L’energia ‘richiesta’ per il futuro: utopia o autodistruzione?

Elena Camino

La quantità di energia richiesta per i prossimi 30 anni è quasi inimmaginabile: dalle due alle quattro volte superiore a quella che usiamo oggi: qual è la soluzione, utopia o autodistruzione?

Luminarie natalizie

Quest’anno ancora più del solito i giorni di Natale sono stati festeggiati – nei luoghi ‘ricchi’ del pianeta – con grandi esibizioni luminose: tutte commentate con entusiasmo da cronisti e pubblico.  Anche ai più distratti era evidente il contrasto rispetto a innumerevoli aree del pianeta colpite dalle guerre e rimaste al buio, rotto solo dai fuochi degli incendi e dalle scie dei bombardamenti aerei. Quello che sembrava essere poco presente alla consapevolezza era la connessione tra questi scenari e la trasformazione in atto dei grandi ecosistemi che popolano il pianeta.

Energia in quantità viene ogni giorno di più ‘consumata’ per far sfavillare le grandi città, moltiplicare le chiacchiere in rete e diversificare i viaggi turistici, e nello stesso tempo energia viene ‘consumata’ per uccidere milioni di creature e distruggere i loro luoghi di vita.  Sembra che non ci sia limite alla quantità di energia di cui possiamo disporre, con le opportune tecnologie: ma è proprio così?

Arezzo, dicembre 2023. Foto di Enzo Gargano

Fonti alternative

Assistiamo in questi ultimi anni a un moltiplicarsi di iniziative volte ad assicurare una disponibilità crescente di energia per il funzionamento delle attività che caratterizzano questo mondo globalizzato: attività produttive, agricoltura, trasporti, servizi… le proiezioni degli analisti segnalano un aumento considerevole soprattutto della richiesta di elettricità, anche da parte del settore informatico, che nonostante il suo aspetto ‘immateriale’ presenta crescenti caratteristiche energivore. L’allarme lanciato dagli scienziati sui rischi legati all’aumento di gas-serra prodotti durante la combustione delle fonti energetiche fossili (petrolio, gas) è stato raccolto dal mondo politico e imprenditoriale, che ha concordato, dopo accesi dibattiti a livello internazionale, di considerare ‘sostenibili’ due tipi di energia: quella da fonti rinnovabili (da vento, sole, acqua) e, l’energia nucleare, in virtù della bassa emissione di CO2 nella fase di esercizio.

Questa scelta in particolare è stata apertamente sostenuta da un noto regista, Oliver Stone, che in un film/documentario, Nuclear Now, prodotto pochi mesi fa afferma: “la quantità di energia richiesta per i prossimi 30 anni è quasi inimmaginabile: dalle due alle quattro volte superiore a quella che usiamo oggi. Non c’è tempo per avere paura: bisogna riprendere in considerazione una fonte di energia garantita, bisogna riproporre il nucleare perché questa potenza incredibile, l’oggetto delle nostre paure, è ciò che potrebbe salvarci.

Ridurre la CO2

Grazie all’inclusione dell’energia prodotta da fissione nucleare, la lista ufficiale delle energie ‘pulite’ non è più limitata alle ‘rinnovabili’: all’aria, all’acqua e al sole si è affiancata una forma di energia che implica una filiera complessa, dalle miniere per l’estrazione del materiale alla costruzione di complessi impianti per lo stoccaggio e il contenimento delle scorie radioattive.   Una caratteristica condivisa da queste fonti energetiche è la ridotta emissione di CO2 in atmosfera, cioè di uno dei gas che contribuiscono ad aumentare l’’effetto serra’ della nostra atmosfera: effetto che si manifesta con un aumento della quantità di energia termica intrappolata intorno al pianeta [1].  Dunque, ecco una soluzione ‘semplice’: riduciamo la CO2!

