I crimini di resistenza giustificano un genocidio? La tragica realtà di Gaza

Richard Falk

Il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres è stato recentemente messo alla gogna da Israele perché ha affermato un’ovvietà, osservando che l’attacco di Hamas del 7 ottobre “non è avvenuto nel vuoto”. I crimini di resistenza giustificano un genocidio?

Guterres ha richiamato l’attenzione del mondo sulla lunga serie di gravi provocazioni criminali di Israele nella Palestina occupata, che si verificano da quando Israele è diventato la potenza occupante dopo la guerra del 1967.

L’occupante, un ruolo che dovrebbe essere temporaneo, è incaricato in queste circostanze di sostenere il diritto umanitario internazionale garantendo la sicurezza e l’incolumità della popolazione civile occupata, come stabilito dalla Quarta Convenzione di Ginevra.

Israele ha reagito con tanta rabbia alle osservazioni di Guterres, del tutto appropriate e accurate, perché potevano essere interpretate come un’implicazione del fatto che Israele “se l’è cercata”, visti i suoi gravi e vari abusi contro la popolazione dei Territori palestinesi occupati, in particolare a Gaza, ma anche in Cisgiordania e a Gerusalemme.

Dopo tutto, se Israele poteva presentarsi al mondo come una vittima innocente dell’attacco del 7 ottobre – un incidente che era a sua volta pieno di crimini di guerra – poteva ragionevolmente sperare di ottenere carta bianca dai suoi patroni in Occidente per vendicarsi a piacimento, senza essere disturbato dai vincoli del diritto internazionale, dell’autorità delle Nazioni Unite o della morale comune.

In effetti, Israele ha risposto all’attacco del 7 ottobre con la sua tipica abilità nel manipolare il discorso globale che plasma l’opinione pubblica e guida le politiche estere di molti Paesi importanti. Queste tattiche sembrano quasi superflue in questo caso, dato che gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno rapidamente approvato in blocco qualsiasi cosa Israele abbia fatto in risposta, per quanto vendicativa, crudele o non correlata al ripristino della sicurezza dei confini israeliani.

Il discorso di Guterres alle Nazioni Unite ha avuto un impatto così drammatico perché ha bucato il pallone dell’innocenza costruito ad arte da Israele, in cui l’attacco terroristico è arrivato all’improvviso. L’esclusione del contesto ha distolto l’attenzione dalla devastazione di Gaza e dall’assalto genocida contro la sua popolazione di 2,3 milioni di persone, per lo più innocente e a lungo vittimizzata.

Lacune straordinarie

Ciò che trovo strano e inquietante è che, nonostante il consenso sul fatto che l’attacco dei combattenti palestinesi sia diventato fattibile solo a causa di straordinarie lacune nelle capacità di intelligence di Israele, che si suppone siano seconde a nessuno, e nella stretta sicurezza dei confini, questo fattore è stato raramente discusso da quel giorno.

Invece di riempire la mattina dopo di furore vendicativo, perché non ci si è concentrati, in Israele e altrove, sull’adozione di misure d’emergenza per ripristinare la sicurezza di Israele correggendo queste costose lacune, che sembrerebbero essere il modo più efficace per assicurare che nulla di paragonabile al 7 ottobre possa accadere di nuovo?

Posso capire la riluttanza del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu a sottolineare questa spiegazione o a sostenere questa forma di risposta, poiché equivarrebbe a una confessione della sua personale corresponsabilità per la tragedia traumaticamente vissuta da Israele al suo presunto confine impenetrabile.

Ma che dire di altri in Israele e tra i governi che lo sostengono? Senza dubbio, Israele sta dedicando tutti i mezzi a sua disposizione, con un senso di urgenza, per colmare queste incredibili lacune nel suo sistema di intelligence e per rafforzare le sue capacità militari lungo i confini relativamente brevi di Gaza.

Non è necessario essere un esperto di sicurezza per concludere che affrontare in modo affidabile questi problemi di sicurezza farebbe di più per prevenire e scoraggiare futuri attacchi di combattenti palestinesi, rispetto a questa saga in corso di infliggere punizioni devastanti alla popolazione palestinese di Gaza, pochissimi dei quali sono coinvolti con l’ala militare di Hamas.

