Il nucleare non è la risposta. Ma qual è il problema? – Nanni Salio

La produzione e l’utilizzo dell’energia elettronucleare non è che un capitolo, per quanto importante, del più ampio problema energetico. Insieme, possono essere inquadrati nel più generale tema delle questioni globali, complesse e controverse che convenzionalmente indichiamo con PAS, pace, ambiente, sostenibilità. Non dovrebbe stupire che su questi temi si continui a discutere sin dall’inizio dell’ “era nucleare” con argomenti pro e contro che vengono riproposti di tanto in tanto dai cosiddetti “esperti”, che in realtà esperti non sono.

Non è facile riconoscere esplicitamente lo stato complessivo di “ignoranza” in cui ci troviamo quando affrontiamo problemi di tale natura. Tecnici e scienziati si arroccano nel loro orticello, seguiti da economisti e politici che a vario titolo si schierano, con poco senso critico, per l’una o l’altra soluzione proposta.

Come può orientarsi l’opinione pubblica in tale condizione di forti contrasti, interessi di parte, conflitti di interesse, notizie frammentarie, confuse, dove si dice tutto e il contrario di tutto?

In questi ultimi tempi si sono moltiplicati gli scritti su questo argomento, a favore o contro. Dal Chicco Testa, già presidente di Legambiente convertito di recente al nucleare che, in un testo tanto superficiale quanto incredibilmente generico presenta la sua conversione al “nucleare” (Chicco Testa, Tornare al nucleare?, Einaudi, Torino 2008), ai contributi di vari autori che ribadiscono il loro rifiuto di tale scelta: Virginio Bettini, Nucleare impossibile, Utet, Torino 2009; Luigi Sertorio, La natura e le macchine, SEB 27, Torino 2009; Giulietto Chiesa, Guido Cosenza, Luigi Sertorio, La menzogna nucleare, Ponte alle Grazie, Milano 2010.

Tra questi, e molti altri contributi, spicca il lavoro di una delle più autorevoli voci del mondo scientifico, Helen Caldicott, che sin dagli anni 1960 contesta con una ricchissima documentazione la scelta nucleare, con motivazioni basate soprattutto, ma non solo, sulla sua esperienza professionale di medico pediatra.

Un piccolo editore ha il merito di farci conoscere l’ultimo lavoro della Caldicott, Il nucleare non è la risposta (Gammarò editori, Sestri Levante 2010), preceduto da una bella, chiara ed essenziale introduzione di Nicola Armaroli, ricercatore presso la sede del CNR di Bologna, il quale focalizza immediatamente l’attenzione su cinque principali argomentazioni prese in esame dettagliatamente e confutate nel testo della Caldicott:

– l’energia elettrica prodotta per via nucleare è la più economica

– la tecnologia nucleare non produce gas serra

– le centrali nucleari sono totalmente sicure

– il problema delle scorie radioattive è stato risolto

– il nucleare ci libera dalla dipendenza del petrolio

Lasciando alla lettura del testo gli argomenti specifici su ciascuno di questi punti, proviamo invece a ribaltare la questione posta nel titolo: se il nucleare non è la risposta, qual è il problema?

Da dove dovremmo partire, da quali domande?

E’ un luogo comune sentir dire, anche e soprattutto da tecnici e scienziati, per non parlare di economisti e politici, che abbiamo bisogno di quantità crescenti di energia.

Se questa è la domanda, occorre subito affermare che si parte nel modo sbagliato, per due ragioni. Innanzi tutto, non è di energia in senso stretto che si dovrebbe parlare, ma di “flussi di energia nel tempo” ovvero di potenza, rapporto tra energia e tempo misurata in watt (e multipli, come il più comune kilowatt, da non confondersi con il kilowattora, che esprime invece la quantità di energia utilizzata da una utenza della potenza di un kilowatt nel corso di un’ora). In secondo luogo, in un sistema finito come quello del pianeta di cui siamo ospiti un po’ ingombranti, ci sono dei limiti alla crescita illimitata di qualsiasi grandezza, a cominciare da quella della potenza energetica.

Per mantenersi in vita, sia gli esseri umani sia gli animali hanno bisogno di una potenza pari a circa 1 watt per ogni kilogrammo di peso corporeo. Ma la potenza media utilizzata nelle nostre società, tenuto conto di ogni forma di energia impiegata e mediata sull’arco di un anno, varia dai 10-12 kW pro capite negli USA ai 4-6 nell’UE agli 1-1,6 per Cina e India, sino a valori dell’ordine di 0,2 per le popolazioni che vivono con un’economia di sussitenza.

Il valore ottimale di potenza pro capite, compatibile con gli equilibri dell’intero ecosistema Terra-Sole, è dell’ordine di 1,5-2 kW, con una popolazione dell’ordine di quella odierna e immaginando che si stabilizzi intorno alla metà del secolo.

Il problema che si pone all’umanità non è dunque quello di produrre quantità crescenti di energia, e di potenza complessiva, bensì di avviare un processo di transizione che consenta alle popolazioni dei paesi più ricchi di raggiungere un valore pro capite dell’ordine di 2 kW e alle popolazioni più povere di avvicinarsi verso tali valori.

Per conseguire questo risultato, non occorre affatto ricorrere al nucleare, ma è fondamentale una modalità di produzione e di utilizzo su piccola scala decentrata. Abbiamo commesso un “errore di scala”, una sorta di “errore di sistema” e dobbiamo riprogettare interamente le nostre società prendendo a modello il modo con cui avvengono gli scambi energetici nella biosfera, ovvero a piccola e piccolissima potenza, decentrata.

A tali condizioni, è possibile progettare e realizzare una transizione verso un modello energetico fondato su fonti rinnovabili (solari) che sappia utilizzarle in modo intelligente ed efficiente, in uno stato di equilibrio stazionario.

Lavori come quelli della Caldicott sono pertanto fondamentali per smontare false tesi che mirano invece a perpetuare un modello ad alta potenza e ad alto potere concentrato nelle mani di pochi centri economici, politici e militari.

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