Creare un clima per negoziati

Creare un clima per negoziati

René Wadlow

Da costruttori di pace, siamo particolarmente chiamati a contribuire a creare un clima per negoziati in buona fede e a ridurre le tensioni in aree tese. Sappiamo che la violenza può diffondersi e che la escalation reciproca può sfuggire di controllo.

Negoziato vuol dire un’impresa congiunta dei coinvolti in conflitto mirante a trovare interessi comuni accettabili a un grosso segmento della popolazione. Vediamo le difficoltà della mutua accettazione da parte di tutti i coinvolti nelle ripercussioni all’accordo sul Nagorno-Karabakh facilitate dalla Russia fra Azerbaijan e Armenia. Mentre l’accordo è stato ben accolto in Azerbaijan e ha rafforzato il suo presidente Ilhan Aliev, in Armenia è invece visto da molti come una sconfitta e ci sono continui appelli alle dimissioni del primo ministro Nikol Pachinian.

Così un accordo dev’essere spesso più di un compromesso; deve trascendere le posizioni negoziali originali per creare una situazione di pace positiva – un anticipo di benessere di molta fra la popolazione dei rispettivi contraenti. Tale trascendimento richiede sovente trasformazioni strutturali fondamentali come pure profondi cambiamenti d’atteggiamento. La lotta di liberazione dal conflitto armato, dallo sfruttamento e dalla povertà è anche uno sforzo per creare le condizioni entro le quali è possibile una liberazione interiore.  Per tale trascendimento delle situazioni conflittuali, è vitale avere un’opinione pubblica informata che sostenga tale sforzo sul lungo periodo. La costruzione di tale opinione pubblica informata è un fine di giornalismo di pace come Transcend Media Service-TMS.

Il recente accordo di pace del 5 febbraio 2021 fra le parti in conflitto in Libia ci dà un esempio degli attrezzi necessari di peacebuilding.  Pur essendo ciascuna situazione di conflitto differente, si può imparare dagli sforzi fatti per raggiungere una ricomposizione negoziata adattandoli alle nostre necessità correnti.

Usando le Nazioni Unite: l’ONU, in quanto la più universalmente partecipata fra le organizzazioni intergovernative, ha il peacebuilding come mandato centrale. C’è quindi un ruolo legittimo dell’ONU nella risoluzione dei conflitti. Ci sono sì conflitti in cui l’ONU non può assumere alcun ruolo per la loro particolare natura geopolitica, ma la gran parte di essi è aperta a qualche forma di coinvolgimento ONU, dai buoni uffici del Segretario Generale all’invio di truppe ONU a seguito di una risoluzione del suo Consiglio di Sicurezza. Nel caso libico, la mediazione a guida ONU ha avuto un ruolo centrale.

Usando le Organizzazioni Non-Governative: L’ONU è anche aperta a ruoli di peacebuilding di ONG varianti dal soccorso umanitario agli sforzi di secondo piano informali. In Libia, alcune ONG hanno tenuto aperti canali di comunicazione fra gruppi in conflitto; hanno proposto eventuali piste di compromesso cercando di far sentire la voce degli esclusi, in particolare donne e gruppi del sud del paese alla frontiera col Mali. Le ONG hanno avuto anche un ruolo nel giornalismo di pace, mantenendo in vista i temi della Libia e sottolineandone la complessità.

Adesso in Libia è stato creato un governo d’unità [nazionale] provvisorio che deve condurne l’amministrazione fino ad elezioni nazionali programmate per il 24 dicembre 2021. C’è molto da fare per creare una società stabile e progressista in Libia. Dobbiamo continuare a contribuire a questi sforzi al nostro meglio possibile.

L’esperienza dei conflitti in Libia esalta la necessità di cooperazione attiva fra enti ONU, ONG di peacebuilding, e media e pubblicazioni orientate alla pace; cooperazione vitale che dev’essere utilmente rafforzata.


 

EDITORIAL, 8 Mar 2021 | #683 | René Wadlow – TRANSCEND Media Service

Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis


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