Appartenere alla Terra – e a un’umanità condivisa

Robert C. Koehler

I cambiamenti che la civiltà umana nel suo complesso deve apportare per salvare l’ecosistema globale, devastato dallo sfruttamento e dall’inquinamento umano, sono quasi al di là della comprensione, perché bisogna appartenere alla Terra – e a un’umanità condivisa

“. … apparteniamo alla Terra piuttosto che a una nazione…”.

Queste parole mi si conficcano nel cuore come una fede nuziale. Emanano un bagliore tagliente, un desiderio di pianto e di speranza che mi penetra nel profondo. Allo stesso tempo, mi sento circondato da un cinico “realismo”: Non essere sciocco. Un matrimonio così non è possibile. Ringrazia il fatto di essere americano. Armati! Ci stanno invadendo.

Il confine! Quando si usa questo termine, si intende praticamente sempre quello meridionale, dove i migranti muoiono nel deserto – si stima che negli ultimi 25 anni ne siano morti 10.000. Già, il confine meridionale, il punto vulnerabile dell’America, dove si radunano orde di terzomondisti che agitano i pugni, chiedendo l’ingresso e l’accesso alle nostre ricchezze, ai nostri posti di lavoro. Per molti americani la risposta è ovvia: si tratta di razzismo di base. Sono diversi da noi! Questo significa che il loro posto non è qui.

E nelle ultime settimane, con l’allentamento di tre anni di restrizioni Covid: “Seguendo l’appello dei leader politici di destra dello Stato, vigilanti armati hanno perseguitato e molestato i fornitori di aiuti umanitari durante il giorno e al calar della notte hanno radunato i bambini migranti nel buio”, scrive Ryan Devereaux su The Intercept.

Tra i loro sforzi per proteggere l’America, osserva, c’è anche quello di bucare le cisterne d’acqua che gli operatori umanitari hanno allestito lungo il confine per dare ai migranti maggiori possibilità di sopravvivenza. Questo non può essere permesso!

Ma naturalmente non sono solo i vigilantes a “difendere” il confine degli Stati Uniti. Il governo è completamente orientato alla difesa nel suo atteggiamento verso l’immigrazione. Come dice Alan Lizárraga di Border Network for Human Rights, citato da Candice Bernd di Truthout:

“Il confine non è mai stato così militarizzato come in questo momento. Abbiamo il governo statale che invia truppe qui, la Guardia Nazionale. Abbiamo anche truppe statali al confine. Abbiamo appena ricevuto altre truppe dal presidente Biden. . . . (I)nvece di creare politiche reali che aiutino a creare un sistema di immigrazione più umano e pratico, stiamo ottenendo unità di protezione delle frontiere, personale militare, più polizia, più agenti”.

È qui che vanno i soldi. È qui che va lo sforzo ufficiale del Paese: per tenere fuori dal Paese la maggior parte dei migranti disperati, magari a costo della vita (non è un nostro problema). L’inutilità e la follia della politica del nostro governo cominciano semplicemente con la crudeltà che si manifesta al confine; la separazione delle famiglie, l’ingabbiamento dei bambini, ecc. Non sto dicendo che un cambiamento verso una maggiore empatia per la condizione dei migranti richiederebbe semplicemente un cambiamento di atteggiamento. Comprendere e affrontare le cause del flusso di migranti verso il confine meridionale – le guerre, la povertà e le persecuzioni in tutto il mondo – è enormemente complesso e richiederebbe cambiamenti profondi, profondi nel nostro modo di pensare, nel nostro atteggiamento verso il resto del mondo.

Torno quindi alle parole riportate all’inizio della rubrica, tratte dal saggio di Steve Taylor su The Conversation: La mia identità principale – la nostra identità – non è quella di americani, ma di abitanti di questo pianeta, che condividiamo con altri sette miliardi di membri della razza umana, per non parlare di ogni altra specie, ogni pianta, ogni manciata di terra, ogni goccia d’acqua. In effetti, “condividere” non è proprio la parola giusta. Ehi, Presidente Biden, ascolti. Siamo tutti collegati gli uni agli altri! Siamo tutti parte di un ecosistema quasi infinitamente complesso, e faremmo meglio a fare il possibile per preservarlo. L’ultima cosa che dobbiamo fare è giocare a “Fuori di qui! Questo è mio!”.

Il punto finale che sto cercando di raggiungere – lasciatemelo dire – è che “l’America” è un’astrazione, un’entità inventata e in nessun modo dovrebbe essere la nostra prima o, per l’amor di Dio, unica preoccupazione. Un muro di confine, per esempio, che è “buono per l’America” ma dannoso per l’ambiente è un’ironia disastrosa. I cambiamenti che la civiltà umana nel suo complesso deve apportare per salvare l’ecosistema globale – devastato dallo sfruttamento e dall’inquinamento umano – sono quasi incomprensibili. Ma non possiamo iniziare ad affrontare questi cambiamenti solo come entità nazionali che bisticciano e contrattano tra loro, con l’obiettivo primario, o forse unico, dei partecipanti: gli “interessi nazionali”.

Apparteniamo alla Terra piuttosto che a una nazione.

Agire diversamente è fondamentalmente una nevrosi collettiva. Taylor, ad esempio, osserva che “quando le persone vengono fatte sentire insicure e ansiose, tendono a preoccuparsi maggiormente del nazionalismo, dello status e del successo. Sembra che abbiamo l’impulso di aggrapparci a etichette identitarie per difenderci dall’insicurezza” – etichette definite, ad esempio, da razza e nazionalità.

A mio avviso, quindi”, prosegue, “tutte le imprese nazionalistiche – come “America First” o la Brexit – sono altamente problematiche, poiché si basano sull’ansia e sull’insicurezza, quindi creano inevitabilmente discordia e divisione. E poiché il nazionalismo è in contrasto con la realtà essenziale della natura umana e delle origini umane, tali imprese si rivelano sempre temporanee. È impossibile annullare la fondamentale interconnessione della razza umana. A un certo punto, si riafferma sempre”.

Forse si potrebbe dire che questa interconnessione si è riaffermata come caos climatico globale. Il pensiero limitato ci permette di uccidere. Se agiamo con indifferenza distruttiva al di là o all’interno dei nostri confini, al di là di ciò che apprezziamo, le conseguenze arrivano sempre a casa. Una delle forme che assume, ovviamente, è il caos climatico: innalzamento del livello del mare, aria tossica, collasso degli ecosistemi. Un atteggiamento militarizzato verso altre entità nazionali – verso tutti i nostri problemi – ha portato anche a una piaga di omicidi di massa in patria.

Ma vorrei aggiungere che l’interconnessione si riafferma anche come empatia, cura e coraggio: portare acqua ai migranti al confine nel 2023, ordinare un drink in un bar di Greensboro nel 1960. Sì, possiamo superare i nostri limiti, anche quando ciò significa infrangere la legge.

 

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Fonte: Common Dream, 21 maggio 2023

https://www.commondreams.org/opinion/belonging-to-earth-not-nations

Traduzione di Enzo Gargano per il Centro Studi Sereno Regis


 

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