Un riconoscimento giuridico per gli alberi?

Elena Camino

Should trees have standing?
“Standing” è una parola piena di “meaning potential”.
Poi nel senso di “locus standi” … “luogo in cui si sta in piedi”,
luogo di “empowerment” perché hai il diritto di agire o farti sentire
davanti alla legge e dunque “legal standing”.

Una controversia legale negli anni ‘70

sierra club x2Sierra Club v. Morton, 405 U.S. 727 (1972), è un caso discusso dalla Corte Suprema degli Stati Uniti a proposito di un riconoscimento di personalità giuridica. La Corte respinse una causa intentata dall’Associazione Sierra Club, nel 1972 (che intendeva bloccare l’insediamento di una stazione sciistica nella Mineral King Valley, nelle Montagne della Sierra Nevada) perché il Club non aveva portato prove di danni subìti.

Sul caso si espresse, dissentendo, il giudice della Corte Suprema William O. Douglas, il quale affermò che si dovrebbe riconoscere personalità giuridica agli alberi, e in generale a ‘oggetti inanimati’.

“La questione critica del “riconoscimento giuridico” sarebbe semplificata e posta in una più corretta prospettiva se mettessimo a punto una legge federale che consentisse di affrontare i problemi ambientali davanti alle agenzie federali o alle corti federali a nome dell’oggetto inanimato sul quale incombe il rischio di essere danneggiato, cancellato, o invaso da strade e bulldozers e dove il danno suscita l’indignazione pubblica. La preoccupazione dell’opinione pubblica contemporanea per proteggere l’equilibrio ecologico della natura dovrebbe portare alla possibilità legale di riconoscere diritti agli oggetti ambientali, in modo che possano difendere in giudizio per la propria protezione e conservazione”.

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Foto di Victor Szalvay. Un’area dedicata a William O. Douglas nei pressi di Yakima, Washington.

E ancora:

Ci sono già casi in cui oggetti inanimati sono parti in causa in una controversia o un processo. Una nave ha una personalità giuridica – una finzione che è stata considerata utile per questioni marittime. La società unica – una creatura del diritto ecclesiastico – è considerata un avversario accettabile, e sui suoi casi cavalcano grandi fortune… Lo stesso dovrebbe avvenire per quel che riguarda valli, prati alpini, fiumi, laghi, estuari, spiagge, crinali, stagni, boschi, e persino l’aria che percepisce la pressione distruttiva della moderna tecnologia e della vita moderna. Il fiume, per esempio, è il simbolo vivente di tutta la vita che esso sostiene e nutre – pesci, insetti acquatici, merli acquaioli, lontre, martin pescatori, alci, cerci, orsi, a tutti gli altri animali, incluso l’uomo – che dipendono dal fiume o che godono della sua vista, dei suoni, della vita che ospita. Il fiume come querelante parla a nome dell’unità ecologica della vita che esso ospita.”

Anche se il Sierra Club perse la causa, la stazione sciistica di Mineral King non fu mai realizzata, e il luogo venne incluso nel Sequoia National Park.

Verso diritti legali per gli oggetti naturali

Should trees have standing“Should trees have standing?1” Così inizia il titolo di un articolo pubblicato nel 1972 da un giovane giurista, Cristopher Stone. La seconda parte del titolo dice “Verso diritti legali per gli oggetti naturali”. Cristopher Stone era stato colpito dalla controversia legale avviata dal Sierra Club, e approfondì poi la problematica dei ‘diritti della natura’ pubblicando, nel 2010, una raccolta di saggi2 in cui sosteneva che era necessario che agli ‘oggetti naturali’ fossero riconosciuti diritti legali tramite la nomina di tutori designati per proteggerli.

Alcune frasi tratte dall’articolo scritto nel 1972 sono estremamente attuali:

“Abbiamo riconosciuto davanti alla legge persone che prima non avevano riconoscimento legale, come i bambini, per esempio. E lo stesso abbiamo fatto, anche se in modo che alcuni considerano imperfetto, con altre categorie: i detenuti, gli stranieri, le donne (soprattutto quelle sposate), i pazzi, i Neri, i feti, gli Indiani.

[…] Il mondo dei rappresentanti legali è popolato di detentori di diritti in-animati: società, corporazioni, imprese, municipalità…

[…] Ci siamo talmente abituati all’idea che una società ha “suoi” propri diritti, e che viene considerata “persona” o “cittadino” per così tanti propositi legislativi o costituzionali, che ci dimentichiamo quanto fosse considerato incongruo e dissonante ai giuristi di un tempo.

