Standing Rock: dalla grande Riserva Sioux le “prime Nazioni” propongono nuove (o antiche?) relazioni con la Terra

Elena Camino

Negli Stati Uniti, nel Nord e Sud Dakota, c’è movimento, da qualche mese. I membri di numerose delle ‘Prime Nazioni’ del Nord America hanno organizzato delle manifestazioni di protesta contro la posa delle grandi tubazioni che dovrebbero portare il petrolio estratto dalle sabbie bituminose del Canada verso sud, ai consumatori USA e fino ai due oceani, l’ Atlantico e Pacifico, per essere esportato in tutto il mondo.

Alle prime manifestazioni di protesta si è associato un numero crescente di gruppi e associazioni i quali, oltre a testimoniare con la propria presenza l’opposizione a questo progetto, hanno attivato numerosi canali istituzionali – da un lato con denunce, dall’altro con trattati – adottando nella loro lotta una varietà di strategie nonviolente.

In queste pagine vi presento una sintesi di alcune delle più recenti iniziative in corso. Particolarmente siginificativa è l’ultima notizia della lista – diversa dalle altre perché si tratta di una lettera pubblicata su una importante rivista scientifica, Science – e testimonia una chiara presa di posizione di alcune studiose, esperte nel campo dell’ecologia e dell’evoluzione.

Le ‘Prime Nazioni’ del Nord America firmano un trattato di alleanza contro le sabbie bituminose

22 settembre 2016 Elizabeth McSheffrey in News, Energy

Il 22 settembre, accompagnati dall’intenso rullo dei tamburi, i rappresentanti di più di 50 ‘Prime Nazioni’ hanno firmato nella città di Vancouver, in Canada, il Trattato di alleanza contro le sabbie bituminose. Questa collaborazione si propone di bloccare tutti i progetti di costruzione degli oleodotti il cui passaggio è previsto nelle terre di queste popolazioni: la Trans Canada’s Energy East pipeline, la Trans Mountain expansion, la Line 3 pipeline, e il Northern Gateway.

I popoli indigeni – ha affermato uno dei Capi Indiani firmatari – non sopporteranno più che vengano realizzati sui loro territori dei progetti pericolosi per le popolazioni e per il clima. Forti del nostro diritto all’auto-determinazione, abbiamo deciso tutti insieme di assumerci le nostre responsabilità nei confronti della terra, delle acque, delle persone.

Questo Trattato impegna i firmatari a darsi reciproco sostegno nella lotta contro l’espansione delle estrazioni petrolifere, e a lavorare insieme per orientare la società verso stili di vita più sostenibili.

Alleandosi con altre Nazioni Indigene nel Nord degli Stati Uniti e nel Canada, i firmatari intendono anche vegliare affinché progetti dannosi non vengano realizzati usando vie alternative a quelle progettate.

I Capi Indiani affermano di voler operare insieme al governo per sviluppare un’economia sostenibile, che non emargini le comunità indigene e che assicuri un futuro migliore a tutti.

I popoli delle Prime Nazioni, gli ambientalisti e altri gruppi coinvolti nella controversia sostengono che l’estrazione del petrolio e il suo trasporto con oleodotti, camion cisterne e treni aumentano i rischi di sversamenti catastrofici, che minacciano gli ecosistemi terresti e marini; inoltre impediscono di raggiungere i traguardi stabiliti dai trattati sul clima. Le compagnie petrolifere, dal canto loro, sostengono che questi progetti possono rivitalizzare l’economia canadese stagnante, vendendo petrolio ai mercati internazionali. Sostengono inoltre che i loro rapporti con le popolazioni locali continuano amichevolmente – come prima.

imageIl significato dei carri armati che si dirigono verso Standing Rock

5 ottobre 2016, Jenni Monet, YES! Magazine

L’opposizione all’oleodotto Dakota Access si è trasformato in un movimento indigeno globale.

Membri di comunità tribali di tutto il mondo si sono associati alla Tribù dei Sioux riunita a Standing Rock.

