COP 27 in Egitto

COP27 in Egitto: Perdite e danni all’ordine del giorno

Tanupriya Singh

Dopo anni di pressioni da parte del Sud del mondo, la conferenza delle Nazioni Unite sul clima discuterà dei finanziamenti per le perdite e i danni legati alla crisi climatica. Più di 100 capi di Stato interverranno al vertice COP 27 in Egitto che si tiene sulla scia di gravi disastri climatici dal Pakistan alla Somalia.

Oltre 45.000 persone provenienti da 196 Paesi, tra cui 120 capi di Stato, si stanno riunendo nella città di Sharm El-Sheikh, in Egitto, dove domenica 6 novembre è iniziata la 27esima iterazione della Conferenza delle Parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, o COP27.

“Quest’anno ci riuniamo in un momento in cui l’azione globale per il clima si trova in una fase cruciale”, ha dichiarato il ministro degli Esteri egiziano e presidente della COP27 Sameh Shoukry, mentre il Paese assumeva la guida del vertice dal Regno Unito.

“Il multilateralismo è messo a dura prova dalla geopolitica, dall’impennata dei prezzi e dalle crescenti crisi finanziarie, mentre diversi Paesi colpiti dalla pandemia si sono a malapena ripresi e i disastri gravi e devastanti causati dal cambiamento climatico sono sempre più frequenti”.

La conferenza, della durata di due settimane, ha avuto un inizio ritardato a causa dei negoziati sull’agenda che si sono protratti fino a domenica mattina.

Tuttavia, un risultato fondamentale è che per la prima volta nella sua storia, la COP affronterà il tema del finanziamento delle perdite e dei danni: Al punto 8 (f) dell’ordine del giorno sono state inserite “questioni relative alle modalità di finanziamento per rispondere alle perdite e ai danni associati agli effetti negativi dei cambiamenti climatici, compresa un’attenzione particolare alla gestione delle perdite e dei danni”.

Ciò a seguito di una proposta presentata a nome del G77+Cina dal Pakistan, che si sta riprendendo dalle devastanti inondazioni che hanno ucciso oltre 1.700 persone e sommerso un terzo del suo territorio.

Da decenni ormai, i Paesi vulnerabili chiedono al Nord globale un risarcimento per affrontare i danni storici e attuali del colonialismo, del capitalismo e dell’imperialismo che hanno posto gran parte del Sud globale in prima linea nella crisi climatica.

Un gruppo di 16 Paesi, guidati da Vanuatu, sta inoltre cercando di ottenere un “parere consultivo” dalla Corte internazionale di giustizia sugli obblighi legali di tutti i Paesi per la prevenzione e la riparazione degli effetti negativi della crisi climatica.

Nel frattempo, il Nord del mondo ha sempre limitato gli sforzi per affrontare il problema delle perdite e dei danni in modo significativo. I quadri esistenti sulla questione si sono concentrati su “cooperazione e facilitazione” per “migliorare la conoscenza, la coerenza, l’azione e il sostegno”.

Le aree di “cooperazione e facilitazione” nell’ambito dell’Accordo di Parigi includono la preparazione alle emergenze, gli eventi ad insorgenza lenta, le perdite non economiche e la resilienza delle comunità, dei mezzi di sussistenza e degli ecosistemi.

Non si è parlato di finanziamenti.

Alla COP26, la richiesta di istituire un fondo per le perdite e i danni è stata bloccata dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea e alla fine si è diluita in una decisione di avere un “dialogo” sulle “modalità di finanziamento delle attività per prevenire, minimizzare e affrontare le perdite e i danni”.

Prima ancora che questo dialogo sia iniziato, il Nord globale ha ancora una volta compromesso il suo potenziale risultato, per proteggersi dalle responsabilità – Shoukry ha chiarito durante la cerimonia di apertura che i risultati delle discussioni si baseranno sulla “cooperazione e sulla facilitazione e non comporteranno responsabilità o risarcimenti”.

Inoltre, “lancerà un processo con l’obiettivo di adottare una decisione conclusiva entro il 2024”.

Il Nord globale non solo si è rifiutato di impegnarsi per il risarcimento delle perdite e dei danni, ma non ha nemmeno raggiunto gli obiettivi di finanziamento stabiliti dagli accordi internazionali.

Manipolazione e lacune nei finanziamenti per il clima

Nel 2009, i Paesi ricchi hanno concordato di fornire finanziamenti per 100 miliardi di dollari all’anno fino al 2020 per aiutare i Paesi vulnerabili a rispondere ai cambiamenti climatici. Questo obiettivo è stato costantemente mancato. Non solo, l’analisi ha rilevato che i Paesi responsabili hanno intenzionalmente utilizzato una contabilità ingannevole per travisare i finanziamenti per il clima, gonfiando i loro contributi ai Paesi vulnerabili fino al 225%.

La cifra riportata dei finanziamenti pubblici per il clima forniti nel 2020 è stata di 68,3 miliardi di dollari, a cui si aggiungono altri 15 miliardi di dollari di finanziamenti privati e crediti all’esportazione, già molto lontani dai 100 miliardi di dollari promessi. Oxfam ha scoperto che il “vero valore” dei fondi erogati si aggira tra i 21 e i 24,5 miliardi di dollari.

Allo stesso tempo, oltre il 70% dei finanziamenti pubblici per il clima sono in realtà prestiti, che intrappolano ulteriormente i Paesi più poveri nel debito. Per il Senegal, l’85% dei finanziamenti per il clima è stato erogato sotto forma di prestiti, ovvero di debito.

