Stati di agitazione all’Università. Un’occasione per riflettere?

Elena Camino

Per anni l’interazione tra scienza e politica è stata rappresentata come una relazione di tipo unidirezionale, nella quale gli scienziati fornirebbero ai politici una conoscenza neutrale, obiettiva e affidabile a supporto del processo decisionale. La complessità delle sfide attuali in cui “i fatti sono incerti, i valori in discussione, gli interessi elevati e le decisioni urgenti”, ha reso questa narrazione inadeguata sul piano della conoscenza e della sua condivisione pubblica.  (Alice Benessia, L’abilità di rispondere. Traiettorie e significati della RRI. )

La spinta verso l’ innovazione

Dal 3 al 10 aprile, stati di agitazione all’Università. Da Torino a Bari, passando per Roma, Genova, Firenze, Bologna, Napoli e Reggio Calabria, ci sarà una settimana di mobilitazione: studenti, docenti, personale tecnico e amministrativo di molte Università italiane parteciperanno a manifestazioni, convegni, incontri, dibattiti… L’occasione è nata da una lettera che oltre 1700 tra docenti, studiosi e ricercatori appartenenti al mondo universitario e della ricerca hanno inviato al Ministro per gli Affari Esteri in data 29 febbraio 2024, per chiedere la sospensione di un bando per la cooperazione tra istituzioni italiane e israeliane in materia di ricerca scientifica.

Ma facciamo un passo indietro, per capire in che contesto si colloca la questione. L’inizio del nuovo millennio è stato caratterizzato dalla crescente consapevolezza di una crisi sistemica globale, di natura economica, sociale, politica e ambientale. Il cambiamento climatico, la perdita della biodiversità e dei posti di lavoro, la scarsità delle risorse e il degrado ambientale, il moltiplicarsi di instabilità politiche emergono sulla scena pubblica come questioni urgenti, da affrontare su scala transnazionale.

Con l’obiettivo di superare questa crisi la Commissione Europea – con un documento ufficiale pubblicato il 6/10/2010 – comunicò i nuovi orientamenti che avrebbero caratterizzato la ricerca, l’economia e l’educazione nel decennio successivo (Europe 2020 Flagship Initiative Innovation Union SEC (2010) 1161),. Uno degli aspetti che il documento sottolineò con maggiore forza fu la necessità di creare sinergie tra il mondo della ricerca e il mondo produttivo, attraverso l’innovazione:

Le attività europee di ricerca devono produrre più innovazione. Occorre rafforzare la cooperazione tra il mondo della scienza e quello delle imprese, eliminando gli ostacoli e stabilendo incentivi.

Dovrebbero essere avviati partenariati europei per l’innovazione per accelerare la ricerca, lo sviluppo e la diffusione sul mercato delle innovazioni per affrontare le principali sfide sociali, mettere in comune competenze e risorse e stimolare la competitività dell’industria dell’UE.

Dalla descrizione del vero alla subalternità

Come sottolinea Alice Benessia nel testo citato all’inizio, in un percorso che ha origine nella Rivoluzione Scientifica e nell’istituzione dello Stato Moderno il significato e il ruolo delle parole scienza, tecnologia e democrazia, nonché la relazione tra loro, sono profondamente cambiati. In questo nuovo scenario il termine innovazione incorpora e sostituisce quello di sviluppo scientifico e tecnologico, proponendosi come motore della crescita economica e del benessere sociale. La concezione ideale della scienza passa dal ruolo di protagonista, nella prima metà del novecento, come modello di ricerca del vero al servizio del bene, a un ruolo subalterno, relegato a produrre le conoscenze di base, i ‘mattoni’ utili con i quali erigere l’edificio della tecnologia al servizio della crescita economica e della sicurezza.

Nell’ultimo quarto del XX secolo, con lo sviluppo di grandi e costosissime imprese tecno-scientifiche, spesso plurinazionali, la scienza si è trasformata in tecno-scienza, pilotata e finanziata dai grandi interessi del complesso militare-industriale. L’accesso ai finanziamenti è subordinato all’accettazione di questa impostazione, che abbandona l’idea della scienza come ricerca del vero, per abbracciare una visione del mondo neoliberista, competitiva, e basata sulla ricerca dell’utile e sull’assunzione della possibilità di un accesso senza limiti delle risorse materiali e viventi del pianeta.

