Rabbia per Gaza: Washington pagherà per Il suo sostegno a Israele

Ramzy Baroud

Una famosa citazione di Franz Kafka dice: “Ogni cosa che si ama è molto probabile che vada perduta, ma alla fine l’amore tornerà in modo diverso”. Lo stesso principio, credo, si applica a qualsiasi altro sentimento forte, compresi il risentimento, l’odio, la rabbia e persino la collera.

I funzionari americani dovrebbero saperlo bene, visto che continuano a sostenere Israele con miliardi di dollari di aiuti militari ed economici e con tutto ciò che permetterebbe a Israele di continuare il suo genocidio dei palestinesi di Gaza.

Gli arabi, i musulmani – in realtà, il mondo intero – stanno guardando, ascoltando, leggendo e si arrabbiano ogni giorno di più per il ruolo diretto degli americani nel facilitare il bagno di sangue a Gaza.

La campagna militare israeliana a Gaza “ha causato più distruzione del rastrellamento di Aleppo in Siria tra il 2012 e il 2016, di Mariupol in Ucraina o, in proporzione, dei bombardamenti alleati sulla Germania nella Seconda Guerra Mondiale” e “ora si colloca tra le più letali e distruttive della storia recente”, ha riferito l’Associated Press, sulla base di una recente analisi dei dati satellitari.

Oltre alle decine di migliaia di morti e dispersi tra le macerie, un numero ancora maggiore di persone è rimasto ferito e mutilato, tra cui migliaia di bambini. Secondo l’UNICEF, sono innumerevoli i bambini “alle prese con la perdita di un braccio o di una gamba”.

L’agonia di Gaza viene osservata in televisione e attraverso ogni possibile mezzo di comunicazione. È come se il mondo soffrisse insieme ai bambini di Gaza, ma senza poter fermare o rallentare il genocidio.

Eppure, anche quando tutti i Paesi europei, tranne alcuni, hanno invertito la loro posizione sulla guerra, unendosi al resto del mondo nel chiedere un cessate il fuoco immediato e completo, Washington ha continuato a respingere questi appelli.

Ecco come l’ambasciatrice statunitense alle Nazioni Unite, Linda Thomas-Greenfield, ha giustificato l’uso del veto da parte del suo Paese, che il 18 ottobre scorso ha stroncato il primo serio tentativo del Consiglio di Sicurezza dell’ONU di raggiungere una tregua permanente: “Israele ha il diritto intrinseco di autodifesa, come risulta dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite”.

Questa stessa logica è stata ripetuta molte volte dai funzionari statunitensi da allora, anche quando la portata della tragedia di Gaza è diventata nota a tutti, compresi gli stessi americani.

Questa logica egoistica va contro lo spirito stesso del diritto internazionale e umanitario, che rifiuta con forza di prendere di mira i civili in tempo di guerra e di conflitto e di impedire agli aiuti umanitari di raggiungere le vittime civili della guerra.

In effetti, la stragrande maggioranza delle vittime di Gaza sono civili e, secondo l’UNICEF, oltre il 70% di tutti i morti e i feriti sono donne e bambini.

Inoltre, a causa delle disumane pratiche israeliane, i sopravvissuti di Gaza stanno affrontando una vera e propria carestia, un evento senza precedenti nella storia moderna della Palestina.

Eppure, Israele continua a impedire l’accesso a Gaza a cibo, medicine, carburante e altre forniture urgenti, violando così le leggi di Washington in materia.

La legge statunitense sull’assistenza all’estero (sezione 620I) stabilisce che “non sarà fornita alcuna assistenza a nessun Paese se è noto al Presidente che il governo di tale Paese proibisce o limita in altro modo, direttamente o indirettamente, il trasporto o la consegna dell’assistenza umanitaria statunitense”.

L’Amministrazione Biden non ha fatto nulla per fare pressione – e tanto meno per costringere – Israele ad aderire alle più elementari leggi umanitarie nel suo genocidio in corso a Gaza. Peggio ancora, il Presidente Biden sta fornendo a Israele gli strumenti necessari per prolungare questa guerra distruttiva.

Secondo un rapporto del 25 dicembre del Canale 12 di Israele, dall’inizio della guerra più di 20 navi e 244 aerei statunitensi hanno consegnato a Israele oltre 10.000 tonnellate di armamenti e attrezzature militari.

Queste forniture militari includono, secondo il Wall Street Journal, almeno 100 BLU-109, bombe bunker da 2.000 libbre, che sono state usate ripetutamente durante la guerra israeliana, uccidendo e ferendo centinaia di persone ogni volta.

L’unica azione tangibile intrapresa dagli Stati Uniti dall’inizio della guerra è stata la creazione di una coalizione denominata “Operazione Prosperity Guardian”, con l’unico scopo di garantire la sicurezza delle navi che attraversano il Mar Rosso verso o da Israele.

Gli Stati Uniti, tuttavia, non sembrano aver imparato nulla dal passato, dalle devastanti guerre contro l’Iraq, dalla cosiddetta guerra al terrorismo e dall’incapacità di trovare un equilibrio tra il sostegno a Israele e il rispetto per i palestinesi, gli arabi e i musulmani. Al contrario, alcuni funzionari statunitensi sembrano completamente distaccati da questa realtà.

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In una conferenza stampa alla Casa Bianca il 7 dicembre, il coordinatore del Consiglio di sicurezza nazionale degli Stati Uniti per le comunicazioni strategiche, John Kirby, ha proclamato:

“Ditemi, nominatemi un’altra nazione, qualsiasi altra nazione, che stia facendo quanto gli Stati Uniti per alleviare il dolore e la sofferenza della popolazione di Gaza. Non è possibile. Non si può e basta”.

Ma in che modo “bombe stupide”, “bombe intelligenti”, bunker buster e decine di migliaia di tonnellate di esplosivi stanno “alleviando il dolore e la sofferenza” di Gaza e dei suoi bambini?

Se Kirby non è consapevole del ruolo del suo Paese nel genocidio di Gaza, allora la crisi della politica estera americana è peggiore di quanto si possa immaginare. Se invece ne è consapevole, come dovrebbe, allora la crisi morale del suo Paese è probabilmente senza precedenti nella storia moderna.

Il problema della politica statunitense è che le amministrazioni americane hanno una visione segmentata della realtà, in quanto sono concentrate sul modo in cui le loro azioni, o inazioni, influenzeranno i loro partiti politici nelle elezioni future.

Ma gli americani che hanno a cuore il loro Paese e la sua posizione in un Medio Oriente in grande cambiamento e in una geopolitica globale in rapida evoluzione dovrebbero ricordare che la storia non inizia né finisce in una data fissa di novembre, una volta ogni quattro anni.

“Alla fine, l’amore tornerà in un modo diverso”, ha scritto Kafka. Ha ragione. Ma anche l’odio tende a tornare, manifestandosi in una miriade di modi. Washington avrebbe dovuto rendersene conto da sola, più di qualsiasi altro Paese.


Fonte: MintPress News, 4 gennaio 2024

Traduzione di Enzo Gargano per il Centro Studi Sereno Regis


 

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