Guerra alla guerra, «il crimine di Stato più meschino e diabolico»

Marinella Correggia

CORSI E RICORSI. «Krieg dem Kriege!» (Guerra alla guerra!) di Ernest Friedrich, cento anni fa

Cento anni fa il cittadino del mondo Ernest Friedrich, nato nel 1894 a Breslavia (all’epoca parte del regno di Prussia, ora Wroclaw, città polacca), reduce non dalle trincee ma dal carcere per essersi dichiarato obiettore di coscienza durante il primo conflitto mondiale, dà alle stampe Krieg dem Kriege! (Guerra alla guerra), raccolta di oltre 180 fotografie della prima guerra mondiale, tratte da archivi medici e militari tedeschi. Atroci, ripugnanti, per mostrare il «vero volto» della guerra, «il crimine di Stato più meschino e diabolico», il male assoluto capace di lacerare esseri umani e natura. Ogni foto ha una didascalia, in 4 lingue, a condannare e sbeffeggiare la malvagità dell’ideologia bellicista. Tutto finalizzato, nell’intenzione di Friedrich, anarco-pacifista e antimilitarista, a ispirare un disgusto attivo in chi guarda e legge. A spronare all’azione.

Del resto il libro si apre con l’appello «All’umanità intera» che esorta alla diserzione e alla disobbedienza di massa da parte di madri e figli, donne e uomini: unico modo per fermare i potenti ed evitare le prossime guerre, il prodotto peggiore del capitalismo.

Dopo il carcere a Potsdam nel 1917 con l’accusa di «sabotaggio alle attività militari» e la liberazione alla fine del 1918 grazie alla rivoluzione tedesca, Ernst Friedrich fra le due guerre rimane mobilitato per la pace. Nel 1924 pubblica Krieg dem Kriege!, nel 1925 fonda a Berlino l’Anti-Krieg Museum, Museo antiguerra, uno spazio per l’educazione alla pace. Con l’avvento al potere di Adolf Hitler, Ernst diventa una delle vittime del regime; viene arrestato nel 1933, il museo vandalizzato.

Riesce a fuggire all’estero, apre un nuovo museo a Bruxelles – per vederlo distrutto con l’invasione tedesca. Ripara in Francia, ma il regime di Vichy lo imprigiona a Gurs per 18 mesi. Fugge, diventa membro della resistenza francese, rimanendo pacifista (del resto, don Lorenzo Milani, nella sua Lettera ai cappellani militari, del 1965, dirà che la resistenza è stata l’unica guerra non di aggressione nei cento anni di Italia). Salva decine di bambini ebrei dalla deportazione. Gestisce una fattoria. Nel secondo dopoguerra prosegue, pubblica riviste, compra un pezzo di foresta dove crea un centro per la gioventù operaia. Muore in Francia nel 1967.

Guerra alla guerraIn Krieg dem Kriege! Ernst Friedrich non risparmia nulla al lettore. È una «terapia d’urto», scriverà Susan Sontag nel suo saggio Regarding the Pain of Others (Davanti al dolore degli altri), del 2003: «Quasi tutte le sequenze sono difficili da guardare, ma le pagine più intollerabili del libro, che aveva nel suo complesso il compito di atterrire, sono i 24 primi piani di soldati con la faccia sfigurata da enormi ferite», colpiti da granate, proiettili e ordigni tutti. Le didascalie ne spiegano il calvario (sottoposti a decine di operazioni per un recupero minimo di funzionalità, alimentati artificialmente), indicando di alcuni i nomi e le professioni della loro vita di prima (contadino di 25 anni, operaio siderurgico, ferroviere, disegnatore…).

