Il nuovo capo di stato maggiore dell'IDF

Il nuovo capo di stato maggiore dell’IDF è un criminale di guerra particolarmente crudele… nonostante le affermazioni dei media

Miko Peled

Nell’edizione del 15 novembre 2013 del New York Times, Jodi Rudoren ha pubblicato un articolo intitolato “Per un generale filosofo in Israele, la pace è il momento di prepararsi alla guerra”. L’articolo riguardava il generale israeliano Herzi Halevi, all’epoca generale di brigata e comandante della regione della Galilea settentrionale. All’inizio del mese, il Ministro della Difesa israeliano, Benny Gantz, ha annunciato di aver scelto Levy come il nuovo Capo di Stato Maggiore dell’IDF. Mentre la stampa israeliana esaltava le virtù del generale, è stato citato anche il pezzo del Times.

Ma quali sono esattamente le virtù di questo generale israeliano che lo hanno reso degno di un articolo del New York Times nel 2013 e del nuovo Capo di Stato Maggiore dell’IDF nel 2022? La Rudoren ne elenca alcune nel suo articolo:

Il generale Halevi, 45 anni, triatleta e padre di quattro figli, ha dichiarato che i suoi studi universitari in filosofia si sono rivelati più importanti per la leadership militare rispetto ai corsi di amministrazione aziendale. Considerato uno dei principali candidati a guidare un giorno l’esercito come capo di stato maggiore, il generale Halevi è un ex paracadutista e comandante dell’unità di ricognizione d’élite Sayeret Matkal”.

Se le parole su una pagina facessero rumore, la descrizione di Halevi fatta da Rudoren suonerebbe certamente come una standing ovation. È lecito aspettarsi che, ora che è stato selezionato, la Rudoren ritenga che la sua opinione su di lui sia stata davvero perspicace.

UNA STORIA DI CRIMINI DI GUERRA

Come ufficiale di carriera della fanteria israeliana, non c’è dubbio che abbia partecipato a innumerevoli attacchi contro i civili e che non abbia alcuna esperienza nell’affrontare un vero esercito.

I giornali israeliani hanno parlato della sua partecipazione al rapimento nel 1994 di Mustafa Dirani, un leader sciita libanese di quello che allora era il movimento Amal. Era stato prelevato dalla sua casa nel sud del Libano durante un raid di un commando. Gli israeliani si aspettavano che, sotto interrogatorio, Dirani avrebbe detto loro dove si trovava il navigatore dell’aviazione Ron Arad, catturato otto anni prima dopo che il suo aereo era stato abbattuto in territorio libanese. Dirani non disse nulla e dopo dieci anni di detenzione nelle carceri israeliane senza accuse, fu rilasciato in uno scambio di prigionieri tra Israele ed Hezbollah. Sebbene alcuni possano considerare il rapimento di un cittadino straniero da parte dei commando israeliani come una sorta di eroismo, si tratta in realtà di un atto di pirateria e di una grave violazione del diritto internazionale.

In qualità di comandante della brigata paracadutisti dell’IDF, Halevi ha partecipato al massacro del 2008 a Gaza, che Israele chiama “Operazione Piombo Fuso“. Si è trattato di un assalto senza precedenti contro una popolazione civile indifesa; quasi 1500 persone sono state uccise. Altre migliaia furono ferite e si stima che circa 20.000 persone rimasero senza casa. L’aggressione si è conclusa il giorno prima del giuramento di Barack Obama come Presidente degli Stati Uniti. Obama non ha condannato l’assalto o l’uccisione di civili. C’è da chiedersi perché Jodi Rudoren non gli abbia chiesto di questo enorme crimine di guerra, soprattutto perché è stato uno dei principali comandanti nella sua esecuzione.

Il 6 giugno 2018, Halevi è diventato capo del Comando meridionale di Israele, che supervisiona le attività dell’IDF intorno alla Striscia di Gaza. Nel novembre 2019 ha comandato un assalto a Gaza in cui sono state uccise più di venti persone, tra cui diversi bambini.

L’elenco delle imprese compiute dal generale filosofo comprende la Prima Intifada, la Seconda Intifada e l’operazione “Scudo difensivo”, in cui le forze israeliane hanno attaccato, ucciso e distrutto città palestinesi in tutta la Cisgiordania, compresa la famosa battaglia e il massacro nel campo profughi di Jenin. Ha partecipato anche alla Seconda guerra del Libano, in cui Hezbollah ha sconfitto sonoramente le forze di terra israeliane, provocando comunque oltre un milione di profughi nel sud del Libano. L’elenco continua fino ad oggi, ogni massacro, ogni brutale assalto contro i palestinesi – che fossero combattenti o civili – Halevi era presente. È sulle spalle dei palestinesi che si è guadagnato i gradi, per così dire.

