Genocidio da parte d’Israele: discorso d’odio o veritiero?

Richard Falk

Gli Stati unti hanno espresso voto negativo all’appello dell’8 dicembre per un cessate-il-fuoco a Gaza sostenuto da un voto complessivo di 13 a 1, così isolandosi. Da notare fra gli altri tre membri NATO del Consiglio di Sicurezza: Francia e Germania a favore, UK astenuto. L’effetto del voto USA in tali circostanze è stato di veto per il suo unico voto, senza badare al peso preponderante dell’opinione di governi e popoli del vasto mondo, incluso il proprio dove 76% della cittadinanza è per una tregua.

L’ironia della posizione di Washington, segno preoccupante di complicità perdurante col genocidio d’Israele a costo della propria reputazione e del proprio status mondiali, è che lo sforzo di schermare Israele dall’autorità ONU è avvenuto la notte prima del 75° anniversario della firma della Convenzione sul Genocidio. Sul fronte interno è in corso una feroce battaglia di sionisti risoluti a proibire condanne del comportamento d’Israele a Gaza in quanto equivalente a genocidio da parte di studenti universitari, loro professori e amministratori in protesta, stando alle apparenze perché alimenta le fiamme dell’antisemitismo che minaccia la zona agiata degli studenti ebrei, come se le militanti denunce pro-israeliane del terrorismo di Hamas non costituissero minaccia a quelli di ascendenza araba o islamica.

Tale assalto alla libertà accademica e alla libertà di parola in una faccenda allarmante e urgente, mentre a Gaza prosegue giorno dopo giorno l’uccisione gratuita di bambini e donne, equivale a sopprimere l’impegno dei cittadini nei confronti della politica estera del governo di questa società polarizzata. Arriviamo a immaginare di chiudere le critiche di Tedeschi e giapponesi al genocidio nazista o all’attacco a Pearl Harbor perché potrebbero mettere a disagio tali minoranze? A dire il vero, l’internamento in tempo di guerra dei giapponesi residenti, ivi compresi quelli cittadini USA, andò a un vergognoso estremo opposto. Quando il governo USA e gli influenti media conformi si rifiutano di dire pane al pane, la libertà di parola e i diritti di assemblea son più importanti che mai nell’esporre il coinvolgimento materiale di Washington nel più grave dei crimini internazionali.

Nel dibattito sia negli USA sia in altre collocazioni nazionali i cui governi dell’Impero Bianco Globale parteggiano per Israele manca il tema su quanto l’imputazione di genocidio sia sostenuta da prove o sia piuttosto un’accusa irresponsabile che possa essere legittimamente vietata o almeno censurata come ‘discorso d’odio’. Secondo me non ci sono mai state argomentazioni più robuste per concludere che a un tribunale giudiziario competente e obiettivo risulterebbero prove ampiamente soddisfacenti i due requisiti del genocidio quale crimine: chiaro intento di distruggere un popolo del tutto o in parte; evidenza abbondante che il comportamento d’Israele suffraghi la sostanza del crimine. [Convenzione Internazionale per la Prevenzione e la Punizione del Crimine di Genocidio (1948)]

Pare valer la pena citare alcuni dei molti vividi esempi dell’intento genocida espressi dai dirigenti più rilevanti d’Israele. poco dopo aver lanciato l’attacco a Gaza, Yoav Gallant, ministro della Difesa d’Israele, annunciava pubblicamente l’emissione di un decreto che escludeva tutti quanti i 2,3 milioni di gazawi da [l’indispensabile afflusso di] alimenti, combustibile ed elettricità. Tattica caricata da un ulteriore tocco maligno di Gallant quando giustificando il decreto si riferiva ai gazawi come ‘animali umani’ da trattare di conseguenza.

Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha di frequente asserito la natura estrema delle mire belliche d’Israele, e autorizzato tattiche che contrastano del tutto il diritto umanitario internazionale scritto nella Quarta Convenzione di Ginevra sull’Occupazione Bellica. La sua più esplicita aspirazione a un approccio genocida è stata l’equiparazione della campagna israeliana a Gaza al versetto biblico sulla vittoria sugli amalekiti che invoca lo sterminio di ogni uomo, donna e bambino, e i loro armenti, che appartenessero a questo antico nemico del popolo ebraico.

Combinare tali affermazioni come compatibili con l’esile argomentazione del proprio diritto d’autodifesa – tanto più intesa secondo il diritto internazionale, è davvero ai limiti del grottesco. Agire per autodifesa non conferisce esenzione dall’obbligo di rispettare i rigori del diritto penale internazionale. Inoltre, Israele è Potenza Occupante dei Territori Palestinesi dalla guerra del 1967 e agisce sotto autorità internazionale, con il diritto di prendere misure ragionevoli per mantenere la sicurezza dell’Occupante, ma badando al proprio fondamentale e incondizionato dovere di proteggere la popolazione civile, come esplicitamente sottolineato nella Quarta Convenzione di Ginevra riguardo l’accesso a dispensari alimentari e medici.

