Il ritorno della bipolarità: Tom Friedman profetizza un nuovo ciclo di conflitto globale (e perlopiù sbaglia)

Richard E. Rubenstein

In un recente lungo articolo d’opinione per il New York Times, l’esperto Thomas Friedman annuncia il ritorno della bipolarità, “una titanica lotta geopolitica fra due reti opposte di nazioni e attori non-statuali sui cui valori e interessi domineranno il nostro mondo post-Guerra Fredda”. (NY Times, 26 gennaio 2024, p. A26). Percezione non sciocca. L’egemonia essenzialmente unipolare goduta dagli Stati Uniti dalla fine della Guerra Fredda è di certo sotto fuoco, e si stanno formando nuove costellazioni di potere e influenza. Ma la descrizione di Friedman del conflitto emergente è un pastone da universitario appena scozzonato di teoria storica e moralismo primitivo. È come fosse un telecronista sportive che annuncia una gara fra pugili o lottatori infami ed eroici.

Benvenuti al Match del Secolo! Nell’angolo più discosto c’è la Rete di Resistenza, costituita da nazioni come l’Iran e la Russia, e organizzazioni come Hamas e Hezbollah, “dedite a preservare sistemi chiusi, autocratici dopo il passato seppellisce il futuro”. (E qui forse un sibilo di disprezzo). Nell’angolo più a portata c’è, non proprio Rocky Balboa, ma la Rete dell’Inclusione, “che cerca di plasmare sistemi più aperti, connessi, pluralizzanti dove il futuro seppellisce il passato”.

Indoviniamo da parte stanno gli Stati Uniti, i paesi NATO, Israele e Ucraina!  Noi nazioni “secolarizzanti, pluralizzanti, più mosse dal mercato” siamo l’onda del futuro – nei termini adoranti di Friedman, la patria di “conferenze d’affari, organizzazioni dell’informazione, élite, hedge fund [fondi speculativi che scommettono contro ogni rischio e il suo contrario – ndt], incubatori tecnologici e principali rotte di scambi”. Wall Street è la nostra Via Maestra!  Tessiamo insieme le cose come da provetti globalisti high-tech, e il nostro compenso non è solo il poter ma la legittimità.

i cattivoni della Resistenza, invece, vogliono tornare ai vecchi tempi fradici della competizione fra grandi potenze e a culture rétro. Sono buoni solo “a strappare e rompere roba”.  A che cosa stanno resistendo, esattamente?  Friedman non lo sa o vuole dire.  La sua conclusione è che i membri di questa rete “hanno mostrato nessuna capacità di costruire un qualunque governo o una società cui chiunque vorrebbe emigrare, figuriamoci da emulare”, mentre gli Inclusori invece “hanno il potenziale per ridefinire le strutture di potere e creare nuovi paradigmi di stabilità regionale”.

Fiuuh!  A chi è abbastanza Vecchio da ricordare la Guerra Fredda, questa sorta di analisi buoni/cattivi (sempreché si possa chiamare “analisi“) suonerà del tutto familiare.  Noi – il “Mondo Libero” – forti e virtuosi, eravamo il partito della libera politica, della libera impresa e delle libere zone di fuoco. Loro  – i Cospiratori Comunistardi – erano gli apostoli di nulla eccetto l’illibertà. Noi eravamo il futuro progressista; in effetti, apostoli della Guerra Fredda come Frank Fukuyama insegnavano che dopo di noi non c’era storia di cui poter parlare. Loro erano il passato barbarico, preistorico.

Il resto del saggio di Friedman sviluppa le implicazioni politiche di tali stereotipi.  Per esempio, noi (gli USA) dovremmo dare agli ucraini qualunque cosa ci chiedano per combattere i russi e anzi di più, dato che rappresentano gli interessi della Rete d’Inclusione in Europa a un costo stracciato da non perdere.  E dovremmo convince Bibi Netanyahu ad accettare una qualche sorta d’innocuo mini-stato palestinese cosicché Israele, gli stati del Golfo, e i sauditi possano diventare un “centro culturale, d’investimento, di conferenze, di turismo e manifatturiero” che domini il Medio Oriente e scalzi il potere della Rete di Resistenza.

