«Se mi prendi la mano, non lasciarla» | Alessandro Ciquera
Rabia è un bambino siriano, dai capelli neri, vive la sua paralisi dovuta a una meningite, in una piccola tenda, nel campo profughi più marginalizzato del Libano. La sua famiglia viene da Baba Amr, uno dei quartieri di Homs maggiormente devastati dalla guerra e dall’assedio.
Vorrei che il mondo sapesse cosa si impara da Rabia, il cui nome, in arabo, significa Primavera.
Con i suoi occhi ti racconta il desiderio di vivere, e di comprendere. Attraverso il suo corpo piccolo e fragile urla l’importanza di lottare, e di non lasciare cadere le occasioni al lato del sentiero, perché ciò che trascuri non tornerà.
Tramite il suo pianto trasmette la rabbia per le ingiustizie, tutte, in particolare quelle che ha subito la sua gente.
A Rabia da anni i medici locali hanno detto che non poteva sopravvivere, crescere gli sarebbe stato negato, dalla sua malattia e dalla mancanza di sviluppo, lo sappiamo. Lui vive ostinatamente giorno per giorno, senza sapere: quando, dove e perché avverrà questa profezia.
Lo voglio ringraziare Rabia, perché mi aiuta ad essere coraggioso, quando sento intorno paura e incertezza, nel momento in cui il senso viene meno, mi riporta nella forza. Mentre lo prendi per mano, lo accarezzi, senti la sua voce, senza suono, che ti parla.
Sua mamma e sua nonna lo avvolgono, in una nuvola d’amore, e gli sussurrano: «Piccolo principe, la tua sposa ti cerca qui fuori», e lui ride, felice.
Quando gli occhi vedono qualcosa che non gli piace si stringono, e vanno verso il pianto, eppure, poche parole bastano a calmarlo, a fermare il dolore sui bordi delle sue lunghe ciglia.
La lezione di Rabia è anche questa: la disperazione può attendere, ci sono degli amici ora, e un bene infinito, che questa piccola tenda non può più contenere.
Scriveva Harendt che il male è banale, si spande a macchia d’olio, in superficie, come un fungo, orizzontalmente, solo il bene sa essere radicale, perché va più in profondità, dentro di noi, piantandosi come un seme.
Rabia ti obbliga a stringergli la mano, a non lasciarla più, e la notte, anche per oggi, viene spinta un po’ più in là.
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