Il sorriso dell’arcobaleno. In memoria di Sarah Hegazi | Benedetta Pisani
Nel mondo in cui viviamo, non essere eterosessuali e cisgender è pericoloso.
Un mondo duramente improntato su un concetto di “selezione darwiniana”, patriarcale e suprematista, in cui il più forte è l’uomo, bianco e eterosessuale.
Un mondo che strabuzza gli occhi per un bacio rainbow e li chiude di fronte al buio dell’odio e della violenza.
Sarah Hegazi, una delle più note attiviste per i diritti LGBT+ in Egitto, ci ha provato a sopravvivere, in questo mondo. Ma il dolore era diventato insopportabilmente logorante, portandola a scegliere la forma più estrema e straziante di libertà.
Era il 22 settembre del 2017, quando Sarah è stata fotografata da un amico, al Cairo, mentre sventolava fiera e sorridente una bandiera arcobaleno durante un concerto dei Mashrou’ Leila, un gruppo di cinque ragazzi di Beirut che, a suon di pop, sta cambiando la cultura musicale nel mondo arabo, facendo da colonna sonora alle battaglie sociali e civili che vedono in prima fila le giovani generazioni.
I testi rivoluzionari, avvolti nel ritmo moderno di melodie tradizionali, toccano con delicatezza e decisione tutti i tabù sessuali, socio-economici ed etnico-religiosi di una società fortemente repressiva, soprattutto nei confronti della comunità LGBT+.
L’Egitto – e non solo, purtroppo – sembra essere immobile. Fermo ai tempi dei moti di Stonewall.
Gli investigatori della polizia, sotto copertura, preparano agguati nei bar o per le strade, dove aggrediscono e arrestano persone omosessuali. Viene da chiedersi come facciano a riconoscerle… Hanno, per caso, qualche caratteristica fisica singolare? Della serie, naso aquilino alla giudea?
L’idea è, più o meno, quella. E questa feroce stigmatizzazione costringe spesso all’invisibilità.
Sarah non voleva essere invisibile. Ma per il Paese in cui è nata, la sua anima, forte e combattiva, era troppo. Troppo ingombrante. Troppo colorata.
Sarah è stata incastrata. Arrestata e torturata. Umiliata e stuprata dalle altre detenute su incitamento degli agenti penitenziari. Trattenuta per mesi nelle carceri del Cairo, dove è stata sottoposta a elettrocuzione. Vittima di un sistema corrotto, crudele e depravato, dal quale aveva deciso di allontanarsi, trasferendosi in Canada. Ma né la lontananza dall’Egitto né il tempo hanno potuto lenire l’atroce sofferenza di un animo traumatizzato dalle brutture del mondo.
E la responsabilità è nostra. Di una società che disprezza e zittisce chi non è conforme alle regole eteronormate che essa stessa impone.
Il sorriso di Sarah, incorniciato dai sei brillanti colori della rainbow flag, pieno di fierezza e speranza, si è spento. È stato oscurato dall’ombra dell’ignoranza e dalla torpidezza di un razzismo sistemico, occultato in nome della cultura tradizionale.
E la responsabilità è nostra, perché non siamo stati in grado di difendere lei e tanti altri giovani attivisti/e, come Giulio Regeni e Patrick Zaky, desiderosi di far emergere la crudele verità e debellare l’orrore che si cela dietro le sbarre di un regime che non ci azzardiamo nemmeno immaginare.
Il cambiamento può avvenire solo nel momento in cui lo si rivendica.
Quando a essere divulgata sarà la vera informazione, non quella manipolata per compiacere lo spettatore sordo.
Quando chi è soggetto a un controllo sociale, cieco e spietato, sarà ascoltato. E chi vi assiste muto, responsabile e vittima di quella stessa oppressione, sarà educato ad agire per salvare se stesso e chi viene costantemente privato della forza per salvarsi da solo.
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