Italia-Israele: la «diplomazia dei caccia» | Manlio Dinucci

L’arte della guerra

I governanti europei – dalla rappresentante esteri della Ue Mogherini al premier italiano Gentiloni, dal presidente francese Macron alla cancelliera tedesca Merkel – hanno preso formalmente le distanze dagli Usa e da Israele sullo status di Gerusalemme. Si sta creando una frattura tra gli alleati?  I fatti mostrano il contrario.

Poco prima della decisione di Trump su Gerusalemme capitale di Israele, quando già essa era preannunciata, si è svolta la Blue Flag 2017, la più grande esercitazione internazionale di guerra aerea nella storia di Israele, alla quale hanno partecipato Stati uniti, Italia, Grecia e Polonia e, per la prima volta alla terza edizione, Francia, Germania e India.

Per due settimane piloti degli otto paesi, di cui sei membri della Nato, si sono esercitati con 70 aerei nella base israeliana di Ovda nel deserto del Negev, assistiti da 1000 militari del personale tecnico e logistico.

L’Italia ha partecipato con quattro caccia Tornado del 6° Stormo di Ghedi, due da attacco e due da guerra elettronica. Gli Stati uniti, con sette F-16 del 31st Fighter Wing di Aviano. Poiché tali aerei sono addetti al trasporto delle bombe nucleari Usa B-61, sicuramente i piloti italiani e statunitensi si sono esercitati, insieme agli altri, anche a missioni di attacco nucleare.

Secondo le informazioni ufficiali, sono state effettuate oltre 800 missioni di volo, simulando «scenari estremi di combattimento, con voli a bassissima quota e contromisure elettromagnetiche per neutralizzare le difese antiaeree». In altre parole, i piloti si sono esercitati a penetrare in territorio nemico per colpire gli obiettivi con bombe e missili non-nucleari o nucleari.

La Blue Flag 2017 ha migliorato «la cooperazione e prontezza operativa delle forze aeree partecipanti» e, allo stesso tempo, ha «rafforzato lo status internazionale di Israele».

Emblematica – scrive il giornale israeliano Haaretz in un articolo sulla «diplomazia dei caccia» – è la vista di un Eurofighter tedesco con la croce della Luftwaffe e di un F-15 israeliano con la Stella di David decollare per la prima volta uno a fianco dell’altro per la stessa missione, o di caccia francesi che ritornano in Israele dove furono segretamente schierati nel 1956 per la campagna di Suez contro l’Egitto di Nasser.

«La Blue Flag – conclude Haaretz – è la dimostrazione che sempre più paesi sono disponibili a impegnarsi apertamente quali alleati strategici di Israele, e a mettere da parte considerazioni politiche come la questione palestinese. Mentre sta svanendo l’influenza della diplomazia tradizionale, sta crescendo il ruolo dei comandanti militari nelle relazioni internazionali». Lo conferma l’incontro del generale Frigerio, comandante delle Forze da combattimento italiane, con il generale Norkin, comandante della Forza aerea israeliana.

Esso rientra nella Legge n. 94 del 17 maggio 2005, che istituzionalizza la sempre più stretta cooperazione delle forze armate e industrie militari italiane con quelle israeliane.

Israele è di fatto integrato nella Nato, nel cui quartier generale ha una missione ufficiale permanente, in base al «Programma di cooperazione individuale» ratificato nel dicembre 2008 (poco prima dell’operazione israeliana «Piombo fuso» a Gaza). Esso stabilisce tra l’altro la connessione delle forze israeliane, comprese quelle nucleari, al sistema elettronico Nato.

Subito dopo la Blue Flag 2017, i piloti israeliani (che si addestrano con i caccia italiani M-346), hanno ripreso a bombardare i palestinesi di Gaza, mentre il premier Gentiloni dichiarava che «il futuro di Gerusalemme, città santa unica al mondo, va definito nell’ambito del processo di pace».

(il manifesto, 12 dicembre 2017)

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