Israele non può schiacciare la resistenza palestinese

Ramzy Baroud

I numeri possono essere disumanizzanti. Tuttavia, se collocati nel loro giusto contesto, aiutano a illuminare questioni più ampie e a rispondere a domande urgenti, come il motivo per cui la Palestina occupata è alle soglie di una grande rivolta. E perché Israele non può schiacciare la resistenza palestinese, per quanto ci provi con forza e violenza.

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È a questo punto che i numeri diventano importanti. Dall’inizio di quest’anno, quasi 200 palestinesi sono stati uccisi nella Cisgiordania occupata e a Gaza. Tra loro ci sono 27 bambini.

Se si immagina una mappa che metta in relazione le città, i villaggi e i campi profughi delle vittime palestinesi con la ribellione armata in corso, si noteranno immediatamente dei collegamenti diretti. Gaza, Jenin e Nablus, ad esempio, hanno pagato il prezzo più alto per la violenza israeliana e sono le regioni che resistono di più.

Non sorprende che i rifugiati palestinesi siano stati storicamente in prima linea nel movimento di liberazione della Palestina, trasformando campi profughi come Jenin, Balata, Aqabat Jabr, Jabaliya, Nuseirat e altri in punti caldi di resistenza popolare e armata. Più Israele tenta di schiacciare la resistenza palestinese, maggiore è la reazione dei palestinesi.

Prendiamo ad esempio Jenin. Il campo profughi ribelle non ha mai smesso di resistere all’occupazione israeliana dopo la famosa battaglia e il successivo massacro israeliano dell’aprile 2002. La resistenza è continuata in tutte le sue forme, nonostante il fatto che molti dei combattenti che hanno difeso il campo dall’invasione israeliana della Seconda Rivolta Palestinese, o Intifada, siano stati uccisi o imprigionati.

Ora che è subentrata una nuova generazione, Israele è di nuovo all’opera. Le incursioni militari di Israele a Jenin sono diventate una routine, con un numero crescente di vittime, anche se a caro prezzo per Israele stesso.

 

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La più notevole e violenta di queste incursioni è stata quella del 26 gennaio, quando l’esercito israeliano ha invaso il campo, uccidendo dieci palestinesi e ferendone oltre venti.

Altri palestinesi continuano a essere uccisi mentre le incursioni israeliane diventano sempre più frequenti. E più sono frequenti le incursioni, più è dura la resistenza, che si è estesa oltre i confini della stessa Jenin ai vicini insediamenti ebraici illegali, ai posti di blocco militari e così via. È risaputo che molti dei palestinesi che Israele accusa di aver compiuto operazioni contro i suoi soldati e coloni provengono da Jenin.

Gli israeliani potrebbero voler considerare la loro violenza in Palestina come autodifesa. Ma questo è semplicemente inesatto. Un occupante militare, che si trovi in Palestina – o in qualsiasi altro luogo, se è per questo – non può, per stretta definizione legale, trovarsi in uno stato di autodifesa. Quest’ultimo concetto si applica solo alle nazioni sovrane che cercano di difendersi da minacce all’interno dei loro confini riconosciuti a livello internazionale.

Non solo Israele è definito dalla comunità e dalla legge internazionale come “potenza occupante”, ma è anche legalmente obbligato a “garantire che la popolazione civile sia protetta da tutti gli atti di violenza”, come ha dichiarato il 20 giugno il Segretario Generale delle Nazioni Unite.

La dichiarazione si riferiva all’uccisione di otto palestinesi a Jenin, avvenuta un giorno prima. Tra le vittime c’erano due bambini, Sadil Ghassan Turkman, 14 anni, e Ahmed Saqr, 15 anni. Inutile dire che Israele non è interessato alla “protezione” di questi e di altri bambini palestinesi. È l’entità che fa il male.

Ma dal momento che le Nazioni Unite e gli altri membri della comunità internazionale si accontentano di rilasciare dichiarazioni – “ricordando a Israele” le sue responsabilità, esprimendo “profonda preoccupazione” per la situazione o, nel caso di Washington, addirittura incolpando i palestinesi – quali altre opzioni hanno i palestinesi se non quella di resistere?

L’ascesa della Tana dei Leoni, delle Brigate Jenin, delle Brigate Nablus e di molti altri gruppi e brigate di questo tipo, composti per lo più da rifugiati palestinesi poveri e male armati, non è certo un mistero. Si combatte quando si è oppressi, umiliati e abitualmente violati. Questo ruolo ha governato le relazioni e i conflitti umani fin dall’inizio.

Ma l’ascesa dei palestinesi deve essere angosciante per coloro che vogliono mantenere lo status quo. Uno di questi è l’Autorità Palestinese.

L’Autorità palestinese rischia di perdere molto se la rivolta palestinese si diffonde oltre i confini della Cisgiordania settentrionale. Il presidente dell’AP Mahmoud Abbas, che gode di scarsa legittimità, non avrà alcun ruolo politico da svolgere. Senza tale ruolo, per quanto artificiale, i fondi stranieri si esauriranno rapidamente e la festa sarà finita.

Anche per Israele la posta in gioco è alta.

L’esercito israeliano, sotto la guida del nemico di Netanyahu, il ministro della Difesa Yoav Gallant, vuole intensificare la lotta contro i palestinesi senza ripetere l’invasione su larga scala delle città del 2002. Ma l’agenzia di intelligence interna, lo Shin Bet, sta diventando sempre più incline a una repressione su larga scala.

Il ministro delle Finanze di estrema destra Bezalel Smotrich vuole sfruttare la violenza come pretesto per espandere gli insediamenti illegali. Un altro politico di estrema destra, il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir, è alla ricerca di una guerra civile, guidata dai più violenti tra i coloni ebrei, il nucleo stesso del suo elettorato politico.


 

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Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, alle prese con i suoi problemi politici e legali, sta cercando di dare a tutti un po’ di quello che vogliono, ma tutto insieme. I paradossi sono una ricetta per il caos.

Questo ha portato alla riattivazione da parte di Gallant degli assassinii aerei di attivisti palestinesi per la prima volta dalla Seconda Intifada. I primi attacchi di questo tipo hanno avuto luogo nella regione di Jalameh, vicino a Jenin, il 21 giugno.

Nel frattempo, lo Shin Bet sta ampliando la sua lista di obiettivi. Sicuramente seguiranno altri omicidi.

Contemporaneamente, Smotrich sta già pianificando una massiccia espansione degli insediamenti illegali. Ben Gvir sta inviando orde di coloni a compiere pogrom nei pacifici villaggi palestinesi. L’inferno di Huwwara del 26 febbraio si è ripetuto a Turmus’ayya il 21 giugno.

Sebbene gli Stati Uniti e i loro partner occidentali possano continuare ad astenersi dall’intervenire nei presunti “affari interni israeliani”, dovrebbero considerare attentamente ciò che sta accadendo in Palestina. Non si tratta di affari come al solito.

La prossima Intifada in Palestina sarà armata, non faziosa e popolare, con conseguenze troppo difficili da valutare.

Se per i palestinesi la rivolta è un grido contro l’ingiustizia in tutte le sue forme, per personaggi come Smotrich e Ben Gvir la violenza è una strategia verso l’espansione degli insediamenti, la pulizia etnica e la guerra civile. Considerando i pogrom di Huwwara e Turmus’ayya, la guerra civile è già iniziata.

 

Fonte: MintPress News, 3 luglio 2023

Traduzione di Enzo Gargano per il Centro Studi Sereno Regis


 

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