Perché parlare di guerra ai bambini? | Seconda parte
Nella prima parte dell’articolo “Perché parlare di guerra ai bambini?” abbiamo cercato di ragionare sul perché sia necessario continuare a parlare delle guerre con ragazzi/e e bambini/e…, ma adesso affrontiamo un altro aspetto:
Come parlarne allora?
Che bambini/e e ragazzi/e si pongano delle domande soprattutto ora che la guerra abita le nostre case con le immagini devastanti che ci giungono è naturale. Anche se piccoli e la guerra molto lontana dal loro piano cognitivo ed esperienziale, hanno bisogno di comprendere questa dolorosa realtà.
Molti sono gli articoli e i video postati in questo momento che cercano di dare consigli a genitori e insegnanti su come impostare una corretta informazione, ma soprattutto come accogliere le loro giuste paure, in cui si rispecchiano anche le nostre di adulti.
Il primo punto è sempre partire dalle loro domande o provocarle facendo commenti sulla situazione con domande aperte del tipo: «Hai sentito cosa succede in…? Cosa ne pensi?». Durante la conversazione sorgono nuove domande che fino a quel momento magari erano nascoste in qualche angolo della loro mente. A seconda delle età le loro curiosità poi possono assumere varie formulazioni, ma alla fine «Perché si è arrivati alla guerra?» le racchiude tutte.
Partire dalle loro richieste, far verbalizzare le loro emozioni, rassicurarli e fare delle azioni insieme a loro sono indicazioni importanti, certamente da seguire.
Come Centro Studi Sereno Regis vogliamo dare un ulteriore contributo integrandole con alcune considerazioni in linea con la visione gandhiana della risoluzione nonviolenta dei conflitti.
Solo se l’adulto cambia i presupposti culturali con cui «guarda» e interpreta la «guerra» si potrà generare un cambiamento di approccio nelle nuove generazioni. Ogni cosa appare con sfaccettature nuove se cambia l’occhio dell’osservatore… e gli osservatori siamo tutti noi… comunità. Su questo allora merita riflettere.
La guerra non nasce dal nulla
Sovente si immagina che la guerra sia il primo atto di aggressione… In realtà i conflitti possono covare per anni e poi esplodere nella violenza della guerra.
I conflitti fanno parte della vita umana e di ogni tipo di relazione: ciò che cambia è il modo di gestirli e trasformarli in modo che dalle ostilità non si passi al desiderio di annientare la parte opposta, sia essa persona, gruppo etnico o nazione.
Per arrivare alla guerra c’è un periodo, lungo anche anni, in cui le radici del conflitto si aggrovigliano, poi arriva la POLARIZZAZIONE,ci si divide in parti opposte, cominciano gli scontri, prima verbali poi le minacce… l’intensificarsi delle provocazioni fa arrivare al momento di non ritorno.
Questo processo si chiama ESCALATION.
Bisogna allora agire prima di arrivare a quella fase in cui è più difficile tornare indietro.
LE GUERRE VANNO RACCONTATE CON LINGUAGGIO SEMPLICE
MA RESTITUENDO LA COMPLESSITÀ DEGLI AVVENIMENTI.
Alcuni suggerimenti
Certo la fascia di età 2-6 anni non sempre riesce ad esprimere domande, ma è molto più attenta agli stati emotivi degli adulti o alle conversazioni casuali che ascoltano da fratelli, genitori. Le loro preoccupazioni verso qualcosa che non capiscono possono manifestarsi in molteplici modi, ma pur sempre attraverso cambiamenti di umore repentini o comportamenti più instabili.
I bambini fanno domande dirette:
- Rispondere in modo semplice, spiegando …
Ma i grandi nostri alleati sono i… RACCONTI…
- dopo la spiegazione si può approfittare per leggere ad alta voce alcuni libri che metteremo in bibliografia. Sentire dalla voce dell’adulto la lettura ha dei grossi vantaggi: i bambini/e possono interrompere con domande, possono fare commenti… il ritmo della lettura dell’adulto si adatta ai piccoli ascoltatori… l’adulto modula la lettura o rassicura
- ci sono libri che raccontano la guerra che hanno come protagonisti gli animali… sono più adatti a bambini/e più piccoli, perché spaventano di meno pur facendo comprendere la distruzione ma permettono una identificazione mediata con i personaggi non appartenenti alla realtà immediatamente riconoscibile. Il finale è sempre lieto, così verrà colto il messaggio che la guerra ha comunque una durata limitata e si può tornare a una situazione dove ci si sente nuovamente sicuri…
- i libri e i racconti dove i protagonisti sono bambini vanno letti ai bambini dai 6 anni in su… a questa età i bambini/e sono già in grado di distinguere l’Altro da sé… sanno che la vicenda accade lontano ad altri bambini: così riescono a immedesimarsi, cogliendo il dolore dei protagonisti, senza sentirsi in pericolo direttamente. Si sviluppa l’empatia e il desiderio di fare qualcosa per aiutarli… perché sono bambini come loro. Possiamo accompagnare anche con lettura di poesie … da declamare, da illustrare, da rendere prodotto da vedere all’esterno della casa o della scuola…
- Ci sono poi letture più complesse a mano a mano che passiamo alla scuola secondaria di primo grado dove si approfondiscono anche le cause e che suscitano riflessioni più profonde.
