Il genocidio di Israele a Gaza

Mattatoio Gaza 29.02.2024

Miki Lanza

Oltre 100 uccisi e 700 feriti nel campo di sterminio di Gaza-sud, in una fila di disperati in attesa (quanto spesso frustrata) di rimandare la morte per sfinimento (fame, sete, freddo, ferite, malanni antichi e nuovi): fila composta ma intollerabilmente vicina a corazzati IDF e dunque minacciosa! Altra mossa spudorata dei terroristi di stato israeliani nel dispiegarsi sapiente e rigoroso della Soluzione Finale sion-nazista, di fronte a un Occidente in coma pre-elettorale para/pre-bellico.

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Con popoli storditi da conquiste sempre più evanescenti, consumi sempre più insufficienti e problemi insospettati o antichi sempre più assillanti, distratti comunque sulla questione mediorientale; inizialmente da auto-anestesia postbellica e post-shoah, poi da una situazione sì sghemba e insostenibile, ma provvisoriamente gestita con sicurezza dall’unica democrazia locale; in seguito gestita dall’avvio di una soluzione concertata (Oslo), presunta efficace nonostante il tempestivo assassinio di un contraente (Rabin) dalla propria stessa parte, tutt’altro che affranta dall’occasione storica persa e ingolosita dall’occasione afferrabile per una farneticante aspirazione nazional-colonialista di sionisti degenerati: il Grande Israele biblico (!?), che avrebbe anche appianato quella grinza storica nei proclami istitutivi dello stato – «un popolo senza terra per una terra senza popolo».

Popoli quindi sbigottiti, increduli per l’irriconoscibile ribadita virtuosità difensiva degli stragisti. E governi inerti salvo che negli ormai ricorrenti soprassalti bellicisti, imbozzolati nelle autocelebrative affinità assertive della propria superiorità etica, economica, (doverosamente) militare – di «civiltà», appunto.

Governi quindi più o meno copertamente seccati da certe durezze di un’azione «difensiva» peraltro inevitabile.

Governi apparentemente estranei, o affranti, dalla sola ipotesi di una intimazione furente allo zelante alleato – per tacere di minacce o, Dio non voglia, sanzioni – non certo come alla Russia o all’Iran – né un sapiente complotto per cambio di regime (sia pure con misure contro gli inadeguati sostituendi non più afflittive che una garbata serie di TSO…), ma tipo «avrai la tua terra promessa (peraltro non molto più di quella già spadroneggiata con garrota da 56 anni), ma in modo più concordato se vuoi coltivare al meglio altri interessi con me». Nulla, o forse un burbero raschiamento di gola (neppur corale)? Promettente!

Non potendo contare sui mitici valori occidentali in attesa di una probabile ma lontana Norimberga e/o di una certa germinazione ad arma biologica dell’odio seminato, possiamo sperare almeno in un momento di lucido seppur effimero distacco da questa supina, avvilente, autolesionistica complicità con la distruttività paranoica di quel paradossale stato-canaglia.

Uno Stato avantieri erede di vittime di genocidio;

ieri strangolatore guantato di occupati importuni;

oggi carnefice alla PolPot;

domani pariah fra i nauseati superstiti dell’eruzione mondiale di hybris cui sta contribuendo così forsennatamente;

e scarto della stessa apprezzabile cultura ebraica così sconsideratamente appropriata, snaturata e dilapidata?

 

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