Possiamo parlare di diritto al lavoro (buono)?

Autrice
Noemi Epoté


Possiamo parlare di diritto al lavoro (buono)

La relatrice di questo sesto incontro del  Corso permanente online di Economia Trasformativa è Alice Romagnoli, dottoranda in Filosofia all’Università di Macerata. I suoi studi di stampo filosofico le hanno permesso di avere un approccio trasformativo per quanto riguarda il campo del lavoro e di compiere una valutazione sconnessa dai dettami dell’economia tradizionale.

La relatrice ci ricorda quanto il lavoro sia il perno dell’economia globale e la nostra costituzione ce lo sottolinea, trattandolo negli articoli fondamentali. Tuttavia, il lavoro, così come siamo abituati a pensarlo: “… un’attività o una funzione che concorre al progresso materiale o spirituale della società” e riconosciuto a tutti i cittadini, è entrato in una profonda crisi nella società odierna.

Infatti, la relazione di Alice Romagnoli non vuole trattare il diritto al lavoro attraverso un profilo metodologico; ma vuole avviare un ragionamento sulla salute di questo diritto.

Innanzitutto, è opportuno sottolineare che la società in cui viviamo oggi è basata sul lavoro; tutte le nostre azioni sono volte al lavoro e siamo arrivati a mercificare anche il tempo che non passiamo nelle attività professionali. Perché?

Disoccupazione

Oltre a un grande problema di disoccupazione, che non riguarda solo i paesi del terzo mondo ma comprende anche il qui e ora sotto i nostri occhi, possiamo affermare che oramai il lavoro è ovunque e sempre, anche se potrebbe sembrare una contraddizione. Questa affermazione è perfettamente in linea con il periodo che stiamo vivendo. La pandemia ci ha costretti a limitare la frequentazione di spazi condivisi ma il flusso di produzione, distribuzione e acquisto ha conservato la sua continuità grazie a dispositivi come PC o biciclette che ci aiutano ad essere ancora gli ingranaggi dell’economia.

Tale fenomeno ci ha condotto ad un impiego consistente del nostro tempo verso le mansioni lavorative e ci ha portato addirittura a sottoporre a mercificazione la sfera privata della nostra vita.

Alice Romagnoli ci parla di emotional labour facendo riferimento a quelle figure professionali che devono necessariamente visualizzare certe emozioni come parte della loro prestazione lavorativa; ad esse è richiesto di essere accoglienti, allegre, pazienti e trasmettere un senso di sicurezza. Pare un concetto “affascinante” ma la società odierna ci presenta spesso le norme della vita professionale come differenti, persino opposte, rispetto a quelle che caratterizzano la vita privata e dunque possono sviluppare forme di alienazione nell’individuo/lavoratore.

Tale scissione del sistema sociale genera la dissociazione dalla vita stessa da parte degli individui, ai quali viene richiesto costantemente l’esser “Imprenditori di se stessi”; ovvero di mettere in pratica tutte le capacità per essere più spendibili, flessibili e competitivi nel mondo del lavoro senza che ci sia una reale attenzione alla salute di questo.

Abbiamo il diritto di avere un lavoro che sia buono.

Il primo passo per raggiungere questo scopo è mettere in discussione la realtà che ci circonda poiché essa è basata sullo sfruttamento e sulla crescita dei capitali a discapito di tutto il resto. Il nostro diritto al lavoro (buono) viene deformato dalla continua richiesta di produttività. Ormai questa logica risulta normalizzata ma nella storia ci sono stati esempi di realtà che hanno avviato il cammino verso una direzione che non mette il profitto sopra tutto e tutti come l’azienda di Olivetti e le proposte di Christian Felber. La consapevolezza dell’esistenza di un “altrimenti” ci dà speranza per un’economia del bene comune.

Invitiamo i lettori al prossimo appuntamento: Percorsi di formazione per l’economia trasformativa e pratiche solidali. Mercoledì 17 marzo ore 17.30.


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