25 aprile: nessuna Liberazione se non usciamo dalla NATO


25 aprile: nessuna Liberazione

A 76 anni dalla fine del Secondo conflitto mondiale e a oltre 30 dalla caduta del muro di Berlino, che scopo può avere la NATO se non quello di continuare ad alimentare il “complesso militare industriale” aumentando pericolosamente le tensioni a livello mondiale? Non possiamo festeggiare il 25 aprile se non comprendiamo l’urgenza di liberarci di tutte le basi americane e di morte che ci sono sul nostro territorio: nessuna Liberazione se non usciamo dalla NATO.

Per rivendicare questa scelta di autonomia e libertà serve coraggio! Gli Stati Uniti, dopo aver contribuito a liberarci dal fascismo, hanno reso il nostro Paese una “colonia” del loro immenso impero. Ci fu un “passaggio di chiavi da un carceriere all’altro, Piano Marshall oblige!” e ci siamo ritrovati in casa dei nuovi padroni. La retorica della libertà e della democrazia ci ha fatto accettare persino l’inaccettabilità della bombe atomiche sganciate dagli ameriKani sulle popolazioni di Hiroshima e Nagasaki.

IL SONNO DELLA RAGIONE GENERA MOSTRI, SVEGLIAMOCI!

Un impero che controlla, oltre all’economia e alla finanza mondiale, le principali rotte marittime, con le sue 800 basi (numero ufficiale) presenti in tutto il mondo tiene l’intero pianeta in una permanente condizione di belligeranza. Questa rete immensa ai quattro angoli del pianeta, impone sugli Stati il progetto di potere globale made in USA. 

Sottrarre terreni alla sovranità di altri paesi, stanziare militari in paesi stranieri, controllare proprietà o averle nella propria disponibilità, mette a nudo lo squilibrio dei rapporti di forza tra gli USA e il resto del mondo.  

Siamo moralmente implicati, perciò dobbiamo analizzare e denunciare la condizione della realtà presente. E la realtà sono anche le basi nucleari che abbiamo in Italia, a Ghedi e ad Aviano, qui  gli Usa hanno parcheggiato le loro bombe atomiche. Complici degli ameriKani anche noi siamo dispensatori di morte e di rapina, non possiamo chiudere gli occhi davanti all’imperialismo italiano, non possiamo credere ancora alla favoletta degli italiani “brava gente”.

Partecipiamo a ben 41 missioni internazionali, con un impiego di circa 8.600militari. Nel 2019 il costo complessivo di queste occupazioni militari in paesi altrui sono costate 1.100 milioni di euro, ed appena un centinaio di milioni per la cooperazione allo sviluppo, in un rapporto spesa militare/cooperazione di 10 a 1. Ma perché tutti purtroppo i partiti o sedicenti movimenti appoggiano la nostra presenza militare, non raramente sanguinaria all’estero? Sicuramente per sostenere quella struttura imperiale al cui vertice ci sono gli Stati Uniti, ma anche e non secondariamente per supportare i capitalisti italiani nello sfruttamento disumano di lavoratori africani e asiatici e per assicurare loro di continuare a rapinare le risorse minerali e naturali dei territori in cui sono insediati. (vedi come esempi ENI e Salini Impregilio).

In Italia ci sono ben 113 basi americane dichiarate, senza contare quelle in mare ed altre 20 totalmente segrete, non si sa dove sono né che armi e che mezzi vi stazionino. Peraltro l’Italia fa parte e partecipa all’Alleanza atlantica con il proprio apparato militare e si pregia delle sue “missioni di pace” rendendosi complice della politica di occupazione e ingerenza in altri Stati. 