Il resto del libro percorre gli effetti di 4 anni di guerra su soldati, civili, alberi, paesi. Trincee-cimiteri di fango, fosse comuni, bambini scheletrici, adulti straziati, fucilazioni e impiccagioni per chi disse no, foreste bruciate, «natura morta di guerra», quartieri rasi al suolo, ma anche i privilegi e svaghi dei potenti e regnanti che dichiarano le guerre mentre altri le subiscono; e l’errore-orrore dei soldatini e dei fucili regalati all’infanzia. Friedrich vuole togliere la maschera dal campo del cosiddetto onore, della cosiddetta morte eroica. E dimostrare l’assurdità dell’impegno del proletariato in quella che è anche una guerra di classe.

Krieg dem Kriege! viene tradotto in decine di lingue. Grande diffusione. Si predice che il volume avrà un’influenza decisiva sull’opinione pubblica. Bertolt Brecht se ne ispira direttamente per il suo Abc della guerra.

Eppure Friedrich fallisce nell’obiettivo, troppo grande, di scongiurare il prossimo macello. Non è l’unico a tentare la strada dell’orrore per immagini. Sontag ricordava il film J’accuse del regista francese Abel Gance, riadattato come messaggio antimilitarista all’approssimarsi del secondo macello mondiale, partendo dalla versione muta del 1919 che già aveva destato grande scalpore. Nella piana cimiteriale si leva un esercito di spettri fra i quali gli ex soldati orribilmente mutilati dell’Union des Gueules Cassées, «spettri zoppicanti che travolgono gli impauriti combattenti futuri e le vittime della guerre de demain. La guerra respinta da un’apocalisse». E invece no, concludeva Sontag: «L’anno dopo la guerra arrivò».

La ricercatrice Claire Bowen dell’università di Havre, nell’articolo«Fotografie di guerra per la pace», osserva che Ernst Friedrich segue la strada delle immagini scioccanti percorsa anche prima dell’affermarsi della fotografia dagli artisti Jacques Collot ne Les grandes misères de la guerre e Francisco Goya ne Los desastres de la guerra.

Ricordiamo anche il tedesco Otto Dix (1891-1969) che, scioccato dall’esperienza di combattente (si era arruolato allo scoppio della prima guerra mondiale), divenne un convinto pacifista e fece della riflessione sul periodo al fronte una parte importante della sua opera. Bowen richiama inoltre la pubblicazione Covenants with Death (1934), una contro-storia fotografica (con testi) della prima guerra mondiale, messa insieme dallo scrittore T. A. Innes e dall’ex fotografo ufficiale di guerra canadese Ivor Castle, di fatto ispirata da Krieg dem Kriege!; ma era più una campagna per il non intervento britannico negli affari continentali che un messaggio universale antiguerra.

Molte guerre sono passate a distruggere i ponti dal 1924, e nel 2004 esce – per Mondadori – l’edizione italiana del libro di Ernst: Guerra alla guerra. La prefazione è di Gino Strada, fondatore di Emergency, il quale esorta a «non fermarsi di fronte al legittimo ribrezzo, andare avanti pagina per pagina, sopportando la nausea» perché «le facce delle vittime restano l’unica verità della guerra stessa». Strada ricorda le menzogne alle quali le potenze hanno sempre fatto ricorso per giustificare ogni nuovo crimine contro l’umanità. Gli Stati uniti entrano nella grande guerra «to end all wars», per mettere fine a tutti i conflitti. Da allora, la ricerca di scuse «diventerà una costante nel resto del «secolo breve» e segna anche l’inizio del nuovo millennio», con le guerre «umanitarie», quelle «contro il terrorismo», quelle «preventive» (Bush-Blair all’Iraq nel 2003).

Ne seguiranno molte altre. Le cui atrocità vengono censurate, oppure mostrate. Ma in questo XXI secolo, diventa ancora più difficile riconoscere la verità, fra photoshop e intelligenza artificiale.

