Stupri di guerra e violenze di genere

Vanessa Maher

Simona LA ROCCA (a cura di), Stupri di guerra e violenze di genere, EDS, Roma 2015, pp. 492.

La copertina del libro

Il grande tema che emerge da questo libro è l’occultamento, l’oblio, l’impunità, la naturalizzazione e la legittimazione della violenza sessuale e in particolare degli stupri di massa subiti dalle donne in diverse parti del mondo, anche in tempi recenti. Il tema è molto doloroso. Il libro va letto per lo sforzo di autori e autrici di portare alla luce e far sanzionare alcuni dei fenomeni più crudeli del nostro tempo. Il volume è un compendio dell’esperienza e degli studi fatti da numerosi esperti, in maggioranza donne.

La prima parte, Strumenti giuridici e politici, comprende contributi di La Rocca, Lattanzi, già giudice del Tribunale Penale Internazionale per il Ruanda e attualmente di quello per l’ex-Yugoslavia, Massidda che si occupa della rappresentanza in giudizio delle vittime davanti alla Corte Penale Internazionale e Boiana, avvocata dell’Associazione Differenza Donna di Roma e dell’ASGI. Questa sezione è preziosa come strumento di consultazione, per la descrizione dell’evoluzione dei reati sessuali nei diversi contesti storici e degli strumenti sviluppati per contrastarli, fino al riconoscimento dello stupro di guerra come crimine contro l’umanità.

La seconda parte comprende undici contributi su diversi casi di stupri di guerra (le guerre mondiali, Bosnia, Rwanda, Somalia, Nigeria, Darfur, America Latina, Kashmir, Palestina e Kurdistan, con un saggio di Milano e Tanrikulu sull’auto-organizzazione delle donne curde contro la violenza dell’ISIS). Un quarto del libro è dedicato al contesto italiano: le violenze italiane contro le donne africane in epoca coloniale e poi gli stupri di guerra subiti da decine di migliaia di italiane durante la Seconda guerra mondiale, tema ripreso nel 2014-1015 da La Rocca e Koch in progetti realizzati nelle scuole del cassinate. Le altre parti del libro riguardano le conseguenze psicosociali (Musri) e mediche (Tognoni) dello stupro e, infine, la rappresentazione delle violenze sessuali nella storia dell’arte e nelle immagini (Mandarano).

Il lungo elenco di istanze di stupri di guerra potrebbe dare l’impressione che tali violenze siano inevitabili invece di sollevare la questione di come le identità di genere e “le vittime” siano costruite. Per promuovere una discussione multidisciplinare e aiutare il libro a trovare il suo pubblico sarebbe importante sviluppare un apparato concettuale comune. Non c’è dubbio che gran parte della violenza di genere sia perpetrata da uomini contro donne, ma ci sono anche uomini e bambini fra le vittime.

D’altra parte, alcune donne sono complici negli honour killings, nel traffico sessuale, nella prostituzione e nelle mutilazioni genitali. Margaret Mead in Male and Female (1950) confrontò cinque società per dimostrare quanto arbitrariamente fossero distribuite le caratteristiche di genere e gli atteggiamenti affettivi, che non dipendono dalla biologia o dalla natura. La variazione storica e situazionale del tasso di violenza anche nelle società patriarcali va analizzata.

La Rocca nota che diversi leader militari e politici, compreso Abu Bakr, compagno del Profeta Mohamed, si adoperarono in contesti diversi per difendere la castità delle donne catturate (LaRocca2015:46).Secondo Flores (2015:146) l’antropologo Robert Hayden ritiene che gli stupri di massa abbiano luogo in situazioni di confine per rendere impossibile la condivisione di territori dove comunità differenti hanno convissuto, come in Bosnia fra il 1992 e il 1995.

Gli stupri come arma strategica servono alla pulizia etnica. Hayden confronta questa guerra con le violenze etnico-religiose in India nel 1985 dopo l’uccisione di Indira Gandhi e nel 1990 a Hyderabad, teatro di cruenti scontri tra induisti e musulmani. In questi due conflitti fra comunità destinate a convivere, ci sono stati massacri di uomini ma nessuna donna è stata stuprata.