Senza probabilmente saperlo, ogni anno gli italiani versano in media oltre 400 milioni di euro per il mantenimento di ufficiali e soldati dell’esercito USA sul nostro territorio, questo è il frutto amaro di accordi presi tra le 2 nazioni dopo la Seconda guerra mondiale

L’Italia e gli Stati Uniti il 20 ottobre del 1954 hanno stipulato un accordo-quadro di massima segretezza che regola bilateralmente lo status delle basi e delle infrastrutture militari americane in Italia: l’Accordo Bilaterale sulle Infrastrutture, noto anche come “Accordo ombrello” per l’ampiezza della sue disposizioni. Molti altri sono stati i Trattati a lungo segreti, segretezza un tempo condivisa con il successivo Shell Agreement del 1995, finché il governo D’Alema non ne decise la pubblicazione in seguito all’incidente del Cermis del 1999 quando un aereo da guerra Usa, volando ad alta velocità e a quota molto bassa, tranciò i cavi della funivia causando la caduta della cabina e uccidendo 20 persone, questo non senza polemiche specie da parte americana.

Per sostenere l’ipertrofico apparato militare, gli Usa sono diventati un’economia di guerra. In questa corsa agli armamenti hanno trascinato tutti. Nel 2019 secondo l’istituto svedese SIPRI, si sono spesi globalmente 1.917 miliardi di dollari per la difesa, 5,25 miliardi al giorno in aumento del 3,6% rispetto all’anno precedente.

La spesa Usa è cresciuta del 5,3% rispetto al 2018, fino a 732 miliardi di dollari

Nel 2019 la spesa globale per la Difesa ha rappresentato il 2,2% del Pil globale, pari a circa 249 dollari a persona.                 

Al secondo posto nella classifica SIPRI si conferma la Cina, che sale a 261 miliardi. L’Italia spende 1,42% del PIL 27,5miliardi quantificabile in 75 milioni di euro al giorno. In un Paese come il nostro, devastato dal Covid 19 e dall’austerity, con questa somma, quanti malati potrebbero essere curati? Quanti ospedali potrebbero essere costruiti? Quanto territorio potremmo mettere in sicurezza? Strade e scuole riparate, scolari istruiti, persone in difficoltà aiutate? Invece sono gettati via per guerre e armamenti che seminano morte e sofferenza e di conseguenza ci espongono al rischio di attentati definiti, con una certa dose di ipocrisia, “terrorismo”, quando gli USA e la NATO terrorizzano il pianeta. 

Basterebbero 40 miliardi per porre fine alla fame nel mondo e ogni anno muoiono per malnutrizione dai 30 ai 50 milioni di persone.

Nonostante il nostro Paese abbia firmato il Trattato di non proliferazione nucleare, ratificato nel 1975, sul nostro territorio ci sono circa 40 bombe atomiche, le vecchie B61, che verranno prossimamente sostituite con le nuove B61/12 per i nuovi F35.

Il 22 gennaio 2021 – 75 anni dopo Hiroshima – è entrato  in vigore il nuovo trattato per la proibizione delle armi nucleari (TPAN), un presupposto di Democrazia Mondiale.Nel 2017 con il voto favorevole in sede ONU di 121 Stati e la ratifica da parte di 51, finalmente la maggioranza degli Stati ha deciso di attuare l’obbligo internazionale :“di perseguire in buona fede e concludere negoziati che conducano ad un disarmo nucleare globale e sotto un rigido ed effettivo controllo internazionale”.

Gli Stati nucleari e la stessa NATO hanno addirittura cercato di boicottare una decisione a larghissima maggioranza dell’Assemblea Generale, opponendo una strenua resistenza, anche con atteggiamenti ricattatori verso gli altri Stati e i loro alleati incluso l’Italia, rifiutandosi illegittimamente di partecipare alle trattative e di aderire a questo nuovo Trattato che proibisce la minaccia, l’uso, il possesso, la produzione e la vendita delle armi nucleari ed hanno, in data 4 dicembre 2019, dichiarato da Londra : La “NATO will remain a nuclear alliance.(rimarrà un’alleanza nucleare).

Anche il movimento pacifista bresciano si è mobilitato attraverso l’adesione di 51 associazioni  denunciando il comportamento irresponsabile e subalterno del governo del nostro paese condividendo e sottoscrivendo la lettera aperta di IALANA Italia  (Associazione internazionale di avvocati contro le armi NUCLEARI), indirizzata alla presidenza del Consiglio invitando a firmare e ratificare il Trattato di proibizione delle armi nucleari.

