India dopo il G20: leader a livello globale o fascismo che avanza?

Daniela Bezzi

I cani randagi che la municipalità di Delhi era riuscita a nascondere chissà dove han ripreso a scorrazzare. E quasi fin da subito si sono riempiti di nuovo i marciapiedi. Mendicanti, famiglie senza casa da sempre, famiglie rimaste senza casa all’improvviso, dopo che le loro baracche sono state rase al suolo dai bulldozers, per quella radicale Mission Abbellimento voluta da Narendra Modi in vista del G20 (e che abbiamo raccontato anche noi qui).

Dopo il breve lockdown imposto dal summit dei Grandi della Terra lo scorso week end, New Delhi è tornata ad essere la città di sempre: traffico urlante di clacson, venditori ambulanti, scimmie più che mai infestanti data la stagione – nonostante la trovata dei finti langur che avrebbero dovuto funzionare da deterrente!

Le decine e decine di sagome sparse strategicamente in vari punti del centro città, con le sembianze delle scimmie tipo-Hanuman che avrebbero dovuto tener lontani i normali macachi di New Delhi, resteranno la più eloquente illustrazione della suprema assurdità di questo G20 indiano – e dei preparativi, della vanità, del dispendio che l’hanno preceduto. In rete circolano le foto delle suddette sagome prese d’assalto e ridotte in briciole da nugoli di scimmie vere… o già un po’ scolorite per le piogge del monsone… che presto si mangerà via anche quei murales con le coloratissime raffigurazioni del Ramayana, lungo i viali afferenti alla scintillante sede degli incontri. E quanto alle centinaia di migliaia di piante in vaso che erano state posizionate un po’ ovunque: quasi tutte già sparite, Courtesy Narendra Modi Vishwa Guru.

Ma che importanza possono avere questi dettagli e furtarelli, rispetto all’indubbio successo, così unanimamente riconosciuto alla Presidenza indiana del G20! Successo sotto tutti i punti di vista per Modi, che sul fronte interno ha inaugurato come meglio non avrebbe potuto la sua roboante campagna per le elezioni del prossimo anno: non sono mancate le critiche per l’enormità dei soldi spesi in abbellimenti e demolizioni, invece che per ben più necessari interventi. Per non dire del mancato invito ad almeno qualche parlamentare dell’opposizione.

“Con tutta l’enfasi nelle comunicazioni ufficiali in tema di democrazia, inclusione e Vasudhaiva Kutumbakam (per dire che Il mondo è un’unica famiglia) sarebbe stato ovvio ricevere almeno qualche invito” ha fatto notare Shashi Tharoor parlando a nome del Partito del Congresso e con una strepitosa carriera diplomatica in CV, per cui amico personale di molti dei dignitari e funzionari che erano a Delhi. “Strano che una simile opportunità di inclusione non sia stata presa in considerazione dal governo della democrazia più grande del pianeta!”

Particolarmente applaudito, nel ruolo di instancabile tessitore dietro le quinte di quella Unanime Dichiarazione Finale considerata improbabile e quindi ancor più lodata, è stato Amitabh Kant, forte di una lunga esperienza come ex funzionario ai massimi livelli di tutti i governi degli ultimi decenni, ex responsabile del Think Tank NITI Ayog (fiore all’occhiello del Governo Modi sul fronte dell’innovazione) e dal dicembre del 2022 coordinatore dei cosiddetti sherpa che per mesi si sono adoperati nei più diversi negoziati, perché la Final Declaration riflettesse gli obiettivi del Supremo.

Una Dichiarazione che per la verità resta sul generico su tutti i fronti (soprattutto sulla guerra in Ucraina) per non indispettire nessuno e in particolare gli assenti: Putin e Xi Jinping. Successo quindi anche per i suddetti assenti, e in particolare per il Ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, fotografato a scambiarsi pacche sulle spalle con Narendra Modi, normalmente così serio e corrucciato. E ulteriore smacco per Zelenski, dopo l’umiliazione di non essere stato invitato – ma in fondo cosa importa, se pochi giorni prima del G20 l’amministrazione Biden annunciava l’ennesimo miliardo di military assistance per cui la guerra potrà continuare…

Successo per la delegazione americana, che ha solidamente lanciato quel Corridoio IMEC (India-Medio Oriente-Europa) in alternativa alla Silk Road targata Cina, che la nostra Meloni ha dichiarato di voler abbandonare, trovandosi l’Italia sulla naturale traiettoria del progetto/compagine occidentale.

Successo per le rappresentanze saudite al seguito di uno smagliante Mohammed Bin Salman che di quel corridoio sarà co-sponsor, anche perché il passaggio/pedaggio sarà in gran parte a casa sua. E successo per l’Unione Africana, che ha avuto la certezza di venire inclusa nel prossimo G20 che dal primo dicembre avrà la presidenza al Brasile, per cui ospite di Lula.

E insomma tutti vincitori e contenti: anche a distanza di giorni dalla fine del G20, sono pochissime le voci in dissonanza, sia sulla stampa indiana sia su quella internazionale.