Alcuni contributi distinguono fra la violenza quotidiana subita dalle donne e gli stupri di massa, diventati “un’arma strategica” per minare la morale e la coesione di forze nemiche. Ma anche le forze internazionali “di pace” hanno commesso degli stupri contro le donne delle popolazioni che dovevano proteggere (vedi i casi della Bosnia, della Somalia, della Sierra Leone, del Congo). L’assenza di una guerra dichiarata non significa che viga la pace. Sistemi di relazioni di genere coercitivi e conflittuali possono persi- stere.

Pauline Aweto, scrivendo della Nigeria, sostiene che «non esistono differenze specifiche fra la violenza di genere come viene perpetrata nella vita quotidiana delle donne (sequestri, matrimoni forzati, stupro coniugale e di branco, prostituzione) e quel- la usata come arma da guerra da Boko Haram» (Aweto 2015: 212). Gli honour killings, (come i“delitti d’onore”legittimati in Italia fino a pochi decenni fa), forma di violenza domestica diffusa nel Medio Oriente, ne lMediterraneo ma anche nelle Americhe, puniscono le familiari che pretendono di fare le proprie scelte.

Durante le guerre balcaniche degli anni novanta le associazioni di donne serbe e croate rivelarono che la violenza dei soldati si rivolgeva non solo contro le donne nemiche, ma anche contro le proprie familiari, cosa messa in evidenza dal 62 % delle intervistate a Haifa (Israele) e l’82 % a Gaza che vedevano correlate l’occupazione-conflitto nei territori e la violenza contro le donne (Franca Balsamo, a cura di, Violenza contro le donne in luoghi difficili. Gaza, Haifa e Torino, Torino, Regione Piemonte 2010).

Per quanto riguarda l’Italia, dopo Caporetto, ci furono molti stupri “sparsi” di donne italiane.Le “mongolate” nell’oltrepo pavese durante la seconda guerra e le “marocchinate” nel Lazio, da alcuni calcolate in 60mila in poche settimane, non erano coordinate da una strategia ma furono espressione di disprezzo delle donne, anche degli alleati, che furono trattate come bottino di guerra.

Nonostante una coraggiosa lotta da parte di parlamentari come Maria Maddalena Rossi e giornaliste come Paola Masino, le donne stuprate non sono riuscite ad avere dal governo italiano un riconoscimento materiale e morale e cure adeguate al danno subito, i comandi francesi hanno sempre negato le loro responsabilità e gli stupri, anche se ben documentati, sono stati “dimenticati” per decenni a favore di una retorica che esaltava l’eroismo degli alleati vincitori e attribuiva gli stupri a un ’“altra razza”. Ma il danno, anche se taciuto per la vergogna, rimane ben vivo nel ricordo delle vittime.

Francesca Declich esamina il silenzio mantenuto a lungo anche dalle donne somale vittime di stupro durante la loro fuga nel 1991 verso il Kenya. La memoria femminile rimane spesso silenziosa sugli stupri mentre quella maschile traduce in eroismo le proprie ferite di guerra (Declich 2015: 190-210). Il silenzio, la vergogna, l’ostracismo, la mancanza di cure delle vittime e l’impunità dei colpevoli garantiscono la legittimazione e la persistenza della violenza contro le donne. Parenti e mariti tipicamente ostracizzano le donne stuprate e i loro figli per aver compromesso l’onore della famiglia. “Onore” è un termine retorico che copre con un manto morale la pretesa degli uomini di avere più valore, più potere e più risorse delle donne.

Rina Costantino sostiene che la prostituzione, considerata “normale” in molti paesi del mondo, è in realtà “stupro consentito”, al quale molte donne sono sottoposte contro il loro desiderio (Rina Costantino, Contro il nostro desiderio, inedito in preparazione). Tola ci ricorda che Napoli fu trasformata in «un postribolo a cielo aperto» durante la seconda guerra (Tola 2015: 348). Invece di distinguere fra stupri di guerra, violenza di genere e prostituzione, sarebbe importante riconoscere che questi fenomeni sono aspetti di uno stesso sistema coercitivo di relazioni.

 

Già pubblicato in ANUAC. VOL. 5, N° 1, GIUGNO 2016: 325-327
This work is licensed under the Creative Commons © Vanessa Maher


 

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