Rimane la domanda: quando le foto facevano testo, perché nemmeno lo scioccante libro di Ernst riuscì a indurre alla disobbedienza di massa? Osservava Susan Sontag che indicare l’inferno non fornisce necessariamente agli osservatori gli strumenti per evitare le fiamme. Secondo Bowen, in realtà Krieg dem Kriege! «gli strumenti li offre, ma solo all’audience già convinta della causa politica e degli argomenti offerti da Friedrich per spiegare le origini della guerra e i mezzi per porvi fine». Del resto, «la valanga di pubblicazioni fotografiche nella seconda metà del XX secolo – un periodo di ininterrotti conflitti nel mondo – rende evidente che nemmeno le immagini più spaventose possono cambiare il corso della storia». Come direbbe Francesco Guccini, «è difficile capire se non hai capito già». O forse è un circolo vizioso e si arriva solo ai lettori/spettatori già sensibili? Come toccare il cuore e il cervello di tutti?

Rimane intatta l’attualità dell’appello di Friedrich. Infatti, nell’oggi, nemmeno i pesanti bombardamenti aerei su aree civili sono risparmiati ai popoli. E nemmeno le trincee nel gelo fangoso. Così, sembra parlare alle madri o compagne dei soldati che in Ucraina come in Russia iniziano appena a chiedere il ritorno dei mobilitati dal fronte, l’invito di Friedrich alla disobbedienza generale: «E voi, donne! Se i vostri uomini sono troppo deboli, voi ce la farete! (…) Donne di tutto il mondo unitevi!»


«Guerra alla guerra» di Ernst Friedrich si apre con l’appello che riportiamo in gran parte

All’umanità intera!

Io, che vengo erroneamente definito «tedesco» invece che semplicemente «essere umano», faccio appello alle terre del Nord, e all’Africa, all’America, all’Asia e all’Europa intera – e grido queste parole a tutti quelli che possono udire:

UMANITÀ E AMORE.

Poiché tutti gli esseri umani gioiscono e soffrono allo stesso modo, combattiamo tutti insieme contro la guerra, comune e mostruoso nemico. Piangiamo insieme le vittime di questo inaudito massacro, del quale siamo tutti colpevoli. Ma leviamo anche lo sguardo verso un’alba di pace e libertà. Verso la patria di tutte le patrie, la patria dell’umanità!
Numerosi volumi hanno esaltato o condannato la guerra, il crimine di stato più meschino e diabolico. Ma non basterebbero le infinite sfumature lessicali di tutte le lingue a descrivere accuratamente questo massacro, né ora né mai.

Le immagini di questo libro, catturate dall’occhio impietoso e incorruttibile dell’obiettivo fotografico, raccolte qui un po’ per caso e un po’ per intenzione, ritraggono la Guerra.
E nessuno al mondo può dubitare della veridicità di queste fotografie, sostenere che non riproducono fedelmente la realtà. Nessuno, poi, venga a obiettare: «È un orrore mostrare queste immagini!» Piuttosto, si dica: «Ecco finalmente smascherata la retorica dei campi dell’onore, le bugie sulla morte eroica”, sulla patria e sul coraggio, tutte le belle frasi di questa gigantesca truffa internazionale! Finalmente!»

Questo libro è dedicato a tutti i profittatori della guerra, ai parassiti, ai guerrafondai e anche ai re, ai generali, ai presidenti e ai ministri di tutte le nazioni.
Lo dedico come Bibbia a tutti i preti che hanno benedetto le armi nel nome di Dio!
Mostrate queste immagini a tutti quelli che ancora pensano. E chiunque voglia ancora giustificare questo genocidio, sia allora considerato un folle ed evitato come la peste.
E se re, generali, nazionalisti, vogliono farsi guerra, la facciano fra loro, a proprio rischio e pericolo, senza costringere nessun altro a combattere! Ma purtroppo quegli eroi non si prestano a una tale guerra di liberazione (la guerra che ci libererebbe dai guerrafondai e dai profittatori), manca loro il coraggio di lanciarsi in battaglia, di morire di una «morte eroica». Quindi ricorrono alla retorica della «patria» e dei «campi d’onore», parlano di «guerra di difesa» e fabbricano altre bugie.
Io avrei una soluzione pratica per evitare per sempre la guerra.

