discutere di altri modi per uccidere i civili palestinesi, il Nicaragua ha presentato una richiesta ufficiale per unirsi al Sudafrica nel suo sforzo di ritenere Israele responsabile del crimine di genocidio a Gaza.

È interessante come i colonizzatori e i colonizzati continuino a costruire relazioni e solidarietà attorno agli stessi vecchi principi. Il Sud globale si sta nuovamente sollevando in solidarietà con i palestinesi, mentre il Nord, con poche eccezioni, continua a sostenere l’oppressione israeliana.

Poco prima di lasciare l’ospedale, un bambino ferito mi ha consegnato un disegno. Presentava diverse immagini, impilate l’una sull’altra, come se il bambino stesse creando una linea temporale degli eventi che hanno portato al suo ferimento: una tenda, con lui all’interno; un soldato israeliano che spara a un palestinese; le sbarre di una prigione, con suo padre all’interno e, infine, un militante palestinese che tiene una bandiera.


Fonte: Common Dreams, 15 febbraio 2024

https://www.commondreams.org/opinion/western-nations-back-israeli-genocide-gaza

Traduzione di Enzo Gargano per il Centro Studi Sereno Regis


 

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