Supponiamo per un momento che si stia sviluppando una nuova bipolarità negli affari internazionali, con Russia, Iran, Cina, e i loro alleati da un lato (benché lo strano trattamento della Cina da parte di Friedman -che discuteremo fra poco – intorbidi le acque) e gli Stati Uniti e i loro alleati dall’altro. Se fosse, che cosa spinge questo conflitto? A proposito di che? E riguardo agli attori importanti finora non-allineati, come Brasile, Turchia e India?  La risposta moralistica, da neo-Guerra Fredda è distinguere fra le “nostre” superiori istituzioni e buone intenzioni e le “loro”, inferiori e maligne, nonché considerare immorale il non-allineamento.  Ma questo ci lascia senza un bandolo riguardo al garbuglio di vere idee, emozioni, e interessi in gioco su ambo i lati.

Il silenzio di Friedman a questo proposito è calcolato.  Quel che non vuole ammettere è che i Resistenti stanno resistendo alla dominazione delle nazioni più ricche e meglio armate nella storia del mondo, gli Stati Uniti e i loro alleati del G7, successori di quegli imperi europei che hanno colonizzato e sfruttato i popoli non-occidentali del globo dal sedicesimo secolo in avanti.  Appena si riconosca il carattere storico di questa resistenza, si capisce che la Cina, prima la nazione più povera e più brutalmente colonizzata al mondo, sia non solo membro ma leader di questa rete.

Ecco, ovviamente, perché l’élite USA è attualmente così ansiosa di fare un perno per l’Asia degli affari europei e mediorientali, e perché sta tentando così assiduamente di creare un equivalente asiatico della NATO sotto forma di Giappone, Corea e Taiwan riarmati…

Cionondimeno l’esperto non vuole riconoscere la Cina come contendente nella “titanica lotta politica”che finge di descrivere, meno ancora come il leader di un versante. Descrive invece il gigante asiatico come neutrale! “I cuori e sovente i portafogli dei leader cinesi”, ritiene, “sono con i Resistenti, ma la testa ce l’hanno con gli Inclusori”. A tutta prima, questa categorizzazione sembra solo bizzarra.  Poi si pensa agli sforzi cinesi di far pace fra certi elementi delle due reti in lizza – per esempio, i tentativi di Pechino di mediare fra Iran e Arabia Saudita.  Infine, comunque, la motivazione di Friedman si chiarisce: la Cina è esclusa dalla Rete di Resistenza perché economicamente e tecnologicamente così avanzata!  Il suo governo può pur essere autoritario, ma non si combina con lo stereotipo della società culturalmente stagnante, che guarda all’indietro, senza un futuro che l’esperto ha forgiato per screditare i Resistenti.

“La test ace l’hanno con gli Inclusori”, davvero!  Ma c’è poco da dubitare che i cinesi continuino a sfidare egemonia di USA e alleati su virtualmente tutti i fronti, usando programmi come la Belt & Road Initiative – la “Nuova Via della Seta”- e organizzazioni come la Shanghai Cooperation Organization e l’alleanza BRICS per conseguire gli obiettivi propri e degli altri Resistenti.  Gli stereotipi neocoloniali di Inclusori avanzati e Resistenti retrogradi possono effettivamente contribuire a definire quegli obiettivi.

Le potenze imperiali hanno sempre preteso una superiorità culturale e politica rispetto ai propri sottoposti – e sono spesso state più “sviluppate” in certo senso.  Gran ricchezza e sicurezza fisica danno sì ai padroni più spazio di gioco, di assunzione rischi e innovazione che i propri servitori impoveriti, esposti al pericolo. Ma se si perde di vista la divisione basilare fra “cani di vertice” e “cani di fondo” (come espresso da Johan Galtung), si elude del tutto la nozione che potere e “sviluppo” van di pari passo.

I Resistenti non vogliono venire inclusi nell’ordine mondiale dei padroni. Vogliono il potere di decidere il proprio destino.  Come scriveva Franz Fanon in I dannati della terra, gli indigeni non vogliono lo status dei coloni: “vogliono il loro posto”. Fanon scriveva anche aspramente dell’incapacità degli oligarchi e politici indigeni inseriti organicamente nelle reti coloniali e neocoloniali di rappresentare i veri valori e interessi della propria gente. E’ tempo che l’egemonia globale occidentale finisca, ma dobbiamo ancora vedere se il nuovo ordine proclamato dai capi della Resistenza come la Cina saranno più che una versione aggiornata di dominio imperiale.

Conclusione, a dir poco, bizzarra.


EDITORIAL, 5 Feb 2024

#834 | Richard E. Rubenstein – TRANSCEND Media Service

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis


 

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