Gli ultimi ad arrivare sono stati alcuni rappresentanti dei Sami dalla Norvegia. Questa campagna di resistenza – secondo molti commentatori – esprime parte di una crisi globale più grande, una risposta alle minacce che da sempre le grandi imprese e i governi hanno esercitato nei confronti delle terre, delle risorse e delle popolazioni indigene, spesso usando la forza militare. Queste minacce sono sempre state accompagnate dal mancato rispetto per i trattati e gli accordi presi.

Nella protesta che stanno portando avanti, i Lakota Sioux chiedono ai governi di riconoscere i diritti specifici delle “Prime Nazioni”. Ad eccezione di Bolivia e Guatemala, le popolazioni indigene sono diventate minoranze nei loro paesi. Ma possiedono la terra. I loro territori ospitano i più ricchi ecosistemi del mondo, e sono sotto costante minaccia a causa delle attività di scavo delle miniere, della deforestazione, della costruzione di dighe e degli impianti di produzione e trasporto dei combustibili fossili

Elsa Stamatopoulou, direttrice del Programma sui Diritti dei Popoli Indigeni alla Columbia University, ricorda che il movimento globale di oggi è nato in realtà nel 1973, con l’occupazione di Wounded Knee, nel Sud Dakota, nella riserva indiana di Pine Ridge, a circa 330 miglia a sud di Standing Rock. Si trattò di una protesta durata 71 giorni, organizzata dal Movimento Indiano Americano (American Indian Movement – AIM) che chiedeva il rispetto dei trattati. Allora portarono il caso alle Nazioni Unite, ma non furono ascoltati.

Le scene attuali che si vedono a Standing Rock non sono dissimili da quelle che animarono la zona intorno a Wounded Knee più di 40 anni fa.

La tensione sta crescendo, con accuse reciproche di aver commesso atti di violenza. I poliziotti sono armati, molti attivisti sono stati arrestati. Le informazioni sui rischi che corrono i difensori delle terre e delle risorse naturali filtrano poco – e a fatica arrivano a far notizia. Secondo uno studio recente dell’Associazione Global Witness, quasi due terzi degli attivisti uccisi lo scorso anno (al ritmo di quasi 3 morti alla settimana) erano indigeni. I paesi più pericolosi sono le Filippine, la Colombia e il Brasile.

In Honduras, una nota ambientalista, Berta Cáceres, è stata assassinata lo scorso marzo. All’inizio di settembre, alcune fotografie di Berta sono state esposte nell’area sacra centrale in cui si trovano i manifestanti contro l’oleodotto Dakota Access.

Visite e messaggi di sostegno sono arrivati dall’Ecuador, dalla Malesia, dal Laos, dalle Filippine, dall’Ucraina, dal Sudan.…

Il 20 settembre Dave Archambault II, in rappresentanza della Tribù dei Sioux di Standing Rock, si è presentato davanti ai 49 membri del Consiglio delle Nazioni Unite sui Diritti Umani, a Ginevra, e ha chiesto ai presenti di unirsi ai manifestanti a Standing Rock per fermare la costruzione dell’oleodotto.

Il Consiglio ONU sui Diritti Umani non ha valore decisionale, ma solo consultivo. Quindi non ha potuto modificare la situazione. Tuttavia è sempre più evidente che è importante usare diversi approcci, e lavorare per aumentare la consapevolezza della gente, per poter raggiungere lo scopo e veder affermati e rispettati i diritti delle popolazioni indigene.

Traveling Through The German Countryside By TrainPerché ho lasciato tutto per andare a Standing Rock

6 ottobre 2016 Paula Schmidt

Dopo che hanno distrutto la mia vita – nella zona di Marcellus, in Pennsylvania, dove estraggono il petrolio con la tecnica della fratturazione idraulica – sapevo di aver bisogno di schierarmi con i protettori delle acque.