Finanziamenti controversi, prospettive divergenti

In questo contesto si inserisce il dibattito emerso di recente a proposito di un caso specifico, al quale accennavo all’inizio. Nell’ambito delle attività previste dall’Accordo di Cooperazione Industriale, Scientifica e Tecnologica tra Italia e Israele, il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI), per la Parte italiana, e il Ministero dell’Innovazione, Scienza e Tecnologia (MOST) per la parte israeliana, hanno pubblicato un bando per la raccolta di progetti congiunti di ricerca per l’anno 2024. Tali progetti, con un finanziamento previsto di  1.000.000 EURO per un periodo di 3 anni, devono ricadere nelle seguenti aree di ricerca[1]:

  1. Tecnologie per suoli sani (ovvero nuovi fertilizzanti, impianti del suolo, microbioma del suolo, ecc.).
  2. Tecnologie idriche, tra cui: trattamento dell’acqua potabile, trattamento delle acque industriali e fognarie e desalinizzazione dell’acqua.
  3. Ottica di precisione, elettronica e tecnologie quantistiche, per applicazioni di frontiera, come i rilevatori di onde gravitazionali di prossima generazione.

In Italia, il contributo finanziario del MAECI coprirà fino al 50% dei costi ammissibili sostenuti dall’istituzione italiana richiedente. In Israele, MOST coprirà il 100% dei costi di progetto.

Una grave emergenza umanitaria

Come già accennato, una lettera aperta è stata inviata al MAECI, il ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, da oltre 1700 tra docenti, studiosi e ricercatori appartenenti al mondo universitario e della ricerca, per chiedere la sospensione di quel bando. Difficile, in base ai titoli dei progetti, capire in che cosa consisteranno le ricerche indicate dal bando. Il motivo della richiesta riguarda principalmente il fatto che il partner previsto dal bando è lo Stato di Israele, impegnato da mesi in un sanguinoso conflitto in Palestina, che ha provocato un drammatico numero di morti, di feriti, di distruzione, ponendo anche le premesse di una grave carestia.

Nella lettera infatti è scritto:

Chiediamo che la cooperazione industriale, scientifica e tecnologica tra le università e i centri di ricerca italiani e israeliani venga sospesa, con lo scopo di esercitare pressione sullo stato di Israele affinché si impegni al rispetto del diritto internazionale tutto, come è giustamente richiesto a tutti gli stati del mondo”.

L’idea di scienza e il ‘dual use’

Tra quanti – studenti e ricercatori –  stanno esprimendo il loro dissenso alla partecipazione al bando, molti sottolineano anche il rischio che queste ricerche siano ‘dual-use’, cioè che i risultati possano essere utilizzati a scopi militari. L’idea che le ricerche scientifiche possano essere indirizzate a un uso pacifico oppure bellico è stata affrontata molte volte nei passati decenni, a partire dagli studi per l’utilizzo dell’energia nucleare. Secondo alcuni l’utilizzo dell’atomo ‘per la pace’ dipendeva da processi completamente separati (o separabili) da quelli che portavano alla costruzione di armi atomiche; secondo altri invece la filiera dell’energia nucleare doveva essere totalmente bandita, per i rischi di utilizzo bellico che implicava.

E’ ben nota la posizione di Primo Levi a proposito di questo problema.

«Mi piacerebbe (e non mi pare impossibile né assurdo) che in tutte le facoltà scientifiche si insistesse a oltranza su un punto: ciò che farai quando eserciterai la professione può essere utile per il genere umano, o neutro, o nocivo. Non innamorarti di problemi sospetti. Nei limiti che ti saranno concessi, cerca di conoscere il fine a cui il tuo lavoro è diretto. Lo sappiamo, il mondo non è fatto solo di bianco e di nero e la tua decisione può essere probabilistica e difficile: ma accetterai di studiare un nuovo medicamento, rifiuterai di formulare un gas nervino.

