Slavery
Cos’è, il nome di una nuova lavatrice?
Un campeggio internazionale oltre Trieste?
L’ennesimo agente segreto dell’ennesima serie dell’ennesimo regista che si allena a fare cinema?
No. Tutt’altro. Slavery è una parola inglese che si traduce in italiano con «schiavitù».
E perché ne parliamo? Non è stata abolita anni fa?
E perché ne scriviamo nella rubrica della Semplicità volontaria?
Ora provo a spiegarlo.
Palloni e telefonini
Che cosa accomuna i due oggetti? Giustappunto la schiavitù. No, non quella a cui ci sottopongono (ciascuno a suo modo: l’uno davanti alla tv o allo stadio, l’altro ovunque ormai nelle nostre – vostre – vite), ma quella a cui noi sottoponiamo qualcun altro.
Il 75% dei palloni di cuoio che vediamo rotolare su e giù a «ogni maledetta domenica» (inevitabile citazione cinematografica) è prodotto da bambini “Sfruttati dalle multinazionali nel nome del calcio globalizzato» («Frate Indovino», agosto 2016, p. 2). In Pakistan, distretto di Sialkot i palloni di cuoio professionali vengono prodotti e rifiniti anche da bambini, costretti a cucirli a mano per qualche centesimo (invece di giocare, loro, a palla, lavorano per permettere a noi di «giocare» guardando ragazzi milionari (un po’ schiavi anche loro) correre sull’erba verde (schiava pure lei).
«L’Unicef ha stimato che nel 2014, nel comparto minerario della Repubblica Democratica del Congo, lavoravano circa 40.000 fra bambini e bambine. Molti di questi nel settore del cobalto […] fino a 12 ore al giorno nelle miniere, guadagnando in media uno o due dollari» (ivi). Il cobalto è l’elemento per produrre le batterie dei cellulari, dei tablet, dei computer fissi e portatili e di altri dispositivi elettronici. Per estrarre il cobalto vengono mandati in miniera bambini di 6- 7 anni, senza i dovuti controlli, in condizioni disumane, senza ventilazione né misure di sicurezza. Respirano a fatica e si ammalano: «L’esposizione cronica a poveri contenenti cobalto causa malattie, asma e riduzione della funzione polmonare».
Per non parlare dei crolli che provocano centinaia di morti all’anno.
Solo consapevolezza
Perché se veniamo a sapere di come si ottiene il patè de fois gras (perché vediamo le immagini delle povere oche in televisione, grazie a qualche trasmissione illuminata) ci impietosiamo? Perché riusciamo a non indossare una pelliccia di visone dopo aver visto le graziose bestioline ridotte in schiavitù (pure loro) per la nostra vanità? E perché invece, se abbiamo 80 anni e facciamo la casalinga o la pensionata non riusciamo a rifiutare il telefonino dopo aver saputo le cose scritte poche righe più su? Mistero (cantava Enrico Ruggeri)!
E intanto aspettiamo di assistere, fra moooolti anni, ai processi tipo quelli dell’Eternit anche per le miniere di cobalto; e aspettiamoci di sentire – come ai processi Eternit – cose tipo: «Non sapevo… giocavo in quella polvere», o «Non sapevo… mio marito tornava a casa tutto bianco e io lavavo i suoi abiti da lavoro…». Proprio come adesso diciamo: «Non lo sapevo che per permettermi di telefonare al cinema (disturbando tutti), in spiaggia, in auto, in treno (tutte cose indispensabili no? Tutte cose di cui non si può fare a meno, no?) tanti bambini sono morti o hanno vissuto infanzie miserabili invece di giocare».
Per non dire: «Non lo sapevo…» vi propongo un compitino: guardare questo breve cartone animato, dura una ventina di minuti, è chiaro e «divertente». Buona visione.
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