Individuato questo gas come responsabile di tanti guai, innumerevoli studi sono stati finanziati per risolvere il problema. Da un lato, come accennato, una strategia efficace è sembrata quella di valorizzare la produzione di energia da fonte nucleare, superando le resistenze (di carattere etico, scientifico ed economico) che si erano accumulate nel tempo; dall’altra è sembrato utile (anche se oggetto di controversia tra scienziati) intrappolare una parte della CO2 prodotta sottraendola all’atmosfera. Sulla tecnologia di ‘Cattura e Stoccaggio del Carbonio’(CCS) sono in corso molti studi e grandi investimenti.

Pur rimanendo nell’ambito della soluzione ‘semplice’ uno sguardo un po’ più articolato alle implicazioni delle fonti energetiche ‘pulite’ rende evidente che è difficile riflettere sulle energie senza chiamare in causa la materia

Energia e materia a braccetto

In una recente pubblicazione scientifica due ricercatrici, Simoes & Lima, hanno calcolato la quantità di materiali da costruzione e di risorse per la costruzione degli impianti che sarebbero necessari per soddisfare l’obiettivo dell’UE stipulato con gli Accordi di Parigi nel 2015 (mantenere l’aumento della temperatura globale ben al di sotto di 2 °C rispetto ai livelli preindustriali e di proseguire gli sforzi per mantenerlo a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali). La riduzione della dipendenza dall’uso dei combustibili fossili richiede un forte incremento della costruzione di impianti per l’utilizzo di energie rinnovabili: di qui l’esigenza di grandi quantità di materiali da costruzione.

Per raggiungere i traguardi sperati, la capacità installata (solare fotovoltaico, solare a concentrazione, dighe, impianti eolici e nucleari) dovrebbe aumentare del 90%, con una pressione enorme su materiali (acciaio, cemento e vetro) e risorse (acqua e sabbia). Ma attenzione: tra i materiali di uso quotidiano, i materiali da costruzione sono tra quelli ambientalmente più costosi. Inoltre la disponibilità di risorse di base, cioè acqua e sabbia, è sempre più scarsa, e la crescente domanda sta provocando un aumento di dannose attività di prelievo anche a livello locale, con conseguenti conflitti ambientali e sociali.

Anche con gli scenari più vantaggiosi (che prevedono un elevato tasso di riciclo dei materiali) si prevede un raddoppio delle emissioni di CO2 nel prossimo decennio, senza considerare i gas serra (GHG) emessi nelle attività secondarie (es. il trasporto dei materiali). Inoltre, finora la produzione di materiali da costruzione non può utilizzare fonti rinnovabili (non essendo ancora disponibili), quindi la dipendenza da combustibili fossili è destinata a protrarsi a lungo. Insomma, l’idea di soddisfare la crescente ‘fame’ di energia senza causare squilibri al pianeta non sembra facilmente realizzabile!

Materiali ‘scottanti’

Tra i materiali necessari per realizzare gli impianti di produzione ‘pulita’ di energia sono presenti numerose sostanze la cui disponibilità è limitata, e la cui distribuzione geografica è disomogenea. Questo vale per i minerali di uranio, naturalmente, ma anche per numerosi elementi e composti chimici che – pur necessari in piccole quantità, sono rari oppure – dato che la richiesta è aumentata esponenzialmente – risultano scarsi, quindi oggetto di competizione tra i produttori (singoli stati o multinazionali) e gli utilizzatori.

Una relazione molto dettagliata sulla situazione europea è stata da poco pubblicata dal Joint Research Centre (JRC), un Centro comune di ricerca che fornisce competenze e conoscenze scientifiche indipendenti e basate su dati concreti, sostenendo le politiche dell’UE per avere un impatto positivo sulla società. In generale, il JRC realizza studi previsionali, per fornire supporto scientifico per le future iniziative politiche; stabilisce legami tra i diversi settori scientifici e politici all’interno e all’esterno della Commissione Europea; si impegna nell’aiutare i responsabili politici a monitorare e valutare l’impatto delle loro politiche.