Furia genocida

Netanyahu ha dato ulteriore plausibilità a queste speculazioni presentando una mappa del Medio Oriente senza la Palestina, cancellando di fatto i palestinesi dalla loro patria, durante un discorso di settembre alle Nazioni Unite, in cui ha parlato di una nuova pace in Medio Oriente con la prospettiva di una normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita. La sua presentazione equivaleva a un’implicita negazione del consenso delle Nazioni Unite sulla formula dei due Stati come roadmap per la pace.

Nel frattempo, la furia genocida della risposta di Israele all’attacco di Hamas sta facendo infuriare le popolazioni del mondo arabo e di tutto il mondo, anche nei Paesi occidentali. Ma dopo più di tre settimane di bombardamenti spietati, assedio totale e sfollamento forzato di massa, la discrezionalità di Israele nello scatenare questo fiume di violenza su Gaza non è ancora stata messa in discussione dai suoi sostenitori occidentali.

Gli Stati Uniti, in particolare, sostengono Israele all’ONU, usando il proprio veto, se necessario, nel Consiglio di Sicurezza e votando, senza quasi alcuna solidarietà da parte dei principali Paesi, contro il cessate il fuoco all’Assemblea Generale. Persino la Francia ha votato a favore della risoluzione dell’Assemblea Generale e il Regno Unito ha avuto la minima decenza di astenersi, reagendo probabilmente in modo pragmatico alle pressioni populiste esercitate dalle grandi e arrabbiate manifestazioni di piazza in patria.

Nel reagire alle tattiche di Israele a Gaza si è anche dimenticato che, fin dal primo giorno, il governo estremista ha avviato una serie sconvolgente di violente provocazioni nella Cisgiordania occupata. Molti hanno interpretato questo scatenamento non celato della violenza dei coloni come parte dell’endgame del progetto sionista, volto a ottenere la vittoria sui resti della resistenza palestinese.

Ci sono poche ragioni per dubitare che Israele abbia deliberatamente reagito in modo eccessivo al 7 ottobre, impegnandosi immediatamente in una risposta genocida, soprattutto se il suo scopo era quello di distogliere l’attenzione dall’escalation di violenza dei coloni in Cisgiordania, esacerbata dalla distribuzione di armi alle “squadre di sicurezza civili” da parte del governo.

Il piano finale del governo israeliano sembra essere quello di porre fine una volta per tutte alle fantasie di spartizione delle Nazioni Unite, conferendo autorità all’obiettivo sionista massimalista di annessione o di totale sottomissione dei palestinesi della Cisgiordania. In effetti, per quanto possa sembrare morboso, la leadership israeliana ha colto l’occasione del 7 ottobre per “finire il lavoro” commettendo un genocidio a Gaza, con il pretesto che Hamas era un pericolo tale da giustificare non solo la sua distruzione, ma questo attacco indiscriminato contro l’intera popolazione.

La mia analisi mi porta a concludere che questa guerra in corso non riguarda principalmente la sicurezza a Gaza o le minacce alla sicurezza poste da Hamas, ma piuttosto qualcosa di molto più sinistro e assurdamente cinico.

Israele ha colto l’opportunità di soddisfare le ambizioni territoriali sioniste nella “nebbia della guerra”, inducendo un’ultima ondata di espropriazione catastrofica dei palestinesi. Che si chiami “pulizia etnica” o “genocidio” è di secondaria importanza, sebbene si qualifichi già come la principale catastrofe umanitaria del XXI secolo.

In effetti, il popolo palestinese è vittima di due catastrofi convergenti: una politica, l’altra umanitaria.


Nota

Questo post è stato pubblicato su Middle East Eye il 3 novembre 2023 con il titolo “Guerra israelo-palestinese: Il gioco finale di Israele è molto più sinistro del ripristino della ‘sicurezza’”.

 

 

Fonte: GLOBAL JUSTICE IN THE 21ST CENTURY, 3 novembre 2023

Traduzione di Enzo Gargano per il Centro Studi Sereno Regis


 

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