Mobilitazione per la guerra con la Cina: falchi USA prendono di mira “Code Pink”

Richard E. Rubenstein

Per gli attivisti antiguerra, la mobilitazione per la guerra con la Cina e i preparativi per una guerra di primo rango hanno un aspetto letteralmente da incubo, in cui si osserva come fisicamente o moralmente paralizzati l’approssimarsi passo passo di una situazione minacciosa finché è troppo tardi per evitare un prevedibile disastro. Esattamente come ci si sente osservando il governo degli Stati Uniti prepararsi per un confronto militare con la Cina.

Gli aspetti tecnici di questi preparative restano perlopiù avvolti nel segreto, eccetto che per esercitazioni militari dimostrative e dichiarazioni impolitiche occasionali come l’osservazione del generale dell’aviazione Mike Minihan il gennaio scorso “Le mie viscere mi dicono che combatteremo nel 2025”.

Ma gli aspetti civili di questa mobilitazione sono sempre più evidenti e allarmanti.  Un indicatore chiave che le popolazioni civili vengano preparate alla guerra è la rottura dei rapporti con il supposto nemico. Dappertutto negli USA le università sono state costrette a chiudere i propri istituti confuciani, enti sostenuti dal governo cinese che insegnano lingua e cultura cinese, a causa di accuse infondate che stessero rubando segreti tecnologici e militari. La collaborazione accademica e scientifica fra studiosi cinesi e americani è nettamente declinata. Analogamente, si sono costantemente intensificate le restrizioni commerciali sino-americane, culminando nel recente decreto del presidente Joe Biden di blocco degli investimenti USA in aziende hi-tech cinesi.

Un secondo segnale di febbre bellica, ancor più allarmante per i comuni cittadini, coinvolge sforzi concertati dei falchi al governo e nei media dell’informazione per diffamare il personaggio e criminalizzare il comportamento di attivisti contrari al continuo deterioramento di rapporto con lo stesso supposto nemico. Il bersaglio più recente della massa anti-Cina è Code Pink, una delle più attive organizzazioni pacifiste del NordAmerica, ben nota per la sua opposizione vigorosa e colorita all’invasione USA dell’Iraq, all’attacco NATO alla Libia, all’incondizionato sostegno USA a Israele, e al rifiuto USA di negoziare legittime preoccupazioni di sicurezza russe prima dell’invasione di Putin dell’Ucraina. Code Pink è all’avanguardia dei gruppi che pubblicizzano e criticano la spinta verso il confronto militare con la Cina.

Il 5 agosto 2023 il New York Times ha pubblicato un articolo col titolo “La ragnatela globale della propaganda cinese porta a un gigante tecnologico USA” – un presunto esposto di “un milionario americano carismatico, Neville Roy Singham, noto come benefattore socialista di cause di estrema sinistra”. L’articolo fa notare che Singham (figlio del fu Archie Singham, famoso professore e scrittore di sinistra) ha opinioni favorevoli dell’attuale governo cinese e ha sovente patrocinato politiche di quel governo. E riferisce che è sposato con Jodie Evans, co-fondatrice di Code Pink, che si oppone fortemente alla mobilitazione USA per la guerra contro la Cina e che ha anche difeso certe politiche cinesi.

L’articolo del [NY] Times è formulato in modo strano, senza dubbio per evitare eventuali cause di diffamzione, e contiene ampi vuoti documentari, ma il suo messaggio sotto sotto è che Singham e Evans (e implicitamente Code Pink) sono agenti cinesi, e che debbano essere costretti a registrarsi come tali secondo la legge di Registrazione degli Agenti Stranieri. unica base per tale conclusione è l’asserzione che questi attivisti siano d’accorso con varie politiche cinesi.

