La Chiesa di Don Milani

Cinzia Picchioni

Filippo D’Elia, Andrea Zambianchi, La Chiesa di Don Milani, EMI, Bologna 2008, pp. 192, € 11,00

La Chiesa di Don Milani

Don Milani era innamorato della Chiesa. Don Milani amava la Chiesa. Chi ama si lascia trasportare non dall’attrazione ma dalla donazione, non idealizza l’amato ma ne vede anche i difetti e li accetta. Don Milani partecipò con entusiasmo al progetto “nuova cristianità”, ritenendo il Vangelo un modello economico e politico realistico e non utopistico.  

In questa visione si inseriscono le tre Parti del libro:

  1. Contesto politico, sociale e religioso di don Lorenzo Milani
  2. L’idea di Chiesa di don Milani. La Chiesa-Comunione in don Milani. Le ultime 30 pagine riportano tre Appendici: 1. Nonviolenza e obiezione di coscienza di don Milani 2. Chiesa, Mondo e Missione: scuola e politica di don Milani
  3. Omelia del cardinale Ennio Antonelli, arcivescovo di Firenze, nel 40° anniversario della morte di Lorenzo Milani.

Milani come Gandhi, Gandhi come Milani

È tutta farina del mio sacco, anche il titolo qui sopra, quella che mi fa scrivere della tenerezza che ho provato leggendo queste parole di Elda Pelagatti, perpetua di don Lorenzo, prima a San Donato, poi a Barbiana, registrate il 26.6.1995 a Barbiana. Quelle parole mi hanno fatto immediatamente pensare a Gandhi e al suo dhoti indossato come simbolo, realizzato con il khadi che lui stesso tesseva (ogni giorno lavorava per un po’ al charka, sorta di arcolaio per produrre la lunga striscia di tessuto in cotone, seta o lana):

«In vent’anni che gli sono stata vicina come perpetua non ho mai visto don Lorenzo “fuori posto”: alla mattina si è sempre svegliato alle 6.00, 6.30; usciva dalla sua stanza già perfettamente sbarbato e sempre in talare. In vent’anni che l’ho assistito, è sempre stato in talare. Mi hanno raccontato che per il Giubileo dell’Anno Santo del 1950, quando don Lorenzo con alcuni dei suoi ragazzi andarono in pellgrinaggio a Roma in bibicletta – e don Lorenzo aveva una bicicletta pesantissima, ridotta in uno stato pietoso – il gruppo partì da S. Donsato alle 4.00 di mattina. I ragazzi invitarono don Milani a togliersi la talare per pedalare più comodamente (e il permesso di togliersela per quell’occasione glielo aveva già accordato il Vescovo […]), ma don Lorenzo rifiutò, per togliersela solo dopo vari chilometri da Firenze.

Aveva timore che qualcuno dei suoi parrocchiani lo potesse anche solo intravedere una volta senza quell’abito che era diventato la sua seconda pelle e che mostrava tangibilmente il suo attaccamento, la sua fedeltà e la sua appartenenza a Cristo e alla Chiesa».


dhoti […] è un tradizionale indumento indossato dagli uomini in India. Si tratta di un pezzo di stoffa [khadi NdR],  rettangolare […] legata intorno alla vita […] come […] un pareo. Il khadi ha un forte valore tradizionale per gli indiani, poiché […] associato al Mahatma Gandhi, che esortò gli indiani a vestirsi con abiti fatti con questo tessuto. Infatti il khadi era anche il simbolo della produzione interna e della resistenza dell’India opposto ai tessuti occidentali dettati dal colonialismo.

Allo stesso modo Gandhi da un certo momento della sua vita in poi si è vestito solo e sempre con il dhoti, realizzato con il tessuto kodhi che faceva con le sue stesse mani, sedendo ogni giorno  al charka, sorta di arcolaio, per tessere quella stoffa altamente simbolica. Il dhoti in khadi è il tipico vestiario di chi vive ai margini della società, e Gandhi, indossandolo, ribadiva la dignità della povertà, criticando ilprogresso elamodernità e rifiutando il materialismo occidentale. Gandhi – come don Milani – si vestiva sempre con il dhoti autoprodotto, perché era un simbolo, ma i più pensavano solo a una «stramberia»:

dall’Enciclopedia Treccani

«Quando il 13 dicembre 1931 Gandhi giunse a Roma […] papa Pio XI respinse la sua richiesta di udienza perché, annotò la polizia politica fascista, il leader indiano era vestito in modo improprio. Anche Winston Churchill non lo aveva ricevuto, e da parte della stampa britannica era stato bollato come “il fachiro nudo”».

Allora forse l’abito fa il monaco? Dipende dall’abito (e dal monaco)!

40 anni senza don Milani…

Scrive Filippo D’Elia a p. 13: «Il presente lavoro è stato scritto in occasione del 40° anniversario della morte di don Lorenzo Milani e della pubblicazione di Lettera a una professoressa. Il pensiero ispiratore del presente lavoro è la domanda: “Perché don Milani è rimasto fedele alla Chiesa, anche in seguito alle sofferenze subite dalla gerarchia?”. E ancora: “Chi è don Lorenzo, prete?”. Emergerà la vita di un uomo di Dio, con una coscienza libera e pura».

…ma con Altri

Ancora Filippo D’Elia, a p. 15: Il presente lavoro è composto da una mia ricerca storica […] sul contesto sociale, politico, culturale e pastorale della chiesa fiorentina al tempo di don Milani e la tesi per il baccellierato in Teologia (1996) presso lo Studio Teologico Bolognese di Andrea Zambianchi, seminarista della  provincia di Forlì scomparso precocemente a un anno dall’ordinazione sacerdotale. Un profondo ringraziamento va a don Erio Castellucci, Preside della Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna, per avermi dato la possibilità di condividere una parte di strada con Andrea. E a proposito di Andrea Zambianchi ecco cosa scrive proprio Erio Castellucci, testè ringraziato:

«Mi pare di poter dire, in conclusione, che la scuola di Barbiana continua ancora: educa, ispira, colpisce e plasma chi viene a contatto con il suo grande fondatore. Gli insegna a vivere e a morire. Di questa scuola, Andrea è stato certamente uno degli alunni più appassionati; e confido che molti, aiutati anche da questa pubblicazione dovuta all’impegno del prof. Filippo D’Elia, si incammineranno sulle tracce di questi due appassionati di Cristo e della Chiesa», p. 12.


Gli autori

Andrea Zambianchi – Seminarista della provincia di Forlì scomparso nel 1997 a un anno dall’ordinazione sacerdotale.

Filippo D’Elia – Docente di religione Cattolica nella Diocesi di Castellaneta (TA). Dopo gli studi di Teologia e un’esperienza in Kenya con i Comboniani, ha scelto con la sua famiglia di accogliere a casa sua alcuni minori in affido.

Recensione di Cinzia Picchioni


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