Si vedano le molte clausole in merito del trattato, specialmente gli articoli 55, 56, 33. In altre parole, Israele non ha alcun diritto di autodifesa contro la resistenza montata per reazione a un’occupazione oppressiva e stralunga criticata e descritta in modo convincente da Human Rights Watch, Amnesty International, l’ong israeliana ampiamente rispettata B’Tselem, e altri come colpevole del crimine di apartheid [come definito all’articolo II della Convenzione Internazionale sulla Soppression e Punizione del Crimine di Apartheid].  Da notare che pur col cnsenso della società civile sull’essere Israele colpevole di apartheid, il governo di Washington e i grossi media hanno reagito a tale dannosa imputazione del trattamento israeliano dei palestinesi soggetti alla sua autorità con un silenzio auto-accusatorio.

Recentemente il vice-sindaco di Gerusalemme, Aryeh Yitzhak King, ha effettivamente proposto di seppellire vivi i palestinesi detenuti perché sono peggio che animali umani, sono ‘subumani’. La trucida visione del trattamento appropriato è specificata da King in queste parole:

“Fosse per me, manderei lì dei bulldozer D-9 e loro li metterei dietro gran mucchi di terra e avrei dato l’ordine di coprire tutte queste centinaia di formiche mentre sono ancora vive.”

King non ha autorità specifica per la condotta delle operazioni militari ma la tolleranza di dichiarazioni del genere da un qualunque pubblico ufficiale israeliano è indicativa di un’atmosfera genocida. [Come riferito dalla redazione di Middle East Eye l’8 dicembre 2023]. Analogamente, le dimissioni forzate della presidente dell’Università della Pennsylvania per aver permesso un festival culturale pro-palestinese (La Palestina scrive) e aver resistito, seppur solo tiepidamente, a pressioni per donazioni e a una campagna sionista basata sull’asserzione infondata che fossero in programma antisemiti come Roger Waters, è illustrativo di quanto i preconcetti pro-israeliani vengano trasformati in armi nelle democrazie occidentali, designate a stigmatizzare attivisti espressamente militanti pro-palestinesi con accuse disoneste e false di antisemitismo, da intendere correttamente come odio agli ebrei o ostilità all’ebraismo in quanto religione.

Proibire accuse di genocidio dato tale linguaggio ripugnante e comportamento coerente è una patente negazione della libertà di parola e di dissenso pubblico. Certo la sicurezza di tutte le minoranze a rischio per sviluppi politici è responsabilità primaria della governance ad ogni livello dell’interazione societaria. [Altro che (?)] misure belliche come la distruzione di vasti quartieri residenziali, il ripetuto bombardamento di ospedali ed edifici ONU in uso come rifugio per molte migliaia di palestinesi, e la massiccia evacuazione forzata di Gaza-nord verso una vita all’addiaccio a Gaza-sud, shockantemente aggravata dalla susseguente estensione della zona di combattimento al Sud, causa di morti e ferite fra i palestinesi che avevano obbedito agli ordini di evacuazione, spesso per mettere in salvo almeno le proprie famiglie mentre continuava la carneficina!

Ci sono due importanti considerazioni che aiutano a spiegare il ricorso israeliano al genocidio pur avendo intelligence e capacità d’armamento superiori da impegnare per sconfiggere Hamas in un modo militare normalmente focalizzato se quello era il vero obiettivo centrale dell’attacco a Gaza. quanto intrapreso da Israele col pretesto offerto dall’attacco del 7 ottobre è parso ben altro che uno sforzo controterroristico, parvenza rafforzata da crescenti sospetti che parti del governo israeliano avessero conoscenza dettagliata in anticipo dell’attacco [di Hamas] restando senza reagire per cinque ore alla presenza su territorio israeliano di miliziani di Hamas che stavano attuando il loro violento piano.

A quanto pare star dietro il genocidio israeliano è la soluzione cui aspiravano da tempo i massimalisti sionisti: effettuare il contenuto dell’ultimatum del ‘Piano Decisivo’ di Bezelel Smotrich, ormai apertamente ammesso dalla potente fazione dei coloni, in maggioranza nell’attuale governance d’Israele—‘emigrazione o annientamento’ – espresso anche più sfacciatamente durante le ultime settimane di furori dei coloni in Cisgiordnia: ‘andatevene o vi uccidiamo’.