Che tu sia o non sia un credente, che tu sia o no un “patriota”, se ti è concessa una scelta non lasciarti sedurre dall’interesse materiale e intellettuale, ma scegli entro il campo che può rendere meno doloroso e meno pericoloso l’itinerario dei tuoi compagni e dei tuoi posteri.  Non nasconderti dietro l’ipocrisia della scienza neutrale: sei abbastanza dotto da saper valutare se dall’uovo che stai covando sguscerà una colomba o un cobra o una chimera o magari nulla.» (Primo LEVI, Covare il cobra, 11 settembre 1986, in Opere II, Einaudi, Torino 1997).

Ma con il passare degli anni l’idea di una possibile distinzione a priori tra ricerche volte al ‘bene’ e quelle con applicazioni nocive sta diventando sempre meno praticabile. Forse, per riuscire a prevedere l’esito di una ricerca, per   indagare se le ricadute dei risultati scientifici possono essere utilizzate per scopi civili o bellici, occorre spostare a monte la riflessione, e mettere in discussione il contesto socio-culturale in cui l’università si colloca, e le scelte politiche che ne assicurano l’esistenza e il funzionamento.

Libertà di ricerca?

Il dibattito sull’opportunità o meno – da parte delle università italiane – di partecipare a bandi di ricerca tecno-scientifica in collaborazione con le università israeliane si è ben presto esteso: da un lato sono emerse riflessioni sull’importanza/possibilità di assicurare libertà di ricerca al mondo accademico, dall’altro ci si interroga sul ruolo che gli studiosi potrebbero/dovrebbero assumere nell’accogliere e/o orientare le scelte economiche e politiche del paese.

A proposito della libertà di ricerca, da sempre difesa come elemento irrinunciabile dal mondo accademico, numerose sono state le reazioni contrarie alle scelte del Senato Accademico di Torino, il primo a deliberare. In una intervista andata in onda il 25 marzo nel programma Radiotre scienza (I numeri della pace), il Prof. Tonelli, Fisico all’Università di Pisa, si è espresso con particolare asprezza:

Le idee folli si diffondono più facilmente delle idee che richiedono razionalità e consapevolezza. La cosa che mi disturba e che mi fa male è che questo avviene nell’università, cioè nei posti in cui ci dovrebbe essere capacità e spirito critico… la ricerca scientifica deve essere tenuta al riparo dai conflitti politici e militari. E’ un bene prezioso per tutta l’umanità.  […] Occorre tenere la ricerca scientifica, come l’arte, come la musica, come il balletto, diciamo le attività umane per eccellenza, separate, salvaguardate dai conflitti umani…

Di tutt’altro tenore il commento di Andrea Bellelli, Professore di Biochimica all’ Università di Roma La Sapienza:

Molti tra noi accademici avevano già richiesto il blocco delle collaborazioni con istituzioni di ricerca israeliane, ma l’azione del MAECI compie un passo ulteriore in una direzione che noi riteniamo sbagliata e inaccettabile, perché non esclude neppure la possibile collaborazione su ricerche “dual use”, che potrebbero avere ricadute di interesse militare.

La Scuola Normale Superiore di Pisa, che dopo l’Università di Torino ha deciso di sospendere l’adesione al bando MAECI, ha chiesto «di assicurare alla comunità scientifica che tutti i bandi e i progetti da essi promossi per favorire la cooperazione industriale, scientifica e tecnologica con altri stati rispettino rigorosamente i principi costituzionali, con particolare riferimento all’art.11».  Ricordiamolo:

L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.

La scienza come l’arte?

Nanni Salio, che fu  per molti anni presidente del CSSR, nella sua puntuale analisi critica sulla natura e sulle implicazioni della scienza, scriveva già nel 2001: Non tanto della libertà della scienza abbiamo bisogno, quanto di libertà degli scienziati dai condizionamenti del complesso militare-industriale-scientifico che consenta loro, insieme agli altri attori sociali, di individuare le priorità della ricerca scientifica di cui l’umanità ha effettivamente bisogno e sulle quali concentrare le risorse intellettuali ed economiche.

Alessandra Algostino, docente di Diritto costituzionale presso l’Università di Torino, che è tra i firmatari della lettera per la sospensione del Bando MAECI, sottolinea l’importanza di concretizzare l’articolo 33 della Costituzione laddove sancisce che «l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento»; affermazione che a sua volta si connette alla promozione di una cultura, aperta e plurale, coerente con una democrazia fondata sul pieno sviluppo di ciascuna persona e sulla sua partecipazione effettiva (Volere la Luna 25/03/24).