Le prime frasi del Sommario di questa relazione illustrano efficacemente l’aspetto principale del problema che gli Autori cercano di affrontare. “La transizione energetica è una transizione di materiali. Un sistema energetico pulito è ad alta intensità di minerali e metalli rispetto a un sistema energetico convenzionale basato su combustibili fossili; […]  le implicazioni per l’estrazione delle materie prime e per la concorrenza globale per garantirne l’accesso sono enormi”. [2]

Gli Autori sottolineano che, nello scenario di instabilità politica che ormai condiziona l’Europa, si rende necessario un massiccio aumento dell’energia eolica e dell’installazione solare fotovoltaica (PV), delle batterie e dell’idrogeno per immagazzinare elettricità e alimentare i veicoli, e delle pompe di calore per il riscaldamento e il raffreddamento ad alta efficienza energetica. Tutto ciò porta con sé una nuova domanda di materie prime critiche, molte delle quali sono necessarie per sviluppare le tecnologie necessarie a soddisfare le strategie dell’UE per la digitalizzazione, la difesa e l’aerospazio. Questo studio esplora le potenziali vulnerabilità e dipendenze di quindici tecnologie in cinque settori strategici dell’UE, vale a dire: energie rinnovabili, mobilità elettrica (e-mobility), industria, tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC), settore aerospaziale e difesa.

Quanta energia, e per fare cosa?

La transizione energetica auspicata, da un sistema basato sulle fonti fossili a uno basato sulle cosiddette ‘rinnovabili’, risolverà (forse…) solo a lungo termine, e in modo parziale, i problemi attuali. Non basta ridurre le emissioni di CO2 e di gas serra (GHG) per conservare l’integrità degli ecosistemi: occorre ridurre e limitare i prelievi e le trasformazioni che – lungo le filiere che dalle miniere portano ai prodotti finali / scarti – trasformano sempre più velocemente soggetti viventi in oggetti inanimati.  Inoltre, la competizione internazionale per i materiali necessari alla transizione ha provocato conflitti e guerre che stanno destabilizzando sempre più lo scenario geopolitico globale.

Può essere interessante allora cercare di capire che cosa si nasconde dietro alla frase – già citata – pronunciata da Oliver Stone all’inizio del suo film: “la quantità di energia richiesta per i prossimi 30 anni è quasi inimmaginabile: dalle due alle quattro volte superiori a quella che usiamo oggi”.  A questo proposito sarebbe utile avere qualche informazione: a) quanta energia si consuma oggi nel mondo, e in che modo viene utilizzata? b) quali sono le cause dell’enorme aumento previsto per i prossimi decenni? c) è possibile contrastare questa tendenza, grazie a decisioni collettive e iniziative personali?

Al di là dei dati quantitativi, basterebbe il buon senso per capire che in un mondo – come è la Terra – che ha risorse limitate e un ‘metabolismo’ lento (capacità di trasformazione e riciclo) rispetto alla crescente accelerazione della domanda umana. E’ impossibile ‘richiedere’, come vorrebbe Oliver Stone, una quantità illimitata di energie, e tantomeno una crescita infinita di produzioni e consumi, senza portare al collasso il nostro pianeta, dalla cui vitalità totalmente dipendiamo. Ma se non ci è sufficiente il buonsenso, possiamo anche cercare risposte tecnico-scientifiche, consultando siti specializzati che danno informazioni generali da diversi punti di vista, o approfondiscono singoli aspetti fornendo dettagli utili per intraprendere nuove iniziative, più sostenibili.

Arezzo, dicembre 2023. Foto di Enzo Gargano

Consumi di energia nel mondo

Si può consultare il documento World Energy Outlook 2023 dell’Agenzia internazionale per l’energia, aggiornato a ottobre 2023: pubblicato ogni anno dal 1998, i suoi dati forniscono approfondimenti critici sull’offerta e sulla domanda energetica globale in diversi scenari e sulle implicazioni per la sicurezza energetica, gli obiettivi del cambiamento climatico e lo sviluppo economico, soprattutto nella prospettiva di una graduale sostituzione di fonti fossili con fonti con minore produzione di gas con effetto serra (GHG).  Molte altre Istituzioni e siti forniscono informazioni su questo tema, per aiutare i lettori a interpretare criticamente i dati.