Nel frattempo, l’ultima analisi di Carbon Brief ha rivelato la misura in cui i Paesi ricchi stanno venendo meno all’impegno di 100 miliardi di dollari. Gli Stati Uniti sono responsabili del 52% delle emissioni storiche rilasciate dai Paesi ricchi e industrializzati. Di conseguenza, Carbon Brief afferma che devono contribuire con 39,9 miliardi di dollari all’impegno annuale.

In realtà, gli Stati Uniti hanno fornito meno di 8 miliardi di dollari di finanziamenti nel 2020, l’ultimo anno per cui sono disponibili i dati. Anche Paesi come il Canada, il Regno Unito e l’Australia non hanno versato la loro quota proporzionale, mancando di 1,4-3,3 miliardi di dollari.

“Nessun percorso credibile per arrivare a 1,5 C”

Proprio mentre prendeva il via la COP27, l’Organizzazione meteorologica mondiale delle Nazioni Unite (WMO) ha pubblicato il rapporto intermedio “Stato globale del clima”, in vista della pubblicazione definitiva nell’aprile 2023. Il WMO ha rilevato che gli ultimi otto anni sono stati i più caldi mai registrati. Ha aggiunto che quest’anno la temperatura media globale sarà di 1,15°C al di sopra dei livelli preindustriali.

Il livello dei mari si sta innalzando a un ritmo doppio rispetto al 1993 e la presenza di anidride carbonica, protossido di azoto e metano nell’atmosfera ha raggiunto livelli record.

Mentre i giganti dei combustibili fossili come Shell, BP e Total Energies rastrellano miliardi di dollari approfittando della crisi del costo della vita che colpisce le persone in tutto il mondo, l’agenzia per l’ambiente delle Nazioni Unite ha avvertito che “non esiste un percorso credibile per arrivare a 1,5 C”. Anche se gli attuali impegni per l’azione entro il 2030 saranno rispettati nella loro interezza, l’aumento globale della temperatura raggiungerà comunque i 2,5°C, provocando eventi climatici disastrosi.

Dopo la COP26, solo 29 Paesi su 194 hanno presentato nuovi piani d’azione nazionali, e anche in questo caso gli impegni aggiornati toglieranno solo circa l’1% delle emissioni nel 2030. L’entità dei tagli effettivamente necessari per raggiungere l’obiettivo di 1,5°C è del 50%.

Nel frattempo, entro il 2030, le emissioni di carbonio dell’1% più ricco della popolazione mondiale supereranno di 30 volte il livello compatibile con la soglia dell’1,5C. Si stima che tra otto anni 132 milioni di persone saranno spinte in condizioni di estrema povertà a causa della crisi climatica. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, tra il 2030 e il 2050, 250.000 persone in più moriranno ogni anno per malnutrizione, malaria, diarrea e stress da caldo.

Le ricerche hanno rilevato che il caldo estremo aumenterà in modo sproporzionato i tassi di mortalità nei Paesi più poveri.

Secondo queste analisi, ci sono milioni di persone che semplicemente non hanno la possibilità di pensare alla crisi climatica come a qualcosa che avrà un impatto su di loro a 20, 8 o addirittura 1 anno dal futuro.

“Bisogna preoccuparsi del presente”

“Quale futuro?” Lo storico e giornalista Vijay Prashad aveva chiesto al Summit dei popoli per la giustizia climatica, tenutosi a margine della COP26 ufficiale, “I bambini del continente africano, dell’Asia, dell’America Latina, non hanno un futuro, non hanno un presente… dovete preoccuparvi di adesso”.

“2,7 miliardi di persone non possono mangiare ora e voi dite alla gente di ridurre i consumi. Come suona a un bambino che non mangia da giorni?”.

19 milioni di bambini fanno parte dei 38,7 milioni di persone in Pakistan, Nigeria, India, Ciad e Sud Sudan che sono state colpite dalle inondazioni tra agosto e ottobre 2022. I Paesi dell’Africa orientale stanno affrontando la peggiore siccità degli ultimi decenni: in Somalia, 6,7 milioni di persone sono a rischio di insicurezza alimentare acuta, di cui oltre 300.000 rischiano la carestia entro la fine del 2022.

Complessivamente, Carbon Brief ha rilevato che gli eventi meteorologici estremi hanno ucciso almeno 4.000 persone e colpito altri 19 milioni di persone in Africa solo nel 2022. Oltre il 70% dei rifugiati nel mondo proviene dai Paesi più vulnerabili ai cambiamenti climatici, tra cui Afghanistan, Repubblica Democratica del Congo, Yemen e Siria. È importante notare che la maggior parte di questi Paesi ha dovuto affrontare anni di interventi imperialisti e guerre.

L’Asia occidentale e il Nord Africa si stanno riscaldando a un ritmo doppio rispetto alla media globale. Gravi incendi hanno imperversato dall’Algeria, all’Australia, agli Stati Uniti.

Le Filippine, che registrano una media di 20 tempeste e tifoni all’anno, sono state appena colpite dalla tempesta tropicale Nalgae, che ha ucciso più di 100 persone e ha causato inondazioni e frane diffuse. Alcune zone dell’America Latina sono state colpite da diversi uragani in rapida successione.

Mentre i vari capi di Stato si preparano per gli incontri a porte chiuse e i discorsi pubblici alla COP27 tra il 7 e l’8 novembre, qualsiasi impegno per affrontare la crisi climatica deve riconoscere le vulnerabilità e le disuguaglianze sproporzionate.


Fonte: Peoples Dispatch, 7 novembre 2022

 

Traduzione di Enzo Gargano per il Centro Studi Sereno Regis


 

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