Sognare ancora l’uguaglianza in India | Devanuru Mahadeva
I dalit1 devono essere consapevoli delle loro aspettative ed essere accorti nell’organizzare la loro comunità, e continuare la lotta.
Era come un tizzone ardente e, quando parlò, il calore del suo discorso ci commosse. Era il professor Mariswamy Madaiah, nato indù, fra gli intoccabili, e morto buddista.
Un episodio, narrato in un’intervista con Mariswamy, mi ha tormentato da quando lo lessi. Mariswamy stava aspettando l’autobus, per andare in un villaggio vicino, in una strada dove abitavano i Lingayat, di una casta superiore.
Un signore anziano chiese al figlio: “Chi è quel tipo seduto là?”, indicando Mariswamy.
Il figlio disse: “È un insegnante, il figlio di Maddaya, il produttore di arak2“. Non appena l’anziano signore udì ciò, cominciò a proferire insulti .
“Alzati”, gridò a Mariswamy con tono di degnazione. Ricordando questo episodio, Mariswamy afferma nell’intervista: “Avevamo accettato tutto questo; vivevamo così. Solo dopo aver letto gli scritti di Babasaheb Ambedkar3 ci rendemmo conto che il sistema delle caste è una piaga”.
La necessità di una guarigione
L’India è decaduta con le “piaghe”, ma non se ne è resa conto. Le “piaghe” di casta, religione ed intoccabilità sono diventate dolenti ed infette, ed hanno reso l’India mentalmente malata. Questa malattia è stata descritta come cultura e tradizione, e la società l’ha creduto.
Una persona nata qui si stanca e perde molte delle sue forze e competenze nel combattere questa malattia.
Gli Intoccabili, obbligati a stare fuori dai villaggi, non hanno né ucciso, né oppresso, né disprezzato nessuno a causa della sua casta. Per questo avrebbero dovuto essere rispettati anziché umiliati. La società avrebbe dovuto capirlo, se fosse stata consapevole della “piaga” e della malattia.
Chi ha questa consapevolezza e può vedere la malattia anela alla liberazione. Questa liberazione non sarà solo loro, ma farà muovere l’intera società verso la liberazione.
Chi ha bisogno di guarigione? Una guarigione culturale è necessaria per chi è infettato dalla malattia di superiorità-inferiorità; una guarigione sociale per chi crede che la dottrina della discriminazione sia parte della tradizione; una guarigione finanziaria per le classi più basse, che non hanno la forza di uscire dalla povertà.
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Che cosa abbiamo perso a causa delle “caste”? Lasciamo da parte, per il momento, ricchezza, posizione sociale e simili. Solo per essere nata in una casta particolare, una persona ha perso il suo senso di giustizia e la sua genuinità.
La sua coscienza sarà cieca ed insensibile alle gioie e alle difficoltà di chi non appartiene alla sua casta. La sua sensibilità è stata influenzata da una malattia generale. È spaventoso. Siamo diventati meschini e malati – di tutte le perdite, penso che questa sia la più grande.
Liberarsi dalle caste significa salvaguardare un senso di giustizia e genuinità che è in tutti noi e protegge la nostra sensibilità. Abbiamo bisogno di seminare questi sentimenti nella nuova generazione, che ha bisogno di vivere in pace.
Un sistema di disuguaglianza estrema
I dalit hanno preso la posizione di annientare il sistema delle caste dopo esserne stati feriti. Essi devono essere consapevoli delle loro aspettative ed essere accorti nell’organizzare la loro comunità, e continuare la lotta.
È come camminare su un filo. Perché è necessario organizzarsi in base all’identità? Per uguaglianza, decentralizzazione e per eliminare la discriminazione.
Ogni movimento identitario è un ruscello, soggetto alla disuguaglianza, ed esiste per confluire nel fiume dell’uguaglianza con altri ruscelli con aspirazioni simili.
Se i movimenti identitari, come gli adivasi4, le donne, i dalit, le minoranze, le comunità oppresse e i contadini che lottano per l’uguaglianza, non si rendono conto di ciò, assisteremo alla disintegrazione invece che all’unità.
È diventato un imperativo, per qualsiasi movimento che aspiri all’uguaglianza, muoversi con questa consapevolezza.
Oggi questo è diventato ancor più cruciale, se solo si osserva la velocità e la direzione verso cui l’India si muove. Per esempio, i sogni di coloro che lottano per la libertà sono diventati oggetto di scherno.
La gente ride se parli di uguaglianza. Allora, che India vogliamo? A Mumbai, la casa del miliardario indiano Mukesh Ambani ha 27 piani, tre eliporti, 10 ascensori, giardini pensili, sale da ballo, palestre, parcheggio a più piani per le auto e un personale di 600 unità, e tutt’intorno migliaia di baracche.
Vogliamo quest’India? Se andate nel distretto di Bellari, nello stato di Karnataka, beni che avrebbero dovuto essere di proprietà pubblica sono stati saccheggiati, lasciando voragini dopo l’estrazione di minerali. L’aria e l’acqua sono marroni; vogliamo quest’India?
Dove sta andando l’India?
Dove andremo a finire? Questa ricchezza non si fermerà con l’ostentazione del lusso. Andrà oltre i suoi limiti, comprerà tutto e metterà tutto all’asta.
Non lascerà fuori nessuno – rappresentanti del popolo, legislatori, membri del parlamento – e, non contenta di ciò, l’accumulazione della ricchezza nelle mani di pochi, rovescerà la democrazia, estendendo i suoi tentacoli sulla giustizia, l’amministrazione e i media.
Dobbiamo trovare un modo sostenibile di salvare la terra, l’aria, l’acqua e la luce che sono state usate per produrre questa ricchezza.
Oggi le città sono soffocate e non vi si riesce a respirare. I villaggi non hanno più la forza di andare avanti. I contadini si suicidano.
Il solo modo di vivere qui è spargere i semi di un sogno ugualitario. Dobbiamo nutrire il desiderio di ridurre il divario fra ricchi e poveri. Dobbiamo affrontare la discriminazione in primo luogo nella scuola, e, grazie ad un sistema educativo equo, scrivere il curriculum secondo il principio costituzionale di uguaglianza e costruire l’India di domani.
Devanuru Mahadeva è un romanziere indiano in lingua Kannada e un intellettuale influente.
Titolo originale: Dreaming again for equality in India
Traduzione italiana di Franco Malpeli per il Centro Studi Sereno Regis
NOTE
1 Fuori casta o paria (NdT)
2 Bevanda alcolica tradizionale dallo spiccato gusto di anice (NdT)
3 Bhimrao Ramji Ambedkar, conosciuto anche come Babasaheb (1891-1956), è stato un politico e pensatore indiano, noto anche come “padre della Costituzione Indiana”. Nato in una famiglia dalit, Ambedkar passò tutta la sua vita a lottare contro le discriminazioni sociali, e in particolare contro il sistema delle caste. (NdT)
4 Popoli aborigeni dell’India (NdT)
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