Li chiamate terroristi e ne uccidete quanti volete
Dobbiamo iniziare a rivendicare la responsabilità collettiva per gli errori dei nostri governi, il che significa affrontare la disumanizzazione che usano per giustificare le atrocità: li chiamate terroristi e ne uccidete quanti volete.
Prima li chiamate terroristi. Poi dite che vi state difendendo. Problema morale risolto! Potete ucciderne quanti ne volete.
Beh, forse ci saranno conseguenze in seguito (e forse no), ma per il momento avete superato le vostre barriere morali e potete iniziare a fare il vostro lavoro di soldati: uccidere persone. E nel farlo, rendete il mondo – il vostro mondo, non il loro – sicuro. La guerra è un paradosso: uccidere per raggiungere la pace. Ma a quanto pare è il principio organizzativo principale dell’umanità.
Cittadini d’America, cittadini di Israele, cittadini della Russia… cittadini del mondo… questo deve cambiare! È il momento di porre fine alla guerra, cioè di trascendere la guerra: disarmare, smilitarizzare. Stiamo uccidendo il pianeta, stiamo vivendo sull’orlo del suicidio nucleare. Creare e disumanizzare un “nemico” non creerà la pace, ma piuttosto il contrario. Stiamo spargendo l’inferno in tutto il pianeta e non solo la guerra torna sempre a casa, ma continua a creare un ciclo infinito di morte e distruzione, semplicemente per giustificare se stessa.
Per esempio, lo scrittore palestinese Emad Moussa ha scritto di recente sul Los Angeles Times: “L’impressione generale tra noi palestinesi – sia in patria che all’estero – è che mentre i carri armati israeliani entravano a Gaza, ciò che i soldati vedevano contraddiceva la loro visione del mondo del palestinese inferiore e subumano. Hanno dovuto distruggere tutto e ricreare un’immagine di Gaza che corrispondesse alla loro visione del mondo. Come dire, disumanizzare per facilitare e giustificare la distruzione”.
Il paradosso della disumanizzazione! Quando disumanizziamo gli altri, disumanizziamo noi stessi. E come americano, trovo preoccupante che la posizione mainstream della nazione sulle guerre attuali sia priva di qualsiasi autoconsapevolezza, di qualsiasi shock e stupore per la nostra storia bellicosa.
Faccio quindi un salto indietro di qualche decennio e di qualche guerra, fino al Vietnam, in particolare a quello che è stato chiamato il massacro di My Lai, dove tra i 350 e i 500 abitanti disarmati del villaggio – uomini, donne, bambini – furono uccisi dalle truppe statunitensi nel 1968. I morti erano solo una piccola percentuale del costo totale della guerra in termini di vite civili (forse più di 2 milioni), ma l’orrore delle uccisioni è rimasto impresso nella coscienza americana e mondiale. Ci ha aperto al prezzo morale della disumanizzazione.
Durante la guerra del Vietnam, i buoni combattevano contro i comunisti, non contro i terroristi, ma i termini avevano essenzialmente lo stesso significato: cattivi privi di sanità morale, che volevano solo imporre il male al mondo. Seymour Hersh, il giornalista che inizialmente scrisse del massacro, rendendolo noto al mondo, molti anni dopo scrisse un saggio sul New Yorker per contestualizzare ulteriormente l’evento. Una delle persone con cui parlò fu Paul Meadlo, un partecipante al massacro, che gli disse: “Si supponeva che ci fossero dei vietcong a My Lai e noi cominciammo a setacciarla”.
Questa semplice citazione si riverbera in ogni direzione. Vietcong, Hamas… la loro presenza (reale o solo presunta) avvelena tutto: il villaggio, l’ospedale, la scuola, la comunità. I civili in mezzo a loro sono ormai, prima di tutto, solo danni collaterali.
La storia di Hersh continua. I soldati radunarono gli abitanti del villaggio. Poi il capo della Compagnia Charlie, il tenente Willaim Calley, disse agli uomini che voleva che fossero fucilati. “Ho iniziato a sparare”, ha detto Meadlo, “ma gli altri ragazzi non hanno voluto farlo”. Così Calley e Meadlo “andarono avanti e li uccisero. Pensavamo tutti di fare la cosa giusta”.
Ma Hersh complica il racconto di Meadlo aggiungendo alcune testimonianze originali di altri soldati, uno dei quali ha detto che Meadlo e un suo compagno “stavano giocando con i bambini, dicendo loro dove sedersi e dando loro delle caramelle”. E quando Calley e Meadlo hanno iniziato a sparare, Meadlo “ha iniziato a piangere”.
Quelle lacrime appartengono a tutti noi, si potrebbe dire. Noi – almeno quelli di noi che non sono vittime – dobbiamo iniziare a rivendicare la responsabilità collettiva per questi torti, che iniziano con la disumanizzazione. Disumanizzazione armata, per l’amor di Dio. Perché ci troviamo in questa situazione?
Nel contesto della guerra, la pace è solo un vuoto. Non è nulla, o quasi. Una citazione attribuita a Thomas Jefferson lo dice in questo modo:
“La pace è quel breve e glorioso momento della storia in cui tutti stanno in piedi a ricaricare”.
In altre parole, cresciamo le nostre famiglie, creiamo arte e cultura, emaniamo amore… durante le tregue. Ma la struttura sociale in cui viviamo con relativa sicurezza (o meno) è presente solo perché le autorità armate hanno liberato lo spazio per farla esistere, temporaneamente, al di là delle forze del male. È questa la convinzione che permette al militarismo di perdurare, succhiando ogni anno circa duemila miliardi di dollari dall’economia globale.
Ray Acheson, parlando della guerra in Ucraina due anni fa, ha scritto: “L’abolizione delle armi nucleari, della guerra, dei confini, di tutte le strutture della violenza di Stato che possiamo vedere chiaramente in gioco in questo conflitto è al centro della richiesta di un cambiamento reale, duraturo e paradigmatico di cui abbiamo bisogno nel mondo. Può sembrare vasto, travolgente e inconcepibile. Ma la maggior parte dei cambiamenti è inconcepibile finché non li realizziamo”.
I conflitti tra le persone non scompariranno mai. La nostra paura dell’ignoto – di persone, ad esempio, che non parlano la nostra lingua, che non ci assomigliano, che possiedono qualcosa che vogliamo (come la terra) – non scomparirà mai. Possiamo disumanizzare coloro che temiamo, tentare di ucciderli e rimanere all’inferno. Oppure possiamo cercare di capirli.
Fonte: Common Dreams, 10 marzo 2024
https://www.commondreams.org/opinion/war-gaza-dehumanization-of-palestinians
Traduzione di Enzo Gargano per il Centro Studi Sereno Regis
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