HUMANS of the Balkans - Bratunac 2

HUMANS of the Balkans – Bratunac 2

Benedetta Pisani

Diciotto giorni nei Balcani, per incontrare persone e ascoltare le loro storie. Da Lubiana a Tirana, 55 ore di autobus e tanta voglia di condivisione:HUMANS of the Balkans – Bratunac 2

Capitolo 2 – Natura e bellezza: conversazione con Robert Golden

L’autobus ci aspettava al solito posto, di fronte al palazzo con i buchi di proiettile. Io e Robert ci sediamo vicini per continuare la conversazione iniziata poco prima nel Cultural Center di Bratunac. La sua voce è bassa, io tendo l’orecchio perché non voglio perdermi neanche una parola. La sua fotocamera è l’occhio con cui riesce a cogliere la vita in modo libero e autentico. Le sue foto, con delicatezza, assumono un ruolo fondamentale: descrivere la realtà collettiva e individuale in modo creativo. Raccontare una storia, unica e universale. Cogliere la potenza di un attimo, che non richiede parole per urlare i bisogni di chi non ha voce.

Le foto di Robert sono belle. È inevitabile fare questo pensiero quando ci si trova davanti ai suoi scatti. Ma sento che definirle così rischi di svuotarle di significato. Perché fa così paura usare la parola bellezza? E, poi, che cos’è la bellezza? Va forse oltre il concetto di estetica che abbiamo imparato ad agognare in una società capitalista, dove la bellezza è uno standard e raggiungerlo è un dovere? Ne parlo con Robert, che sul tema ha scritto molto.

“La bellezza è la conseguenza di una forma gradevole unita a un contenuto veritiero e pertinente, in grado di rispondere alle esigenze dello spettatore. […] La forma da sola senza tener conto del contenuto è decadente, e il contenuto da solo senza tener conto della forma è dogmatico. Invece, se guardando, ascoltando, leggendo l’opera, gli individui scoprono che essa li apre a visioni più ampie sulla società o a uno sguardo più profondo sull’essere umano, allora si manifesterà un’ondata di emozioni e rivelazioni, intrinseca nel concetto di bellezza: la sensazione che la vita sia appena stata modificata in meglio.”

Ragionando al contrario, non è bellezza se rafforza lo status quo. Se distoglie lo sguardo, o esclude e discrimina. Se diventa un modello a cui conformarsi, adattarsi. 

“A partire dal 1300-1500, gli artisti cominciarono a dipingere i seni nudi delle donne, simboleggiando un misto di fertilità e sensualità. Le donne idealizzate da artisti come Tiziano erano comunemente gonfie e formose, pallide, con le guance arrossate e i volti timidi. A questo punto, un ramo separato della bellezza cominciò a crescere sul tronco autocelebrativo della nuova borghesia italiana che sponsorizzava e consumava l’arte. Dopo aver liberato le loro anime dallo spiritualismo medievale e preoccupati per lo status, il potere e la ricchezza, essi vedevano le donne come vedevano le pezze di stoffa o i forzieri di monete; vedevano le donne come un altro dei loro possedimenti. Naturalmente, il valore delle donne come oggetto doveva essere valutato in base a qualche standard e la bellezza femminile divenne parte di questo processo di valutazione, ma iniziò anche a dominare il significato più ampio di bellezza.”

Questa oggettificazione della donna, inserita in una dinamica di potere patriarcale e capitalista, attiva un doppio meccanismo, distruttivo e simultaneo, di pressione estetica e oppressione sociale. Disprezzare il proprio corpo e lavorarci su per renderlo socialmente accettabile richiede molte energie e distoglie l’attenzione da altre questioni, rendendo la donna più facilmente controllabile nelle sue scelte di consumo e di vita. Così accade che le tasche delle aziende estetiche si riempiono, creando problemi che non esistono e fornendo sempre soluzioni nuove e inefficaci.

La visibilità pubblica e privata delle donne è ridotta alla mera presenza di corpi, giudicati più o meno validi in base al loro aspetto. La rappresentazione del femminile si omologa agli interessi economici, dividendo i corpi tra desiderabili e non-desiderabili allo sguardo maschile, in modo più o meno netto. Il binarismo magre-grasse, infatti, è reso ancora più estenuante dalle oscillanti richieste di mercato: magra con le curve al punto giusto, al naturale ma depilata, e così via. E, alla fine, quello che resta è la necessità di farci sempre più piccole e invisibili. Occupare meno spazio, con la conseguenza di sentirci sempre nel posto sbagliato.

Studiare la teoria mi ha aiutata a comprendere una realtà individuale e collettiva, fatta di storie diverse ma intrecciate in un nodo spesso difficile da districare: il rapporto con il cibo e i disturbi del comportamento alimentare. Nella fase critica della mia anoressia, avevo una concezione di bellezza estremamente rigida, autoriferita e intrisa di grassofobia. Cercare la bellezza non mi poneva in ascolto del mondo e delle persone che avevo intorno, ma era una corsa affannata su un percorso a ostacoli, con i paraocchi e un bibitone proteico da 5 euro al litro. 

L’autobus si ferma, siamo arrivati alla fattoria Rasadnik Neškovi?, dove ci stanno aspettando con una torta calda e tre caraffe di succo fresco di ciliegie. Facciamo una passeggiata tra gli alberi di mele verdi e i cespugli di more, mentre Victor ci racconta la storia della sua famiglia. Ha dodici anni, i capelli lunghi raccolti in una coda intrecciata e una entusiasta serietà.

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“Io e mio fratello amiamo stare a contatto con la natura. Nel tempo libero, dopo lo studio, suoniamo uno strumento musicale o aiutiamo a raccogliere i frutti maturi. Ci piace e ci fa stare bene.”

Trovare la propria passione e il coraggio di coltivarla. Uscire fuori dagli schemi e scoprire nuovi mondi possibili. Restituire valore alla lentezza e ribaltare le aspettative sociali. Non è forse questa la bellezza?


 

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