Abbiamo lasciato Seattle in treno: nessuno di noi sapeva che cosa sarebbe successo, volevamo solo far parte di questo grande movimento di protesta. Era fine settembre: da quanto mi ero trasferita a nord non raccoglievo più pomodori a questa stagione, come facevo prima, il clima era troppo freddo. Ma una mia amica che era restata ad abitare giù mi raccontò che anche lei non aveva raccolto pomodori, quest’anno: la Compagnia aveva utilizzato l’acqua salata di scarico dei processi di fratturazione idraulica per spruzzare le strade: un sistema comodo per risparmiare i costi dello smaltimento di rifiuti pericolosi.

Erano arrivati circa 12 anni fa, un gruppo di rappresentanti delle Compagnie del gas, erano andati in giro nelle chiese e nei negozi, dagli agricoltori in crisi e dai proprietari di casa indebitati, per offrire alla gente un affare: “dateci i vostri diritti sul sottosuolo, e vi renderemo ricchi”. Si trattava di una cosa semplice: avrebbero fatto uscire il gas intrappolato nel sottosuolo inserendo delicatamente alcuni tubi. Nessun danno, nessun pericolo, nessun problema. La gente si affrettò a firmare, in cambio di promesse di lavoro e di denaro.

Le conseguenze distruttive dell’intervento della Compagnia Cabot Oil & Gas sarebbero forse rimaste nascoste ancora a lungo, se non fosse intervenuto un ex sindaco del Texas che aveva voluto andare a fondo su questa attività. Acqua inquinata, aria contaminata. Aumento dei casi di cancro. Il bestiame morto. Persino scosse sismiche. Si mise a viaggiare al seguito dei venditori, per allertare la gente. Noi fummo costretti ad andarcene, perché i nostri vicini avevano venduto per quattro soldi i loro diritti. Chiusero gli occhi di fronte alle fattorie distrutte e all’acqua contaminata. Al futuro nessuno pensò. Chesapeake Energy, Carrizo Oil & Gas, WPX Energy, e Cabot Oil & Gas stanno tutti operando là, adesso.

Il giorno in cui sono partita, con altri, per Standing Rock, nessuno di noi sapeva che cosa ci aspettava. Ma sapevamo di aver bisogno di far far parte della grande protesta ambientale avviata da migliaia di Nativi Americani protettori delle acque, che sapevano fin troppo bene quali danni poteva causare una invasione di cowboys.

Siamo riusciti ad arrivare a Standing Rock nonostante il blocco stradale sull’autostrada che porta alla Riserva. Truppe della Guardia Nazionale piantonavano le strade, e il governatore aveva dichiarato lo stato di emergenza, cercando di far apparire l’occupazione disordinata e violenta. Arrivati al Campo Aceti Sakowin siamo stati accolti da un enorme cartello scritto su una collina “siamo pacifici”. Ed è proprio ciò che abbiamo vissuto stando là: un pacifico incontro di migliaia di persone, un fiume di persone venute a proteggere la vita del fiume e quella di tutti noi.

image03Perché Standing Rock è un test per Obama—e per tutte le scelte climatiche future

6 ottobre 2016, Mark Trahant

Dieci mesi fa gli Stati Uniti dissero al mondo che era ora di far qualcosa sul cambiamento climatico. Basta chiacchiere, era ora di agire. Data la natura della crisi, i governi del mondo si stanno muovendo in fretta. Pochiu giorni fa il Presidente Obama ha annunciato che gli accordi di Parigi saranno messi in pratica a partire del 4 novembre, dopo essere stati ratificati dalle Nazioni Europee. Questa data cade 4 giorni prima delle elezioni presidenziali in USA, con Trump contrario sia all’accordo, sia ai dati scientifici forniti sull’argomento, mentre Hillary Clinton lo sostiene energicamente. E Obama ha detto: “Gli accordi di Parigi da soli non risolveranno la crisi climatica. Anche se riusciremo a raggiungere tutti gli obiettivi indicati, saremo al punto di partenza rispetto al traguardo che vogliamo raggiungere. Ma senza dubbio il rispetto degli accordi ci permetterà di ritardare o di evitare alcune delle peggiori conseguenze del cambiamento climamtico. […] Mandando un segnale positivo rispetto al futuro che vogliamo, un futuro con energia pulita, apriremo la strada a imprenditori, scienziati e ingegneri desiderosi di sviluppare innovazioni ad alta tecnologia e basso carbonio.”