In effetti, la violenza scatenata dall’8 ottobre è solo parzialmente diretta contro Hamas, benché per motivi di credibilità in Israele ed internazionalmente questo sia ciò che i portavoce israeliani enfatizzano e per cui ricevono gran parte dell’attenzione, soggiacendo la pretesa inappropriata che Israele sia autorizzato a difendersi, pretesa di per sé più che altro una razionalizzazione anche tralasciando le considerazioni di cui sopra sull’inapplicabilità legale dell’argomentazione nella Palestina Occupata. Ci sarebbero modi molto meno distruttivi e più efficaci per ristabilire la sicurezza israeliana all’indomani della straordinaria svista che ha permesso che ‘l’impossibile avvenisse’, evitando così i costi importanti e potenzialmente dannosi alla reputazione del ricorrere al genocidio, non solo infurendo e terrorizzando i palestinesi superstiti, ma le persone di coscienza in tutto il mondo.

Perdipiù, la campagna d’Israele sembra rispondere quattamente all’agenda dei coloni, del sionismo religioso dei soci della coalizione di Netanyahu che ben prima del 7 ottobre promuovevano la pulizia etnica come opzione preferenziale per risolvere ‘il Problema palestinese’. Nonostante l’attuale attacco estremo in corso a Gaza e l’eruzione di violenza in Cisgiordania, la via della pulizia etnica sembra bloccata, con la saldezza palestinese (sumud) vieppiù irrigidita per il rifiuto egiziano di accettare masse di profughi palestinesi da Gaza per un reinsediamento nel Sinai, nelle penose condizioni di un ambiente quasi desertico.

Dal versante palestinese, e base plausibile per credere che l’attacco della resistenza di Hamas fosse come appariva all’inizio, sembrava essere temporizzato per rispondere al discorso di settembre all’ONU di Netanyahu, in cui teneva in vista una mappa del nuovo Medio Oriente senza traccia di Palestina e alla luce delle voci sulla normalizzazione con l’Arabia Saudita, che avrebbe esaltato la libertà d’azione d’Israele riguardo ai palestinesi nell’insieme. Effettivamente, non c’è nulla d’incompatibile fra Israele che coglie l’occasione per perseguire i suoi scopi più ampi e il violento rifiuto di Hamas di accettare quella tentata sottile cancellazione della Palestina. L’impudenza della campagna israeliana è in parte un risultato del fallimento di metodi relativamente blandi per completare il Progetto Sionista di massima estensione della sovranità territoriale d’Israele senza tener conto della rara risoluzione unanime 242 del 1967 che esigeva il completo ritiro delle forze d’Israele entro i confini precedenti la guerra.

Questo è il tentativo israeliano di vincere quel che sperava risultasse come partita finale nella lotta secolare fra le forze del colonialismo d’insediamento e i popoli indigeni della Palestina, ivi compresa la piccola minoranza ebraica di neppure il 10% che ci vive da tempi antichi come palestinesi ebraici. È anche la fase di tale lotta che rappresenta ‘il momento della verità’ per il progetto coloniale degli insediati: o distrugge la resistenza indigena, spogliando e sterminando la popolazione nativa o i progetto è sconfitto come in Algeria e SudAfrica. L’Impero Bianco, realtà di fondo dell’Occidente Globale, è composto di quelle imprese da coloni che hanno marginalizzato l’opposizione nativa abbastanza da stabilirsi e mantenere una stabile governance del proprio.

C’è una dimensione ulteriore che s’intravede appena sotto la superficie delle reazioni al genocidio israeliano, che si può riassumere come la riapparizione dello ‘scontro di civiltà’, per primo formulato espressamente da Samuel Huntington in un articolo del 1993 riguardo ai conflitti post-guerra fredda sulle linee di faglia fra l’Occidente e l’Islam [Huntington, “The Clash of Civilizations, “Foreign Affairs 72: 22-49 (1993)] Da notare che il sostegno a Israele proviene quasi esclusivamente dall’Occidente Globale Cristiano bianco e ai palestinesi da paesi e attori non-statuali musulmani (Hezbollah, Houthi). Questa fonte di ulteriore tensione è giusto sotto la superficie della coscienza politica.

In conclusione, ci resta l’imperativo di proteggere la libertà di parola, specialmente nel chiamare genocidio il genocidio, e con la sfida di intraprendere tutti azioni responsabili per por fine a questo  strazio andando oltre parole di lamento e condanna, e considerando quali forme di boicottaggio, disinvestimento, e sanzioni possano esser messe in opera per fermare il genocidio a Gaza e iniziare un viaggio verso la pace e la giustizia che sostituisca l’ONU agli USA come intermediario neutrale e permetta ai palestinesi di rappresentarsi nell’escogitare una soluzione al conflitto, che obblighi l versante palestinese a creare un governo unitario ad interim per condurre negoziati internazionali ed esporre le proprie proposte per il futuro.

EDITORIAL, 11 Dec 2023

#826 | Richard Falk – TRANSCEND Media Service

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis

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