[…] Io sto proponendo molto seriamente di attribuire diritti legali alla foreste, agli oceani, ai fiumi e ad altri cosiddetti ‘oggetti naturali’, e all’ambiente naturale al suo insieme. Non è inevitabile, né è saggio, che gli oggetti naturali non possano avere il diritto di chiedere risarcimenti a proprio nome per i danni subiti. E non ha valore l’obiezione che non possono perché torrenti e foreste non possono parlare. Anche le Corporazioni non possono parlare; né possono farlo gli stati, le proprietà, i neonati, coloro che non hanno capacità di intendere e volere, le municipalità, le università. Sono i rappresentanti legali che parlano per loro, come fanno d’abitudine per i cittadini che hanno problemi legali”.

Joseph J. Perkins, nel 1976, riprese le idee di Stone e del giudice Douglas, sostenendo che le loro riflessioni stavano influenzando positivamente le applicazioni pratiche delle norme del National Environmental Policy Act (NEPA) che erano state approvate nel gennaio del 1970. La direttiva data dal Congresso alle agenzie federali – di “fermarsi, guardare, ascoltare” – imponeva che prima di ogni decisione importante presa dalle agenzie federali sull’ambiente era necessario identificare le risorse che sarebbero state coinvolte, considerare varie alternative, e raccogliere le opinioni del pubblico.

Perkins sostenne che “non è ancora opinione diffusa e condivisa che dovremmo avvicinare le aree naturali con umiltà, dovremmo riconoscere che esse hanno un valore intrinseco – di per sé – e che quindi dovremmo dare alla natura il beneficio del dubbio. Ma questa prospettiva non viene più considerata assurda. Ed è merito di Cristopher Stone.”

Il tempo è maturo per i Nativi Americani?

Le riflessioni di Cristopher Stone furono riprese negli anni da numerosi studiosi, tra cui Vine Deloria Jr.— un autore Nativo Americano nato nel 1933 nella tribù Yankton Sioux del Sud Dakota – che fu teologo, storico, attivista e denunciò in molti suoi scritti gli abusi compiuti nel confronti delle popolazioni native americane.

Negli anni che seguirono alla pubblicazione del suo libro Custer Died for Your Sins: An Indian Manifesto (1969) furono approvate alcune leggi importanti che consentirono la restituzione di milioni di acri di terra alle comunità Native Americane, e diedero alle tribù un maggiore controllo sull’organizzazione e la gestione dei loro territori.

Vine Deloria Jr è stato citato da Steve Pavlik in un articolo del 20153, in cui l’Autore sostiene che l’idea di stabilire una relazione giuridicamente riconosciuta con il mondo naturale potrebbe essere da sviluppare da parte delle comunità Native Americane. L’Autore fa notare che molte tribù Native Americane hanno acquisito un certo potere decisionale sulle risorse naturali dei territori che abitano. Ma benché alcune tribù si siano molto impegnate per incorporare elementi della loro cultura originaria nei loro piani di gestione, la maggior parte delle norme fa riferimento a un modello occidentale, secondo il quale il mondo naturale è visto come un oggetto e le sue parti esistono solo come elementi di possibile proprietà e sfruttamento da parte dell’uomo. Steve Pavlik sostiene che è ormai tempo – per i moderni governi tribali – di riconoscere formalmente e costituzionalmente la personalità giuridica di tutti gli aspetti del mondo naturale.

fiume WhanganuiIl fiume Whanganui acquisisce personalità giuridica

Il 15 marzo 2017 il Parlamento neo-zelandese ha riconosciuto la personalità giuridica al fiume Whanganui, che scorre per 145 km dal centro dell’Isola Settentrionale fino al mare.

Il fiume è un corso d’acqua sacro, ed è venerato dalla comunità Maori Iwi, che d’ora in poi rappresenterà legalmente i suoi diritti, insieme a un rappresentante del governo.

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Il fiume Whanganui è sacro per la popolazione Maori della Nuova Zelanda (Wikimedia)

La legge che è stata approvata – Te Awa Tupua Bill – è l’esito di una battaglia che è iniziata nel 1870: si conclude così la più lunga controversia legale nella storia della Nuova Zelanda. I negoziati ufficiali sono iniziati nel 2009.

L’accordo ufficiale (Whanganui River Deed of Settlement) è stato firmato nel 2014, e le leggi applicative, che sono state introdotte nel 2016, riconoscono la profonda connessione spirituale tra la comunità Whanganui Iwi Te Awa Tupua e il fiume Whanganui, e pongono le basi per la sua futura salvaguardia.