Ma davvero la ricerca scientifica si può paragonare all’arte, alla musica, al balletto?  La scelta compiuta dal 2010 in poi dall’Unione Europea a favore dell’innovazione ha orientato i finanziamenti – soprattutto nell’ambito scientifico – dalla ricerca di base a quella applicata. Con il vincolo – come prima sottolineato – che le attività europee di ricerca devono produrre più innovazione. Occorre rafforzare la cooperazione tra il mondo della scienza e quello delle imprese, eliminando gli ostacoli e stabilendo incentivi.

Questa decisione ha causato una progressiva perdita di autonomia dei ricercatori che, sottofinanziati dalla ricerca pubblica sono costretti a rivolgersi a enti privati per ottenere il necessario sostegno economico. Ma a orientare le ricerche sono sempre più le imprese multinazionali e i gruppi militar-industriali, detentori del potere economico e finanziario: questa situazione costituisce un limite crescente alla libertà di indagine.

In questa situazione riemerge il problema del ‘dual-use’, e diventa davvero difficile distinguere tra ricerche orientate al progresso civile e quelle con applicazioni militari e belliche: i committenti esercitano un peso inevitabile nel porre le domande di ricerca e nell’utilizzare i risultati. Lo esprime efficacemente Michele Lancione,  professore di geografia politico-economica presso il Politecnico di Torino, che da anni richiama l’attenzione dei colleghi e del pubblico sul problema del ‘dual-use’: come sono state generate le tecnologie all’interno dell’Eurofighter [aereo militare da caccia] e chi è responsabile per cosa, nella sua costruzione, quando le reti culturali, sociali ed economiche tra ricerca e “difesa” sono avviluppate in uno spirito e in un interesse comune, e sono quindi funzionali le une alle altre – in una parola, reciprocamente militarizzate?

Una nuova idea di scienza

Con la trasformazione della ricerca scientifica da impresa libera e creativa, che cerca – pur con tutti i limiti – di descrivere/interpretare transitoriamente la realtà, a una efficiente ‘macchina’ che estrae, sfrutta e utilizza la natura a vantaggio di specifici e privilegiati interessi umani, l’idea di scienza ha subito un cambiamento profondo. Questo cambiamento è accompagnato da un crescendo di domande, che provengono da altri ambiti del sapere: la storia, la filosofia, l’etica, e in particolare le scienze della natura, stanno elaborando nuovi modi di interagire con un mondo che si credeva separato dall’umanità, e che invece mostra con essa sempre più evidenti e inestricabili interconnessioni e interdipendenze.

L’emergere dello sguardo femminile e la trasformazione del nostro sguardo sulla natura, da oggetto di studio a soggetto in dialogo, stanno facilitando l’emergere di nuove domande di ricerca, libere dai condizionamenti non solo del complesso militare-industriale-scientifico, ma da una visione del mondo – da secoli ‘oggettivante’ – che si è rivelata nel tempo sempre più violenta e oppressiva. Un filone periferico e poco conosciuto della ricerca scientifica, la scienza ‘post-normale’– si ibrida sempre più con una ricerca di senso per l’umanità, ultima arrivata in un mondo vivente in continua, turbinosa e creativa evoluzione, a noi in larga misura misterioso.

Forse esistono più modi di ‘fare’ ricerca scientifica? Quali strade si potrebbero intraprendere con queste nuove modalità di ricerca? Chi può assumersi il carico di incoraggiare e finanziare queste indagini, volte a comprendere noi stessi ‘dentro’ più che a dominare e manipolare il mondo ‘fuori’?   Chissà che da questa settimana di incontri, dibattiti, manifestazioni, non emerga anche l’interesse a riflettere insieme – docenti e studenti – su queste domande?

Nota

[1] 1. Technologies for healthy soils (i.e. – novel fertilizers, soil implants, soil microbiome etc.). 2. Water technologies, including: drinking water treatment, industrial and sewage water treatment and water desalination. 3. Precision optics, electronics and quantum technologies, for frontier applications, such as next generation gravitational wave detectors.


 

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