Umar Khalid

Unica voce nettamente contro: quella di Arundhati Roy, che già dal venerdì 8 settembre (quando il  Summit stava per cominciare) era virale sul web per un’intervista rilasciata ad Al Jazeera, fortemente critica non solo sulla gestione-Modi del G20, ma circa la deliberata cecità che il resto del mondo continua a riservare a ciò che quotidianamente succede in India sul fronte dei diritti umani, in termini di maggioritarismo esplicitamente ispirato al fascismo: la vera e propria campagna d’odio nei confronti delle minoranze, non solo mussulmane, sempre più anche cristiane, con decine di chiese date alle fiamme; gli episodi di efferata violenza nei confronti delle donne, sempre più spesso oggetto di stupro nel quadro di conflitti intercomunitari istigati ad arte, nel nome di quella hindutva (supremazia indù) che è da sempre la cifra del governo Modi; le carceri stracolme di attivisti, studenti, giornalisti considerati anti-national, il dissenso regolarmente silenziato con la detenzione preventiva – e proprio ieri, 13 settembre, ci sono state in tutta l’India manifestazioni in sostegno al giovane Umar Khalid, da tre anni in prigione per aver guidato le mobilitazioni studentesche del 2019.

Ma ahimè, business is business, e “tutti sono qui in queste ore alla ricerca di un’opportunità, che si tratti di accordi commerciali, o militari, o all’interno di chissà quale geo-politica” è la risposta della Roy al giornalista che le chiede un parere sul summit che sta per iniziare. “Tutti questi capi di stato occidentali che parlano di democrazia – e possiamo chiudere gli occhi di fronte a un Trump… Ma un Biden, un Macron, che qualche mese fa hanno accolto Modi con tutti gli onori: loro lo sanno cosa succede in India, la loro stampa ne parla! Sanno dell’ostracismo verso le minoranze, degli episodi di sangue, delle case date alle fiamme o rase al suolo con le ruspe, con la collusione di tutti, magistrati, tribunali, media. Lo sanno dell’impunità riservata ai responsabili dei peggiori crimini, delle squadre di vigilantes liberi di circolare armati di spade e coltelli, aizzati allo stupro delle donne mussulmane, aizzati persino da altre donne di fede indù… Lo sanno, ma preferiscono ignorare, perché dopo tutto siamo una democrazia, il loro sdegno lo riservono ai regimi totalitari…” e così via.

Meglio insomma restare amici, con l’India di Narendra Modi che si offre come fabbrica mondiale alternativa e persino più convenente della Cina (chissà come mai), oltre che come formidabile mercato – meglio tenerselo buono il Vishwa Guru… Questi in estrema sintesi i contenuti della lunga intervista con Arundhati Roy su Al Jazeera, mentre nel cuore dell’Europa, a Losanna, la Fondazione Charles Veillon si preparava ad onorare la scrittrice per il suo coraggioso impegno, con l’ennesimo importante premio (Premio Europeo per la Saggistica, 45ima edizione) in particolare per l’ultima raccolta di saggi, uscita anche in Italia con il titolo Azadi, che è la parola urlata in Kashmir (e anche in Kurdistan) per dire Libertà.

Una due giorni, quella di Arundhati Roy a Losanna, in tale e stridente contrasto con la due giorni del G20 di Delhi, da rendere ancor più surreale la retorica del Vasudhaiva Kutumbakam così enfaticamente proposta al mondo da Narendra Modi – o da rendere ancor più incredibile l’acquiescenza con cui il mondo se l’è bevuta. La spinosa questione della cittadinanza, che fu il tema di quella lunga stagione di proteste tra il 2019 e il 2020 interrotte solo dal Coronavirus – questione quindi irrisolta. La sempre più drammatica situazione nelle terre adivasi, da sempre sotto l’assedio delle miniere e delle forzate requisizioni, per non dire del Kashmir, dove ogni libertà è soppressa.

L’inguaribile vergogna delle caste, solo teoricamente abolite ma di fatto funzionali al naturale esercizio del dominio “perché ci sarà sempre qualcuno che sta peggio di te e di cui potrai aprofittare, anche all’interno della stessa casta”.

Manifestazione contro le caste

La Costituzione in pericolo, perché se Modi vincerà anche le prossime elezioni, sono già pronti gli emendamenti e le modifiche per abbassare le ultime tutele rimaste. Su questi temi si è ragionato lunedì sera nel corso di una bella Tavola Rotonda al Teatro Vidy di Losanna, con Caroline Abu Sa’da (Direttrice di SOS Mediterranée  Suisse) e Nicola Pozza (Professore di letteratura indiana contemporanea all’Università di Losanna) nel ruolo di interlocutori.

 

 

Ma ancor più emozionante è stato l’intervento che la stessa Arundhati Roy ha pronunciato nel corso della Cerimonia di Premiazione la sera dopo, nella splendida cornice del Lausanne Palace. Ve lo proponiamo integralmente qui, per gentile concessione della stessa autrice che ringraziamo.


 

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