La base militare di Ghedi, Base dell’US-Air-Force (USAF) stazione di comunicazione e deposito,  ha nel suo seno 20 ordigni nucleari secondo Hans Kristensen, considerato un’autorità a livello internazionale in materia di armamenti, componente della Federation of American Scientists, il quale dichiara che c’è un “accordo bilaterale segreto ma noto da anni col nome in codice Stone Ax” che consente agli americani di stoccare le loro armi nel nostro paese e che nuove bombe, le B61/12 sostituiranno le vecchie B61. Il loro arrivo in Italia è previsto tra il 2022 e il 2023.

Nel frattempo nella base di Ghedi sono iniziati i lavori per realizzare la principale base operativa dei caccia F-35A dell’Aeronautica italiana armati di bombe nucleari. La Matarrese spa di Bari, che si è aggiudicata l’appalto con un’offerta di 91 milioni di euro, costruirà un grande hangar per la manutenzione dei caccia (oltre 6.000 m2) e una palazzina che ospiterà il comando e i simulatori di volo, dotata di un perfetto isolamento termoacustico «al fine di evitare rivelazioni di conversazioni». SI realizzeranno due linee di volo, ciascuna con 15 hangaretti dove saranno parcheggiati i caccia pronti al decollo.

Questo conferma il progetto varato dall’allora ministra della difesa Roberta Pinotti che prevedeva lo schieramento di almeno 30 caccia F-35A. L’area in cui verranno dislocati gli F-35, recintata e sorvegliata, sarà separata dal resto dell’aeroporto e Top Secret. Il perché è chiaro: accanto ai nuovi caccia saranno dislocate a Ghedi, in un deposito segreto che non compare nell’appalto, le nuove bombe nucleari statunitensi B61/12. Come le attuali B61 di cui sono armati i Tornado PA-200 del 6° Stormo, le B61/12 saranno controllate dalla speciale unità statunitense (704th Munitions Support Squadron della U.S. Air Force), «responsabile del ricevimento, stoccaggio e mantenimento delle armi della riserva bellica USA destinate al 6° Stormo Nato dell’Aeronautica italiana».

L’ItaliaStato non-nucleare – aderente al Trattato di non-proliferazione che gli vieta di avere armi nucleari sul proprio territorio, svolge la sempre più pericolosa funzione di base avanzata della strategia nucleare Usa/Nato contro altri paesi. Dato che un F/35 può trasportare nella stiva interna 2 B61/12, si ipotizza che solo i 30 F-35A di Ghedi avranno una capacità di almeno 60 bombe nucleari. 

É bene considerare anche che un’ora di volo di un F-35A – documenta la US Air Force – costa oltre 42.000 dollari. Ciò significa che solo le 5.000 ore di volo effettuate dagli F-35 di Amendola (provincia di Foggia) sono costate, alle nostre casse pubbliche 180 milioni di euro.

L’Italia rimane il paese europeo  col più alto numero di bombe  nucleari e l’unico paese con due basi nucleari: Aviano e Ghedi. E dovremmo mettere in conto anche la possibilità, segnalata dalla FAS (Federation of American Scientists), di Cruise con testata atomica a bordo della VI Flotta USA con comando a Napoli. La VI Flotta attracca nei numerosi  porti italiani ufficialmente a rischio nucleare.

Con l’insediamento del nuovo governo Draghi, che non risponde certo al volere e alle attese degli elettori italiani, si fotografa meglio il futuro del nostro paese. La collocazione dei vari personaggi designati nei luoghi strategici ci fa capire la prospettiva. Quando Cingolani, un ex dirigente di Leonardo S.P.A. (azienda italiana attiva nei settori della difesa, dell’aerospazio e della sicurezza) diventa ministro alla Transizione Ecologica, un ex ministro degli Interni come Minniti direttore di MedOr (nuovo centro studi di Leonardo sul Medio Oriente), un generale dell’Esercito come Figliuolo diventa Commissario Straordinario all’emergenza Covid e l’ex Capo della polizia Gabrielli ottiene la delega ai Servizi Segreti, dovrebbe saltare agli occhi l’intreccio profondo tra apparato poliziesco-militare e il settore dell’industria bellica, cosi come la prospettiva di gestione statale delle potenziali tensioni sociali in epoca di Covid: guerra alla popolazione come possibile nemico interno, a cominciare da chi non abbassa la testa. 