Il testo con queste parole è esposto a Standing Rock.Se il presidente, il governo, il mondo sono fiduciosi del fatto che l’accordo di Parigi è solo una parte di un insieme più ampio di iniziative, allora fermare l’oleodotto Dakota Access è essenziale.

Una recente relazione dell’Associazione Oil Change International e di un conrsorzio di organizzazioni ambientaliste chiede una riduzione attentamente gestita della produzione di combustibili fossili.

Questa relazione presenta i dati relativi alle emissioni di carbonio che potenzialmente verrebbero rilasciate in atmosfera dai pozzi già trivellati, dagli oleodotti, dagli impianti di trasformazione, dalle ferrovie e dai terminali per l’esportazione già costruiti. La quantità di CO2 emessa provocherebbe un riscaldamento superiore ai 2 °C. In altre parole, “tenetelo sottoterra” non è solo uno slogan, ma una parte della risposta: se per stare al di sotto del limite di 2°C di riscaldamento possiamo rilasciare 800 gigatonnellate di CO2, e già così – con gli impianti esistenti – ne rilasciamo 942, il conto è presto fatto.

Dunque il Progetto dell’oleodotto Dakota Access rappresenta il nostro passato, e attualmente è uno sbaglio. Questo non significa che si possa interrompere di colpo il sistema: ma governi e Compagnie devono progettare una riduzione graduale della produzione e dell’uso dei combustibili fossili, avviando in parallelo conversioni industriali che assicurino posti di lavoro al personale e alle comunità.

Alcuni ricercatori dell’Università di Stanford hanno messo in luce che la transizione all’energia pulita potrebbe avvenire più rapidamente del previsto, e la trasformazione potrebbe dare benefici già in due anni.

Standing Rock è dunque un banco di prova: gli Stati Uniti non possono mantenere gli impegni se le cose continuano come prima. La gente accampata a Standing Rock sta offrendo al Presidente Obama l’opportunità di far vedere che è possibile un declino ben gestito del sistema energetico basato sui combustibili fossili.

2016_1007nodaplPerché stiamo cantando per l’acqua a Standing Rock, di fronte a uomini armati di fucili e a elicotteri di sorveglianza

7 ottobre 2016, Linda Hogan.

Cantiamo per l’acqua e per i protettori delle acque della Terra. Uccelli dalle lunghe zampe stanno immobili lungo i laghi e i fiumi, aspettando i pesci: i loro nidi sono nascosti nei canneti. Una cerbiatta si avvicina e guarda il suo cucciolo che si disseta al fiume. Tutti i nostri fratelli e sorelle animali si spostano verso le fonti d’acqua. Alberi e arbusti vivono grazie alla pioggia, alla neve e alle falde sotterranee, in un luogo della Terra che per migliaia di anni ha ospitato grandi mandrie di bisonti. Quanto a noi, siamo essere acquatici fin dall’inizio. Siamo usciti fuori dalle acque materne per venire alla luce. Abbiamo bevuto il latte per vivere. L’acqua è la nostra vita…. Per questo cantiamo per coloro che sono impegnati a proteggere l’ampio e lungo fiume Missouri.

dakotaDutchland to Dakota- Un concerto per raccogliere fondi a favore di Standing Rock!

9 ottobre 2016, Lancaster

Membri della comunità di Lancaster, per piacere venite a sostenere il più grande raduno del secolo dei Nativi Americani, a Standing Rock, contro un nuovo progetto di oleodotto. Poiché il 10 ottobre è il Columbus Day, ci sembra che questa sia una data adatta per opporci all’oppressione – che dura ormai da tanto tempo – dei popoli nativi americani e delle loro terre. Vi suggeriamo di fare un’offerta tra 10 e 100 $! I fondi raccolti andranno direttamente ai protettori di Standing Rock. Il luogo di ritrovo accoglie attualmente i rappresentanti di più di 120 tribù.
Questa situazione dovrebbe starvi a cuore: come abitanti della Pennsylvania i dollari delle vostre tasse stanno aiutando a finanziare il progetto dell’oleodotto. Uno dei maggiori investitori gestisce i vostri fondi-pensione.
Dovrebbe importarvi anche il fatto che i trattati stipulati dal governo degli Stati Uniti con le popolazioni native americane non sono tuttora rispettate. E dovreste tener presente che tutti gli oleodotti hanno delle perdite dalle tubazioni, e talvolta esplodono. E che il tracciato dell’oleodotto Atlantic Sunrise prevede il passaggio per la Contea di Lancaster. Come protettori della nostra valle, non siamo dunque soli in questo conflitto.