Gerrard Albert, un portavoce della comunità Maori locale, afferma: “Siamo sempre stati convinti che il fiume Whanganui è una ‘totalità’ indivisibile e vivente — Te Awa Tupua — che include tutti i suoi elementi fisici e spirituali dalle montagne fino al mare”. E ancora: “E’ stata una lotta lunga e dura… mentre oggi chiudiamo questa prima parte della storia, domani incominciamo a scrivere un nuovo capitolo”.

Conquiste moderne, saperi antichi

La storia della progressiva acquisizione di diritti da parte di ‘soggetti’ prima non riconosciuti è una storia tipicamente occidentale. Con fatica (ma forse con qualche speranza) alcuni Paesi cominciano a legiferare a favore del riconoscimento giuridico dell’ambiente naturale – fiumi, coste, montagne… Chissà se tra qualche anno i giovani leggeranno con stupore che nel 2017 era possibile scavare miniere, costruire osservatori astronomici, innalzare dighe in luoghi sacri – sacri alle popolazioni locali e sacri perché fonti di vita per l’umanità?

Se potessimo raccontare la storia attingendo alle tradizioni e alle norme delle popolazioni indigene ci renderemmo conto che le nostre faticose e ancora insufficienti conquiste concettuali e giuridiche erano parte della coscienza collettiva – in tutto il mondo. In un libro pubblicato nel 2001 – Indigenous Traditions and Ecology4 – sono state raccolte le testimonianze di autori e autrici che illustrano la pluralità di sistemi culturali e la diversità di conoscenze ambientali tra ed entro le culture. Il principale tema ispiratore di questo volume è il riconoscimento della sovranità e dell’autorevolezza delle popolazioni indigene nella loro conoscenza dei luoghi di vita e dei modi (in continua evoluzione) di realizzarsi nei loro ambienti. Accostandoci con rispetto e ascoltando quanto ci raccontano, possiamo prendere coscienza che tra le popolazioni che hanno abitato, e che ancora popolano la terra, sono fiorite visioni e possibilità diverse di vivere, grazie al continuo intreccio tra l’immaginazione ecologica e i vincoli naturali.

Un aspetto che accomuna la maggior parte delle culture ha a che fare con la componente spirituale, con la creatività, con la responsabilità, e con la consapevolezza dell’”inter-essere” dell’umanità con la cosmologia e l’ecologia.

Le responsabilità, appunto…

Poco prima della pubblicazione di questo libro, nel 1999, erano stati assassinati tre attivisti ambientali in Colombia. L’autore dell’Introduzione, John Grim (appartenente a una comunità di Nativi Americani del Minnesota) ha voluto citare alcune parole di una delle persone uccise, Ingrid Washinawatok, che così spiegava in un convegno internazionale che cosa intendeva per ‘diritti indigeni’: “Fin dai tempi in cui gli esseri umani esprimevano i loro ringraziamenti al sole che sorgeva, la sovranità è stata parte integrante dell’esistenza quotidiana delle popolazioni indigene. Con le istruzioni originali ricevute dal Creatore, prendiamo coscienza delle nostre responsabilità, che stanno a fondamento della nostra società. Le responsabilità si manifestano attraverso le nostre cerimonie. La sovranità è quel filo sottile che tiene insieme i componenti di una società, si esprime lungo i fili verticali e protegge l’intero modello: è il tessuto della Società dei Nativi.”

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Berta Caceres, assassinata in casa sua il 2 marzo 2016

Il nome di Ingrid fa parte di una lunga lista di persone che sono state assassinate perché difendevano i diritti delle loro comunità. Un altro nome – cui è stata data rilevanza in tempi più recenti – è quello di Berta Isabel Cáceres Flores, un’ambientalista e attivista honduregna, leader del popolo indigeno Lenca e co-fondatrice del Consiglio delle organizzazioni popolari ed indigene dell’Honduras, assassinata nel 2016. Nel 2015 aveva ricevuto un prestigioso riconoscimento internazionale, il Goldman Environmental Award.

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Ingrid Washinawatok, nata nel 1957, appartenente alla Nazione dei Menominee, è stata assassinata nel 1999 dai ribelli delle FARC. Nella foto è con il suo bimbo Maehki a Ginevra.