Non peraltro nel programma del governo Draghi si prevede l’acquisizione di nuove armi e un incremento della spesa militare. Ad aprire a questa possibilità è stato il Parlamento, che attraverso il dibattito delle Commissioni Difesa di Camera e Senato ha approvato all’unanimità i pareri consultivi relativi, introducendo nuove priorità e limitandone altre e accantonando le proposte delle organizzazioni della società civile e del mondo del lavoro. È cosi che il settore entra nel PNRR  (Piano nazionale di Ripresa e Resilienza). La politica italiana dunque preferisce sedersi al tavolo con le principali aziende militari italiane e immaginare di girare a loro fondi destinati alla ripresa del paese.

Alle audizioni delle Commissioni di Camera e Senato hanno partecipato rappresentanti dell’industria militare, la Federazione aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza, l’Associazione nazionale produttori armi e munizioni sportive e civili, e naturalmente il colosso industriale Leonardo spa (da cui proviene il ministro della Transizione Ecologica Cingolani). Questa appropriazione indebita di fondi, snatura l’introduzione del PNRR che prefigurare un futuro di pace e di riconciliazione con la natura, andando esattamente nella direzione opposta, sostenendo quanto dichiarato dal capo del Dipartimento della Protezione Civile Fabrizio Curcio, nominato da Mario Draghi, «Siamo in guerra e ci vogliono norme da guerra». È stato preso alla lettera. Anziché aumentare e migliorare il sistema di difesa civile e di prevenzione dei conflitti, si preferisce rafforzare il potere della dittatura della armi.

Draghi, dunque ritiene che la ripresa del nostro Paese si possa realizzare anche favorendo la corsa agli armamenti dirottando una parte dei fondi europei, in arrivo con il Recovery plan, verso la filiera militare delle armi. promuovendo l’attività di ricerca e di sviluppo delle nuove tecnologie, adottando una visione organica del settore della Difesa, in grado di dialogare con la filiera industriale coinvolta, in un’ottica di collaborazione con le realtà industriali nazionali. Un chiaro segnale che questo sistema e questo governo stanno lavorando per la guerra. Questo sta a significare che utilizzeranno i fondi destinati alla Next Generation in un’ operazione di greenwashing per produrre nuovi armamenti e aumentare i finanziamenti di un settore che già riceverà almeno il 18 per cento (quasi 27 miliardi di euro) dei fondi pluriennali di investimento attivi dal 2017 al 2034. 

Anche se “green” le bombe non portano sviluppo e non garantiscono futuro, sono sempre strumenti di morte. La produzione e il commercio delle armi impattano enormemente sull’ambiente. Le guerre, oltre alle incalcolabili perdite di vite umane, lasciano distruzioni ambientali che durano nel tempo. Ne consegue che la lotta al cambiamento climatico può avvenire solo rompendo la filiera bellica! L’uomo si trova in contrasto con la natura e se noi non rispettiamo le sue regole la natura con noi non può trattare. Per queste ragioni diventa sempre più urgente e necessario uscire dalla NATO e da questa logica di morte per riprenderci la sovranità e neutralità del paese e decidere del nostro futuro.

Dovrebbe saltare agli occhi di tutti che le guerre e gli armamenti sono solo un affare per i padroni che impongono il loro volere sull’intera umanità. 

Quando si scrisse la Costituzione nata dalla Resistenza Partigiana, si segnò un trionfo della democrazia e un argine a nuove derive totalitarie. Sarebbe opportuno partire proprio da quei 139 articoli iniziando a renderli praticabili, rammentando che: 

la sovranità appartiene al popolo e non ai padroni!!!

Solo così potremo festeggiare e comprendere davvero il 25 aprile


Donne e Uomini contro la guerra / CentroSociale28maggio


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