Per esempio il sito di SOLARIC, impegnato nella transizione verso l’energia solare, sottolinea il fatto che alcune industrie consumano una quantità incredibilmente grande di energia rispetto ad altre, e la portata del loro consumo energetico è davvero sconcertante. Dall’impiego di macchinari negli impianti di produzione, al traffico di milioni di veicoli sulle strade, le industrie con i più alti livelli di consumo energetico hanno un profondo impatto sull’economia globale e sull’ambiente.

Il settore dei trasporti è uno dei maggiori consumatori di energia, rappresentando circa il 25% del consumo energetico totale mondiale. l crescente numero di dispositivi ed elettrodomestici elettronici nelle case ha aumentato significativamente il consumo di energia in questo settore. In molti ambiti svolge un ruolo crescente l’energia elettrica, che alimenta sistemi di controllo automatico sempre più raffinati. Prima della rivoluzione dell’intelligenza artificiale, i data center consumavano l’1% di tutta la domanda mondiale di elettricità. Secondo l’International Energy Agency, entro il 2030 i sistemi basati sull’apprendimento automatico e sull’archiviazione dei dati potrebbero rappresentare il 3,5% di tutto il consumo globale annuale di elettricità!

Dati utili si trovano anche in un sito specifico per l’Europa. L’energia in Europa viene consumata da diversi settori dell’economia: famiglie (energia consumata nelle abitazioni dei cittadini), trasporti (ferrovie, strade, aviazione nazionale o navigazione interna), industria, servizi (compresi i servizi pubblici e commerciali), agricoltura e silvicoltura. Esaminando quali settori nell’UE consumano più energia, il settore dei trasporti (29% del consumo energetico finale) ha consumato più energia nel 2021, seguito da famiglie (28%), industria (26%), servizi (14%), e agricoltura e silvicoltura (3%). Circa il 24% dell’energia finale che consumiamo è elettrica e proviene da diverse fonti.

E’ evidente però che – per ridurre in modo significativo le richieste di energia del mondo ‘benestante’ – si dovrebbe ripensare alla possibilità di abbracciare scelte di vita molto diverse, abbandonando il modello di sviluppo dominante, basato sui consumi illimitati e sulle guerre per le risorse, ispirandosi alla ‘semplicità volontaria’ e a un diverso senso della vita…

Energia e militarizzazione

Non è facile trovare dati sul ruolo delle attività militari quando si parla di energia. Oltre alle enormi quantità di energia e di materia impiegate sotto la voce ‘difesa e sicurezza’, la militarizzazione orienta verso una crescita economica socialmente poco utile, molto energivora e dannosa per l’ambiente. Una ricerca recente di Jorgenson A.K.et al. esamina l’impatto della militarizzazione sull’ambiente in 22 paesi OCSE dal 1971 al 2020. I risultati dell’analisi indicano un contributo significativo della militarizzazione alle emissioni di CO2, non solo direttamente, ma anche tramite il condizionamento imposto al settore economico, con lo spostamento da attività produttive civili a quelle per finalità belliche.

Che si tratti di progettare e produrre armi o di impegnarsi in guerre, conflitti ed esercitazioni militari, le attività militari contribuiscono a determinare sempre più devastanti cambiamenti climatici: la militarizzazione si può considerare l’attività umana più distruttiva per l’ambiente e le forze armate sono gli inquinatori più prolifici nel mondo. Rispetto a una classifica delle emissioni su base nazionale l’esercito globale si classificherebbe come il quarto più grande inquinatore, con emissioni totali superiori a quelle dell’intera Russia.