Eppure il New York Times non ha menzionato nulla di tutto ciò. Anzi, se si deve credere a Jodi Rodoren, si trattava di un generale profondamente riflessivo, forse persino morale, con una visione filosofica della vita che gli ha permesso di portare avanti il suo importante lavoro. Quello che avrebbe dovuto dire è che si tratta dell’ennesimo criminale di guerra israeliano con le mani sporche del sangue di palestinesi innocenti.

SEI COMANDANTI DI BRIGATA

All’inizio del mese, sei comandanti di brigata, tutti con il grado di colonnello, sono stati intervistati dal quotidiano israeliano Yediot Aharonot. L’intervista è stata pubblicata su Ynet, l’edizione internet del giornale. Hanno affrontato, tra l’altro, il tema delle regole di ingaggio, ovvero le regole in base alle quali un soldato è autorizzato ad aprire il fuoco. Israele è stato attaccato con l’affermazione che l’omicidio di Shireen Abu Akleh è stato possibile perché le regole erano troppo permissive.

Tuttavia, il Primo Ministro Lapid e il Ministro della Difesa Gantz hanno difeso le regole di ingaggio dell’esercito, sottolineando che i soldati non devono avere paura di premere il grilletto – come se lo avessero mai fatto – e che l’establishment militare sarà al fianco degli uomini e delle donne in prima linea.

Il rapporto cita fonti militari israeliane secondo cui nel 2021 sono stati uccisi settantanove palestinesi. Tuttavia, nell’agosto del 2022 ne erano già stati uccisi ottantacinque e questo, secondo un comandante, “è un risultato”. I comandanti delle brigate affermano chiaramente che “i soldati non hanno paura di sparare”, “guardate quanti palestinesi sono già stati uccisi nel 2022”, afferma il colonnello Elbaz, comandante della Brigata Binyamin. Il suo comando comprende le città di Ramallah, El-Bire, Bir Zeit, le città di Silwad e Kufr Aqab.

Il colonnello Moyal, comandante della Brigata Menashe, condivide l’opinione del suo amico. “Nel mio comando abbiamo ucciso ventinove palestinesi quest’anno, rispetto ai soli nove del 2021”. La Brigata Menashe comprende le città di Jenin e Tul-Karem, nonché Ya’bed, Barta’a e Kabatiya. Controlla anche i campi profughi di Jenin, Nur El-Shams e Fahma.

Secondo il rapporto di Ynet, a causa dell’aumento delle “attività” nelle regioni di “Giudea e Samaria”, questi sei comandanti sono ora i più impegnati dell’esercito israeliano. L’aumento dei morti palestinesi è considerato un risultato.

FORZA MASSICCIA

Sia l’articolo del New York Times sul generale Halevi che quello di Ynet sui sei comandanti di brigata omettono di sottolineare alcuni dettagli. Per molti decenni, l’esercito israeliano non ha fatto altro che uccidere palestinesi disarmati o armati con poco più che fucili semiautomatici, di solito vecchi e inefficaci. Qualsiasi risultato i combattenti armati abbiano da mostrare è dovuto al loro coraggio e alla volontà di impegnarsi con il nemico, e non all’equipaggiamento militare.

Chiunque raggiunga il grado di colonnello o superiore deve essere stato coinvolto direttamente o da vicino in crimini di guerra – certamente i soggetti delle storie qui menzionate. Eppure, in entrambi i rapporti non viene fatta alcuna menzione di ciò. Inoltre, i palestinesi stanno combattendo contro una forza militare massiccia, ben armata, ben nutrita ed estremamente ben finanziata che non ha altro da fare che ucciderli. Quando l’esercito israeliano affronta i palestinesi, “ci va giù pesante” con tutto quello che ha. Le forze israeliane usano l’intelligence, la ricognizione, il supporto aereo, le capacità di evacuazione, le unità mediche, il supporto logistico, e quando tutto è finito hanno un pasto caldo e un letto sicuro a cui tornare.

I palestinesi, se riescono a sopravvivere, sono lasciati a vivere nella paura del prossimo assalto a loro, ai loro figli, alle loro città e alle loro case. Eppure il mondo guarda le due parti e ancora, senza vergogna, osa glorificare gli assassini e gli oppressori.


Fonte: MintPress News, 20 settembre 2022

Traduzione di Enzo Gargano per il Centro Studi Sereno Regis

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