A ciascuna età la propria lettura
L’importanza del «circle time» o della riflessione
Leggere non basta… il bello viene dopo… Quando si possono condividere le impressioni, scavare dentro il racconto, tutti insieme…
Seduti in cerchio si può ritornare sugli avvenimenti ascoltati, si può mettere in evidenza cosa hanno fatto o pensato i vari personaggi… cosa è successo nell’ambiente circostante… in questo modo i bambini/e possono restituire i loro vissuti sinceramente, senza essere giudicati… Il ruolo dell’adulto ovviamente non sta nel dare giudizi o commentare i vari interventi, ma nello stimolare la classe con domande aperte, sintetizzare i loro pensieri, dando dignità a ciascuno. In questo modo anche loro si abituano alla diversità del sentire, dei pensieri che in quel momento affiorano.
Una bella occasione per sviluppare la capacità di ascolto e la famosa «empatia» così nominata, ma così poco praticata.
Qui l’adulto ha l’opportunità di proporre un altro linguaggio, che non definisca chi è il «nemico», o chi ha ragione o torto, ma che restituisca a tutti i personaggi la loro «umanità» e «dignità»… perché si possono condannare i comportamenti, ma i personaggi simbolo di persone vanno mantenuti nello status di «persone» e non di oggetti senza vita.
ATTRAVERSO IL RACCONTO PROPONIAMO UN’ALTRA VISIONE DELLA GUERRA:
NON ESISTONO GUERRE GIUSTE.
Legare la guerra a figure familiari o realmente esistite
Se vogliamo dare «speranza» e non seminare angoscia, un modo è quello di parlare di figure che loro conoscono e che hanno attraversato la guerra, ma ce l’hanno fatta, hanno saputo reagire, magari con un coraggio che non pensavano nemmeno loro di possedere… se sono bambini/e piccoli/e proporre di vedere la fotografia di un nonno o bisnonno che hanno vissuto in tempo di guerra, ma sono riusciti ad attraversarla indenni… raccontare a nostra volta ciò che abbiamo udito dai nostri nonni…
Per i bambini/e e ragazzi/e più grandi ci sono molte testimonianze di persone che hanno aiutato soldati di ogni fronte, anche avversario, perché capivano che la guerra era un orrore per tutti e la vita preziosa per ciascuno. Testimonianze di persone che sono riuscite a uscire dalla logica del «nemico» e hanno scelto di vedere «l’uomo» o «la donna» al di là delle etichette che in quel momento esistevano.
LA VITA, IN OGNI FORMA, È UN BENE PREZIOSO.
Il potere dei gesti: onorare il dolore del mondo
Vediamo ora l’ ultimo passaggio: come comunità educante dobbiamo coltivare dentro di noi e in-segnare la potenza dei gesti, che ci fanno uscire dalla sensazione di impotenza, così dannosa dal punto di vista psicologico. L’impotenza crea immobilismo e chiude le porte alla nostra capacità di intravedere futuri migliori; rende tutto vano e senza senso. Piccoli e grandi gesti nascono dalla consapevolezza che ciascuno di noi possiede il potere inteso come possibilità di trasformare ciò che ci circonda. Possiamo migliorare o rendere più desolante l’universo con cui siamo intimamente legati…
I gesti diventano un modo per «rendere onore»cioè avere rispetto del dolore di altri popoli, con cui siamo legati perché appartenenti alla stessa umanità…
Gesti non per sentirsi buoni, ma per riconoscere le forme di dolore che le violenze alimentano, tenerle sempre presenti anche se non sono vicine… Onorarle… ogni giorno… perché non scompaiano nel nulla e nell’indifferenza.
«Cosa possiamo fare perché gli altri sappiano come la pensiamo o che li pensiamo?»
Prima di proporre qualcosa noi adulti poniamo questa domanda: le domande aperte sono piste di ricerca… mettono in movimento le persone, le risposte esterne rendono passivi, in attesa che qualcun altro pensi, agisca.
A seconda dell’età, se si è davanti a un gruppo o a un singolo, emergeranno proposte più o meno fattibili o sensate… la funzione adulta è in questo caso selezionare, accorpare, continuare a insistere perché il gruppo esca all’esterno con un simbolo (vd straccetto bianco), una canzone, una poesia, delle lettere indirizzate ai nostri politici, dei cartelli… L’importante è che non rimanga solo un’iniziativa chiusa nella scuola o nella casa… ma renda visibile il pensiero delle nuove generazioni al resto della società.
IL POTERE DEI GESTI È LA NOSTRA SPERANZA
Sono d’accordo con voi di quanto sia necessario parlare della guerra ai bambini. Anche se sono dell’idea di cercare di proteggere il più possibile i bambini, filtrando il racconto con cautela ed intelligenza e soprattutto bisogna adeguarlo all’età.
Per esempio ci sono alcune età in cui a causa dello sviluppo neuro-cognitivo del bambino, il racconto va del tutto censurato: è il caso della prima infanzia, cioè fino agli 8 anni. In seguito si può iniziare a parlarne, magari usando il vostro suggerimento dei racconti, con i bambini come protagonisti. E se fanno domande precise, bisogna rispondere con tranquillità ma senza entrare nei particolari, restando sul vago e cercando di evitare di far vedere loro scene crude dei tg o dei reportage. Questo perché la guerra potrebbe provocare nei bambini paura e angoscia incontrollata e minare la loro sana crescita evolutiva.