Guerra contro il pianeta

Il terribile costo umano della guerra dovrebbe essere sufficiente per fermarla, e chiedere la pace, ma sono sempre più evidenti le prove che la guerra sta danneggiando irrimediabilmente anche l’intero pianeta: la spesa militare – sia per le guerre, sia per contrastare le “minacce” strategiche a lungo termine – risulta sempre più prioritaria rispetto alle spese per il clima. Secondo i dati del SIPRI (Stockolm International Peace Research Institute) la spesa militare globale ha raggiunto un totale di 2,3 trilioni di dollari nel 2022, mentre gli stessi paesi non riescono a raccogliere finanziamenti per ridurre le emissioni e adattarsi ai cambiamenti climatici. La più grande alleanza militare del mondo, la Nato, si è impegnata a far sì che tutti i suoi membri spendano almeno il 2% del PIL in ambito militare.

Un recente rapporto del Transnational Institute, StopWapenhandel e Tipping Point North South, rivela che ciò porterebbe a una spesa totale dei paesi Nato di 11,8 trilioni di dollari entro il 2028. Questa somma, se diversamente impegnata, sarebbe sufficiente a pagare per 118 anni i 100 miliardi di dollari annui promessi dal mondo ricco per finanziare la protezione climatica nei paesi a rischio. L’aumento in corso – in quasi tutti i Paesi – della presenza di forze militari e delle attività ad esse connesse (numero di soldati, produzione e uso di armamenti, esercitazioni, basi militari ecc.) viene da alcuni Autori indicato come esempio di ‘tapis roulant della distruzione’ (The treadmill of destruction’):  con questo termine alcuni studiosi indicano il meccanismo perverso tramite il quale la militarizzazione di una società o di un paese devasta – direttamente e indirettamente – la vita e l’ambiente di milioni di persone e altri viventi.

Un mondo da tempo preannunciato

Werner Weick, regista e giornalista svizzero, tra il 1964 e il 2006 ha prodotto numerosi film-documentari che illustrano la storia e il pensiero di alcune persone straordinarie, spesso fuori dal comune e talvolta poco conosciute: da Herman Hesse a Etty Hillesum,  da Elemir Zolla a Raimon Panikkar.  Weick era interessato a mettere in luce visioni del mondo non convenzionali, interpretazioni della vita e del suo significato che attingono a culture e tradizioni diverse da quelle dominanti nel mondo occidentale.

Nel 1992 pubblicò una lunga video-intervista [3] con un ricercatore francese, Alain Danielou, grande esperto della storia dell’India e delle sue tradizioni culturali, religiose e musicali. Sulla base di documenti antichissimi e di testi medioevali che ne richiamano la memoria, Danielou riassume lo scenario profetico previsto per il mondo d’oggi: siamo nel Kali Yuga [4], fase finale di un lungo ciclo in cui si sono avvicendati quattro periodi della storia umana, da una antica età dell’oro, in cui una spiritualità primordiale rendeva l’umanità vicina agli dei, attraverso la seconda fase (della stanzialità e dei riti) e la terza fase (l’età del dubbio e delle speculazioni filosofiche), fino alla condizione attuale, l’età dei conflitti, che si concluderà con la distruzione pressoché totale dell’umanità. Danielou si rifà ai Purana, racconti delle tradizioni induiste tramandate dai tempi più antichi, per citare le previsioni di ciò che succederà.

 “L’immaginazione è impoverita, e separa l’uomo da se stesso. Gli occhi non sanno più vedere, si è come ciechi. Non ci sono più risposte, resta solo il disorientamento, il dubbio. […] trovandosi immersi nell’ignoranza, sicuri di sé, ritenendosi saggi, gli uomini si aggirano urtandosi a vicenda…”

Gli uomini del Kali Yuga sono tormentati dall’invidia; sono irritabili, indifferenti alle conseguenze dei loro atti. Sono minacciati da terribili calamità naturali, i loro desideri sono mal orientati, il loro sapere è usato per fini controproducenti. […] Gli uomini dabbene si ritirano dalla vita pubblica, i ladri diventano re e i re diventano ladri; i potenti si appropriano dei beni pubblici e cessano di proteggere il popolo.”

