Mao e Gandhi: confronto fra due giganti

Johan Galtung

25.12.2023 – L’ottobre scorso abbiamo avuto due importanti messaggi d’anniversario.

Uno s’è sentito forte e chiaro sui media occidentali: anniversario del trionfo della Rivoluzione Cinese, guidata da Mao, che restituiva la Cina al suo popolo, violentemente, il 1° ottobre. L’altro messaggio è stato molto più smorzato: anniversario della nascita di Gandhi, il Padre della nazione indiana, che restituì l’India al suo popolo, nonviolentemente, il 2 ottobre.

Ovviamente l’Occidente si focalizzava sulla Cina, le sue parate militari, la sua esibizione di lucente ricchezza dopo decenni di crescita, coerente col suo fascino per la violenza e la crescita economica. Ovviamente, anche l’India è un paese BRIC –Brasile-Russia-India-Cina – da prendere sul serio a causa della gran crescita e dei “muscoli”.

Ma l’ossessione per la potenza militare ed economica fa perdere all’Occidente l’essenza dei due anniversari, il potere culturale che vi soggiace e il ruolo politico che ebbe nei due immensi paesi emergenti dall’imperialismo occidentale nello stesso periodo, il 1947 per l’India, il 1949 per la Cina. Analogamente alla nascita dei due paesi, la morte giunse per Gandhi e Mao quasi alla stessa età: a 78 anni per Gandhi, a 82 per Mao.

Come Chávez e Castro, Gandhi e Mao avevano effettivamente una cosa in comune: l’anti-imperialismo, nella variante dell’anti-colonialismo. Immaginiamoci se l’Occidente avesse usato la scorsa settimana a rifletterci su, nonché sui disastri arrecati ai due paesi nel 19° secolo!

Ma Chávez e Castro hanno discrepanze basilari: economia mista, democrazia con elezioni generali e cristianesimo (Gesù visse fra i poveri!) rispetto a proprietà statale, ditatura e ateismo.

Così pure l’induismo di Gandhi ben differente dall’ateismo cinese di Mao; l’India è formalmente una democrazia elettiva multipartitica, la Cina no; e l’economia indiana è privatizzata, quella cinese è mista. E poi la violenza-nonviolenza.

Ma ci sono somiglianze profonde.  Entrambe hanno radicato il cambiamento sociale nella persona comune. Il cambiamento era insignificante senza un cambiamento positive per le persone più in basso, non solo una circolazione d’élite, magari con un cambiamento di colore, mantenendo però tutto il resto lo stesso, com’è così frequente nella decolonizzazione. La China in questo è riuscita meglio che l’India, ma poi la Cina ha attuato il maoismo e l’India non ha attuato il gandhismo.

In pratica, in ambo i paesi ciò ha volute dire non solo migliorare le condizioni contadine, ma che i contadini sono stati i vettori chiave della lotta. Fossero stati marxisti occidentali avrebbero aspettato che un proletariato industriale fosse abbastanza grosso; invece no. Fossero stati liberal occidentali avrebbero scommesso sull’élite, quella con laurea e/o con capitali. Invece i due non han fatto neppure questo.

La lotta presuppone solide fondamenta empiriche. Idealisti nel cuore, essi furono anche realisti di mente; vollero sapere esattamente in quale realtà empirica vivessero i loro popoli. Condivisero entrambi le condizioni dei diseredati, Gandhi più di Mao, che però lo fu anch’egli per lunghi periodi. Ciò lo consideravano entrambi condizione per poter parlare e agire a nome della gente. Senza dubbio sapevano bene tutt’e due di che stessero parlando, a differenza di capi con sola esperienza di classe media o alta.

Usarono una persuasione garbata coi contadini, non la forza. E la miglior persuasione per contadini molto pragmatici era con l’esempio. I villaggi sarvodaya di Gandhi e il praticare la riforma terriera di Mao nelle zone liberate; senza aspettare il 15 agosto 1947 e il 1° ottobre 1949. L’“essere il futuro che si vuol vedere” di Gandhi valse per entrambi.

Vollero entrambi un’attiva partecipazione della gente nella lotta, da soggetti, non oggetti usati come mezzi o solo grati destinatari. Quindi organizzarono movimenti di massa, i partiti del Congress e il Comunista, sebbene valesse per tutt’e due la “ferrea legge dell’oligarchia”. Eppure, quella base di massa esiste ancora, oltre 60 anni dopo.

Immaginavano una società decentrata; per Gandhi in quanto circoli oceanici d’innumerevoli villaggi autonomi sarvodaya, per Mao in quanto cooperative e Comuni del Popolo. L’India in seguito adottò un federalismo basato sulle lingue mentre la Cina è una federazione solo di nome, senza rispettare neppure le varie lingue locali. Ma in Cina la comune è tuttora un’unità chiave dello sviluppo, e anche il panchayat indiano è vivo.

Furono entrambi forti credenti del non aspettare il “tempo maturo/giusto”, ma dell’agire qui e ora, senza aspettare che altri lo facessero. Ciò che è giusto è senza tempo, indipendente dall’ opportunità. Una società bisogna cambiarla da dentro, mediante un’azione endogena. Il cambiamento sociale non può essere servito al culmine della liberazione dall’esterno. Basarsi sulle proprie forze, solo esse possono effettuare i profondi cambiamenti rivoluzionari richiesti; la liberazione dev’essere la loro. Cambiamento sociale dal basso, non elargito dall’alto o da fuori. E la rivoluzione dev’essere permanente, o intermittente. Ci saranno sempre nuovi conflitti o contraddizioni; la lotta non è qualcosa che si risolve in un botto. Lo swaraj, auto-governo, non è solo per l’India ma anche per sé stessi, per il proprio sviluppo e auto-affidamento.

Sicché troviamo Gandhi in opposizione al proprio partito dopo l’indipendenza indiana, e Mao (la Banda dei Quattro, e Mao fa Cinque!) che si dà alla Rivoluzione Culturale contro la gerarchia del proprio partito. La Cina attraversa massicci cambiamenti all’incirca ogni nove anni – 1949-1956-1967-1976 morte di Mao, poi Riforma di Deng 1980-1989-1998-2007. L’India è meno drammatica, c’è molta ultra-stabilità, ma arriverà altro.

Che cosa possiamo imparare da quanto accaduto solo una generazione fa?

Che il problema chiave eravamo noi, USA, o noi, Occidente. Noi fummo d’intralcio e dovremmo essere grati che non ci trattino come trattammo loro.

E, dato che l’Oriente liberato sta venendo su veloce: imparare da questi modi di far politica. A favore delle masse escluse nelle nostre tecnocrazie elitiste, i nostri contadini, so loro la maggioranza.


[Questo editoriale è apparso originariamente sul # 82 del 5 ottobre 2009 ma rimane altrettanto attuale, acuto e perspicace oggi. Giusto la prima frase è stata adattata alla data odierna. — Caporedattore TMS]

EDITORIAL, 25 Dec 2023

#828 | Johan Galtung – TRANSCEND Media Service

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis


 

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