Uccidere la nostra via verso la verità

Robert C. Koehler

Ehi Cina, smetti di minacciarci! Ti prendiamo a calci in culo.

Sì, Cina balorda, forse peggio che la Russia, tanto per dire:

“La Repubblica Popolare della Cina, che sta sfidando sempre più gli Stati Uniti economicamente, tecnologicamente, politicamene e militarmente a livello mondiale, resta la nostra priorità senza pari”.  Parole di Avril Haines, direttrice dell’intelligence nazionale [USA], rivolta a una commissione del Senato di recente. Come fatto notare dal New York Times, ha “rafforzato il messaggio inviato sulla Cina dal presidente Biden e dai suoi primi assistenti di politica estera …. che mentre la Russia è una sfida a medio termine, la Cina è il massimo rivale USA a lungo termine ed è la sola nazione col potere e le risorse di riplasmare l’ordine internazionale a guida americana”.

In realtà, le cose vanno abbastanza male da far sì che la commissione ristretta della Camera sulla Cina abbiano “simulato” un eventuale confronto militare fra Stati Uniti e Cina, se questa dovesse invadere Taiwan. Il cui risultato è stato un inferno per ambo i versanti. Allacciare le cinture, signore e signori; la guerra incombe!

La guerra viene minimamente messa in questione — è data per scontata — nella consapevolezza mainstream, o ciò che io direi pensiero di gruppo consensuale, strutturato senza rumore nei reportage che van per la maggiore. Il conflitto fra nazioni istantaneamente convoca la possibilità di guerra; è così che va, senza considerare la certezza di “danni collaterali”. Da tale narrazione manca qualunque visione di un mondo che guarda aldilà dell’inevitabilità della guerra, che trascende il militarismo. Per esempio:

“Il concetto di ‘sicurezza nazionale’ viene scaraventato qua e là in modo indiscriminato da generazioni” scrive Chris Wright su Common Dreams, “non solo in politica e nei media più diffusi ma anche a livello di erudizione in relazioni internazionali. Di rado si rimarca che il termine, a meno che sia chiarito, è senza senso …”.  Wright chiede: “Forse che George W. Bush stesse proteggendo la ‘sicurezza’ con l’invasione dell’Afghanistan e dell’Iraq, aumentando così massicciamente il terrorismo e il reclutamento di terroristi per tutto il Medio Oriente?  Il governo [USA] sta proteggendo la sicurezza presente e futura degli americani sovvenzionando l’industria dei combustibili fossili, accelerando così il riscaldamento globale?”

E perché, chiede ancora, la sicurezza non sembra voler dire spendere denaro, al livello scodellato senza porsi questioni al Pentagono, per tali bisogni indispensabili come l’assistenza sanitaria, le abitazioni, uno stato adeguato delle infrastrutture a livello nazionale?  La sicurezza, evidentemente, è sempre e solo una questione di mantenimento del potere. Non riguarda la cooperazione, qualunque cosa ci si voglia intendere.  E decisamente non il trovare un modo per smantellare gli armamenti nucleari del mondo, ivi compreso (oh mio Dio!) il nostro. Fintanto che mantenere il poter è il punto finale del pensiero politico, le bombe nucleari non spariranno. Ci sono ben più probabilità che vengano usate.

Eh sì, la sicurezza.  Si tratta di roba più grossa che la politica, più grossa del giornalismo. Umanità, umanità! Non accantoniamo il nostro future con una dannata scrollata di spalle. Possiamo arrivare oltre il consenso odierno. Come scrive Brad Wolf:

“La guerra è un linguaggio di bugie. Fredda e insensibile, emana da menti torpide, tecnocratiche, che privano di colore la vita. È un insulto istituzionale allo spirito umano.   Il Pentagono parla la lingua della guerra. Il presidente e il parlamento parlano la lingua della guerra. Le mega-aziende parlano la lingua della guerra. Ci spossano nell’indignazione e nel coraggio e nell’assaporare la bellezza. Commettono un massacro dell’anima”.

Non possiamo lasciare il futuro umano nelle mani di bugiardi ingabbiati, noti anche come politici. Ma qual è la nostra opzione? Wolf compie un sorprendente salto di consapevolezza: “Ci vuole un poeta per dire la verità. La poesia non riconosce l’ideale ma il reale. Affonda fino all’osso; non si tira indietro; non guarda da un’altra parte”.

Queste parole mettono la poesia aldilà di quanto io abbia mai immaginato, ma mentre ci penso a modo mio, scioccato e dubbioso, qualcosa pian piano comincia ad acquisire senso: lottare per dire la verità — staccare una minuscola scheggia di verità dall’ancora ignoto — non è lo stesso che aver ragione. È il contrario di essere certi. Ma la verità, quando si riesce a trovare le parole, risuona.

Così anche le bombe, si potrebbe dire, ma dopo che è esplosa una bomba non resta nulla se non (al meglio) qualche sopravvissuto gemente. La premessa basilare della guerra è che noi siamo buoni e loro cattivi, e se così stanno le cose si uccidano i cattivi. Questo come ci mette al sicuro?

Hmmm. Poesia, dite? Ecco un frammento di una poesia che ho scritto quasi 25 anni fa, intitolata “Veglia”. L’ho scritta sull’onda del massacro alla scuola superiore di Columbine (Colorado) nel 1999, ispirata alla presunta “veglia” di alcuni difensori al diritto alle armi individuali fuori dalla palestra della scuola quando il presidente Clinton la visitò, evidentemente evocando la possibilità di controllo delle armi da fuoco. Quelli tenevano cartelli, alcuni de quali dichiaravano: “Il controllo delle armi da fuoco uccide i ragazzi”.

… sono sconvolto
dall’imperturbabilità [da tensore di vela]
dei retti armati,
che osservano la sofferenza del mondo
e vedono bersagli.
Stanno ritti in potente preghiera
con mani strette
e braccia estese,
giudizio secondo un grilletto molto sensibile,
Dio nel rinculo. …

E la vita prosegue, almeno per qualcuno, mentre io punto la penna via dai dimostranti per il diritto alle armi e verso i politici e i militaristi di questo mondo. Non si può aprirsi il percorso alla sicurezza a forza di bombe e massacri più di quanto si possa distruggere il percorso verso la verità.


EDITORIAL, 8 May 2023

#795 | Robert C. Koehler – TRANSCEND Media Service

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis


 

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