Ritorno al centro

L’attenzione focalizzata su singoli aspetti del problema globale in cui siamo sprofondati – la produzione di CO2, l’aumento di temperatura dell’atmosfera, i danni prodotti da produzione e consumi di energia, la devastazione ambientale – mette in evidenza la frammentazione della visione moderna tecno-scientifica, basata sulla linearità e l’accelerazione. Questa parcellizzazione fa perdere di vista lo scenario complessivo, dove tutto è interconnesso e interdipendente. E dove i tempi umani sono battiti di ciglia rispetto ai tempi cosmici delle antiche tradizioni indiane.

Secondo una antichissima tradizione indiana, lo yuga è l’unità di misura più breve di un ciclo più lungo, o mahàyuga, che si compone di quattro periodi di durata ineguale. Ogni mahayuga si ripete a sua volta, e mille di questi grandi cicli costituiscono un kalpa; un kalpa equivale a un giorno della vita di Brahma; la vita di Brahma contiene 100 kalpa… Questo avvicendarsi di cicli, gli uni inclusi negli altri, intende esprimere l’eterna ripetizione del ritmo fondamentale del cosmo: la sua periodica distruzione e la ricreazione.

In questi tempi bui non è facile trovare un senso alla propria vita, individuare un ruolo per sé che contribuisca a resistere alle forze distruttrici di Kali Yuga, a ridurre il dolore di chi soffre e il senso di perdita per questo nostro mondo così meraviglioso, ormai sfregiato.  L’immaginazione è impoverita, e separa l’umanità da se stessa. Daniel Danielou – nella sua lunga intervista con Werner Weick – suggerisce di andare controcorrente, di tornare all’essenziale, alla ricerca della saggezza antica, rispettandone le leggi. Un continuo ‘tornare al centro’, per vincere le forze centrifughe di questo periodo di ‘rovesciamento’, di questo mondo al contrario in cui tutti i valori sono sovvertiti, e per tornare a riconoscere i nostri limiti e la nostra impermanenza. 

Di questo ‘tornare al centro’ fu maestro e ispiratore Nanni Salio, che per molti anni ne diede testimonianza, animando con la sua presenza e le sue idee il Centro Studi Sereno Regis. In occasione della ‘festa’ dei 30 anni del Centro delineò un programma per i successivi trent’anni, e lo concluse con queste parole:  “La nostra vita individuale è un soffio, una piccola fluttuazione, sebbene di inestimabile importanza, nella vita collettiva dell’umanità e ancor più del fenomeno in larga parte misterioso dell’evoluzione della natura in cui siamo immersi. Questa consapevolezza ci rende al tempo stesso cauti, modesti, umili, ma ci sprona anche nella continua ricerca da condurre tutti insieme sui più svariati fronti della conoscenza.”

Note

[1] Le conseguenze, previste da decenni, sono ormai evidenti in molte forme: all’aumento della temperatura media dell’aria e degli oceani si accompagna una crescente dinamicità dei fenomeni meteorologici, la fusione di grandi quantità di acqua, finora bloccate dai ghiacci, e molteplici reazioni dei viventi, dall’estinzione di specie alle migrazioni, agli adattamenti di animali e piante in tutto il pianeta.

[2] The energy transition is a materials transition. A clean energy system is much more minerals- and metals-intensive than a conventional fossil fuel energy system, and even with increased circularity, the implications for the extraction of raw materials, and for global competition to secure access to them, are enormous.

[3] In “APOCALISSE”, all’interno di una serie di 5 puntate da 50’ con la collaborazione di Andrea Andriotto, per la Televisione della Svizzera Italiana

[4] Kali-yuga: era della corruzione e della decadenza, in cui ogni senso di giustizia è andato perduto, tutti i valori sono calpestati e l’umanità vive il suo lento crepuscolo in attesa che Visnu […] torni a far trionfare la giustizia in una nuova era perfetta. Stefano Piano, Enciclopedia dello Yoga, Magnanelli Edizioni, Torino 1996.


 

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