scinetis-standing-rockScienziati/e appoggiano Standing Rock

Sul n.ro del 30 settembre 2016 di Science, prestigiosa rivista scientifica internazionale1, alcune scienziate2 si esprimono a favore del blocco dei lavori del nuovo oleodotto in costruzione nel nord degli Stati Uniti.

Il progetto di costruzione dell’oleodotto DAPL (“DAKOTA ACCESS Pipeline”) prevede la posa di una tubazione del diametro di 0,76 metri per una lunghezza di 1850 km per il trasporto di petrolio greggio (1). La tribù Sioux di Standing Rock, Fort Yates, nel Nord Dakota, ha di recente intentato causa contro il Corpo degli Ingegneri dell’Esercito degli Stati Uniti (2) che ha approvato la costruzione di parti dell’oleodotto nel Nord Dakota. La tribù sostiene che la valutazione di impatto ambientale eseguita per il DAPL non tiene conto di importanti impatti negativi ecologici, culturali, socio-economici e sanitari sulla Tribù e sulla regione. Questo Progetto è solo uno dei numerosi approcci irrazionali e non pianificati per l’estrazione di risorse naturali, che trascurano le conseguenze di più ampia portata (3) di questa modalità di estrazione e uso del petrolio. Si tratta di iniziative che non rispettano gli impegni assunti di recente a Parigi, che prevedono una riduzione delle emissioni di combustibili fossili entro il 2030 (4).

Fino ad ora sono più di 90 gli scienziati che hanno firmato una risoluzione (5) a sostegno dell’interruzione della costruzione del DAPL fino a che non siano eseguite le valutazioni ambientali e culturali richieste dalla Tribù Sioux di Standing Rock.

Proprio alla luce dei recenti accordi di Parigi, questa risoluzione chiede al Governo Federale degli Stati Uniti di prendere esplicitamente in considerazione le implicazioni di questa e altre strategie nazionali attualmente proposte sulla salute pubblica, sulla giustizia ambientale, sulla conservazione della biodiversità.


Riferimenti bibliografici associati alla lettera

1. Dakota Access Pipeline Project, United States Fish and Wildlife Service Environmental Assessment, Grassland and Wetland Easement Crossings (www.fws.gov/uploadedFiles/DAPL%20EA.pdf).

2. Standing Rock Sioux Tribe v. U.S. Army Corps of Engineers, Case 1:16-cv-01534 (http://earthjustice.org/sites/default/f les/f les/3154%201%20Complaint.pdf).

3. W. J. Palen et al., Nature 510, 465 (2014).

4. UNFCC, “Synthesis report on the aggregate effect of the intended nationally determined contributions” (United Nations Framework Convention on Climate Change, Paris,

2015); http://unfccc.int/resource/docs/2015/cop21/eng/l09r01.pdf.

5. S. Januchowski-Hartley et al., “Dakota Access Pipeline Statement” (2016); http://srjanuchowski-hartley.com/dakota-access-pipeline-sign-on-letter.

1 VOL 353 ISSUE 6307, pag 1506, 30 SEPTEMBER 2016.

2 Stephanie R. Januchowski-Hartley, Laboratoire Evolution et Diversité Biologique Université di Toulouse, France; Anne Hilborn, Department of Fish and Wildlife Conservation, USA; Katherine C. Crocker, Department of Ecology and Evolutionary Biology, USA. Asia Murphy, Pennsylvania State University, USA.

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