Chiunque abbia visto il recente film di Christopher Nolan, Oppenheimer, deve riconoscere ciò per la denigrazione mccarthysta che è. Evidentemente il senatore repubblicano della Florida Marco Rubio non ha visto il film, o altrimenti non l’ha capito: subito dopo la pubblicazione dell’articolo del [NY] Times, ha chiesto un’indagine a carico dei bersagli dell’articolo, asserendo che bisogna costringerli a registrarsi come agenti stranieri.

Qualunque cosa possa pensare Rubio, l’“evidenza” addotta dagli articolisti del [NY] Times a sostegno della loro imputazione non è solo labile, ma virtualmente inesistente.

Primo, fanno notare che Roy Singham condivide i locali d’ufficio con un’azienda “il cui scopo è istruire i visitatori stranieri sui ‘miracoli fatti dalla Cina sulla scena mondiale’ ”. Orrore! Non solo misteriosamente non si nomina l’azienda, ma il [NY] Times evidentemente non considera meritevole di pubblicità riuscire a tirar fuori un miliardo e mezzo di persone dalla povertà e aiutare altre nazioni a fare altrettanto.

Secondo, riferisce che Jodie Evans, che ha criticato gli atteggiamenti patriarcali cinesi, ha rifiutato di condannare le politiche di Pechino verso gli uyghuri. Il ch sarebbe la loro prova di attivismo straniero! Evans dev’essere uno strumento cinese non essendosi unita al coro di “genocidio” per descrivere la risposta repressiva di Pechino al separatismo uyghuro. Checché se ne pensi, l’accusa che Singham, Evans, e Code Pink siano agenti cinesi è basata su nulla più che le loro opinioni positive di alcune politiche cinesi. Di fatto, il loro vero “peccato” è stato opporsi all’imperialismo USA, al rifiuto USA di negoziare la pace in Ucraina, e ai preparativi USA di guerra alla Cina.

I paralleli con il caso Oppenheimer sono ovvi. Il grande fisico fu marchiato come agente sovietico e private del suo permesso di sicurezza perché si opponeva alle politiche nucleari USA, patrocinava la giustizia razziale e sociale in patria. e operava per la pace internazionale con gruppi di sinistra. Le differenze sono altrettanto interessanti. Code Pink non è al corrente di segreti di stato è non ha permessi di sicurezza da perdere. Il principale cattivo del pezzo del New York Times, Roy Singham, è un ricco imprenditore di high-tech accusato di “comprare” sostegno per le politiche cinesi in modo molto simile a quanto detto di George Soros, che usi il suo patrimonio per sostenere l’attivismo liberal o dei fratelli Koch Brothers nel finanziare programmi libertari conservatori.

Il denaro ha chiaramente un ruolo in politica. Il campione nel “comprare sostegno” per i beniamini politici, quantitativamente in una categoria a sé, è da molto tempo il governo USA con le sue dozzine di enti federali e ONG satelliti. Paragonato a quel genere d’influenza, Roy Singham è il minore dei minori. Ma le imputazioni del New York Times a Singham e Jodie Evans non arrivano neppure al livello di un esposto anti-Soros o anti Fratelli Koch. Non sono in effetti nulla più che la specie più flebile di [adescamento mediante] tormento dei rossi (=politicamente a sinistra).

La risposta di Roy Singham alle accuse dei reporter del [NY] Times è stata breve e concisa:

“nego e rigetto categoricamente qualunque illazione che io sia associate a, lavori per, prenda ordini da o segua le istruzioni di qualunque partito politico o governo o loo rappresentanti. Sono unicamente guidato da quanto credo, ossia dalle mie personali opinioni da molto tempo”.

I commenti di Jodie Evans sono stati altrettanto succinti:

“Nego la vostra allusione a che io segue le istruzioni di qualunque partito politico, di mio marito o di qualunque altro governo o suo rappresentante. Ho sempre seguito i miei valori”.

Diamo l’ultima parola a questi lottatori per la pace accusati.


EDITORIAL, 21 Aug 2023

#810 | Richard E. Rubenstein – TRANSCEND Media Service

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis


 

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