Di Ingrid, di Berta e di centinaia di altre persone si trova notizia nel sito di Global Witness, una Associazione che dal 1993 è impegnata a indagare sugli abusi compiuti dal sistema politico ed economico dominante nello sfruttamento delle risorse naturali, a denunciare i responsabili e a promuovere campagne per il cambiamento e in difesa della giustizia. Da un Report pubblicato nel 2016 risulta che il 2015 è stato uno degli anni più tragici per i difensori ambientali, in cui si sono contati 185 assassinii in 16 Paesi: sono state uccise persone – uomini e donne – che erano impegnate a proteggere senza violenza le loro terre, foreste, fiumi. Nel solo Honduras più di 120 persone sono state uccise dal 2010, perché si opponevano alle Compagnie che rubano le loro terre e distruggono l’ambiente. Solo in rare occasioni gli esecutori materiali sono stati arrestati, ma i mandanti restano per lo più impuniti.

Oltre ad essere impegnati nello smascherare e denunciare gli abusi, i membri di Global Witness hanno l’obbiettivo di promuovere un cambiamento radicale, in grado di destituire i dittatori corrotti e i signori della guerra che vivono di soldi rubati; di fermare i brutali conflitti per il saccheggio delle risorse, di proteggere i beni naturali del pianeta a beneficio di tutti.

I membri di Global Witness scrivono: “ Per venti anni abbiamo promosso campagne per ottenere al totale trasparenza nei settori delle miniere, delle foreste, dei combustibili fossili (petrolio e gas), in modo che i cittadini che possiedono queste risorse possano trarne beneficio ora e in futuro. Siamo convinti che l’unico modo di proteggere i diritti dei popoli alla terra, alle risorse per la sussistenza e a una equa ripartizione della ricchezza nazionale sia quello di pretendere una totale trasparenza nel settore delle risorse, e di fermare il sistema finanziario internazionale che alimenta la corruzione”.

Ci sono iniziative che si possono prendere? Certamente si! Un uso consapevole e il più possibile limitato delle risorse, un sostegno alle Associazioni che sono impegnate per la difesa dei diritti dei popoli, e un contributo verso una nuova visione del mondo, che riconosca i diritti di tutti i soggetti – non solo umani – che abitano la Terra, e che li renda attuabili con nuove leggi. Il termine inglese per indicare il riconoscimento giuridico è “standing up”, cioè stare dritti in piedi… tutti allo stesso livello: guardarsi, riconoscersi, rispettarsi… apprezzarsi.

Ultime notizie

Discesa del GangePochi giorni dopo la decisione della Nuova Zelanda, a un altro “soggetto naturale” è stata riconosciuta personalità giuridica: si tratta del fiume Gange, da millenni venerato, anzi, venerata come la Dea Ganga dalla tradizione Hindu. L’Alta Corte dello Stato dell’Uttarakhand ne ha riconosciuto i diritti, e ha sollecitato il governo a prendere le misure necessarie per la tutela di questo grande fiume e per il ripristino delle sue condizioni, dopo i gravi inquinamenti, gli enormi sbarramenti e i prelievi di sabbia di cui è stato vittima.

La Discesa del Gange, un enorme bassorilievo all’aperto lungo la costa del Tamilnadu, nei pressi di Mahabalipuram, rappresenta la discesa della dea Ganga sulla terra, resa possibile dall’intervento di Shiva, che frappone la sua testa e i suoi capelli che la ordineranno in fiumi, tra l’immensa massa d’acqua e la terra stessa, impedendone la distruzione.


NOTE

1 Stone, Christopher D., Should trees have standing? Towards legal rights for natural objects. Southern California Law Review 45, p. 450-501, 1972. http://iseethics.files.wordpress.com/2013/02/stone-christopher-d-should-trees-have-standing.pdf

2 Stone, Christopher D., Should trees have standing? Law, morality, and the environment New York, N.Y. : Oxford University Press, 2010.

3 Steve Pavlik, Should Trees Have Legal Standing in Indian Country? Wicazo Sa Review Vol. 30, No. 1 (Spring 2015), pp. 7-28

4 Grim J.A. (a cura di), Indigenous traditions and ecology. The interbeing of cosmology and community. Harvard Univerity Press, 2001.

1 commento
  1. Cinzia
    Cinzia dice:

    Cara Elena, non ci siamo nemmeno messe d'accordo e negli stessi giorni tu scrivevi questo fondamentale articolo e io leggevo e recensivo il libro di Vandana Shiva, La Terra ha i suoi diritti (e forse anche La terra – con la minuscola – ha i suoi diritti). Grazie tante per quello che hai scritto, ci vorrrebbe un articolo così ogni settimana.
    Cinzia

    Rispondi

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