Se il re fa appello alla bandiera, la proteggerà lui stesso! Se un soldato è ridotto in miseria, il re andrà a mendicare con lui! Per ogni casupola bruciata in guerra sarà incendiato un palazzo o un castello! E per ogni morto al fronte, anche un re o un ministro «troverà riposo» servendo la patria nei «campi d’onore»! E ogni dieci giornalisti che fanno propaganda a favore della guerra, uno verrà preso in ostaggio per riscattare la vita di un soldato! Ma una tale legge non entrerà mai in vigore né verrà mai discussa a una «Conferenza internazionale per la pace e il disarmo».

Uniamoci quindi, arruoliamoci per combattere la guerra, esaminiamone le cause e la natura; solo così, armati di conoscenza e della forza della ragione, potremo finalmente proclamarci vincitori!

LE CAUSE DELLE GUERRE

Non potranno che esserci sempre guerre, finché il capitale governa e opprime il popolo! Ogni occasione in cui il capitale internazionale si sente minacciato da un potenziale concorrente, ogni volta che i baroni delle fornaci e i padroni delle fabbriche bisticciano, non fanno che incrociare le spade e urlare: «La patria è in pericolo!» (Dove per patria si intende il portafogli)

La guerra alla guerra è la guerra delle vittime contro i profittatori! La guerra degli ingannati contro i truffatori! La guerra degli oppressi contro gli oppressori! La guerra dei torturati contro gli aguzzini! La guerra degli affamati contro i sazi!

PREVENIRE LA GUERRA

Il capitale è sicuramente la causa di ogni guerra, ma la responsabilità ricade sulle spalle dei proletari.
Poiché è con i nostri corpi che si fa la guerra, siamo noi a doverla evitare.

Rifiutate di prestare il servizio militare!
Educate i vostri figli a disobbedire, a rifiutare di andare in guerra!
La madre che intona al proprio figlio un canto militare, prepara la guerra!
Il padre che regala ai propri figli dei soldatini, li recluta all’ideologia bellica!
Noi, obiettori di coscienza, dobbiamo finalmente sottrarci all’alone mistico della guerra, al fascino dell’uniforme.

E se dovesse nuovamente scoppiare una guerra, con fermezza e determinazione facciamo

GUERRA ALLA GUERRA!

Lo sciopero generale sarà la prima arma. Gli uomini rifiuteranno di prestare il servizio militare! Il vero eroismo non consiste nell’uccidere, ma nel rifiutare di uccidere.
Meglio affollare le carceri, gli istituti di pena e i manicomi di tutto il mondo piuttosto che uccidere e morire per il capitale!

L’ultima guerra, la più terribile, che sputerà gas, veleno e fuoco su uomini, animali e case, non è ancora scoppiata. Noi abbiamo il potere e la forza di evitare la catastrofe!
Lasciamoci ispirare dalle figure esemplari degli obiettori di coscienza che preferirono la morte per tenere fede al loro «No!», piuttosto che diventare a loro volta assassini!
La nostra volontà è più forte della violenza, della baionetta e del fucile!
Ripetiamo queste parole: «Io mi rifiuto!» Mettiamole in pratica, e in futuro la guerra sarà impossibile. Tutto il capitale del mondo, i re e i presidenti non possono nulla contro tutti i popoli che insieme gridano:

NOI CI RIFIUTIAMO!

E voi, donne! Se i vostri uomini sono troppo deboli, voi ce la farete! Dimostrate che l’affetto e l’amore per il vostro compagno sono più forti di ogni chiamata alle armi! Non lasciate che i vostri uomini vadano al fronte! Non decorate i fucili con i fiori!
Attaccatevi al collo dei vostri mariti, e non lasciateli partire, nemmeno quando arriva la cartolina di precetto! Divellete i binari, gettatevi davanti alle locomotive!
Dovete riuscirci voi, donne, se i vostri uomini sono troppo deboli!

DONNE DI TUTTO IL MONDO, UNITEVI!


Fonte: il manifesto, 20 gennaio 2024

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