Oltre mille villaggi uniti nel ricordo della ragazza violentata

Daniela Bezzi

Il 14 ottobre è una data importante per l’India, in particolare per l’India dei Dalits. E l’anniversario di quel giorno, nel 1956, in cui Ambedkar – considerato il padre della Costituzione indiana oltre che una formidabile fonte di ispirazione per tutti gli intoccabili dell’India – ha esemplarmente annunciato la sua conversione al buddhismo, come unica possibile uscita da una disuguaglianza sociale sancita addirittura su base religiosa, legittimata come è noto dal Manusmriti o Codice di Manu.

Quest’anno, per ricordare quella data, l’India degli intoccabili che solo poche settimane prima aveva sofferto l’ennesimo sfregio, con la notizia di quell’orrendo stupro di gruppo nei confronti di una ragazza diciannovenne in località Hathras, UP – è riuscita a regalarsi una celebrazione molto speciale, che ha visto la partecipazione di oltre 30.000 persone in 1000 diversi villaggi sparsi in tutti gli stati dell’India.

In Uttar Pradesh dove ha avuto luogo lo stupro, e nel contiguo Bihar, in Jharkhand, Madhya Pradesh, West Bengal, Odisha, Punjab, Haryana, Himachal Pradesh, Rajasthan, Gujarat, Maharashtra, Telangana, Andhra Pradesh, Tamilnadu, Karnataka, migliaia di donne, adolescenti, bambini, anche uomini, insomma in tanti, di ogni età, si sono ritrovati a una certa ora del giorno tutti insieme per onorare la memoria della ragazza stuprata – e per riconoscerle sebbene da già morta e incenerita, l’onore dell’haldi, la tradizionale aspersione della polvere di curcuma sul corpo di un defunto, prima che il suo corpo venga cremato. Il supremo sfregio inflitto infatti non solo alla ragazza ma persino alla famiglia, è stata la decisione di procedere “d’autorità” alla cremazione senza invitare nessuno, privando soprattutto la madre del diritto di vedere sua figlia un’ultima volta almeno in viso, almeno per deporre quel puntino di polvere arancione sulla fronte. Una decisione motivata dalla necessità (secondo il Governo dell’Uttar Pradesh) di limitare gli assembramenti, ma che ha avuto l’effetto di accendere ovunque in India la protesta, soprattutto all’interno delle comunità Dalit che si sono sentite due volte ferite.

Questa bellissima e corale iniziativa è stata lanciata da un attivista dei Diritti Umani del Gujarat, tale Martin Macwan, che insieme alla giovane artista Shiraz Husain ha concepito un semplice poster, con l’immagine di una giovane che si copre il volto con le mani, come per difendersi. Il disegno è stato poi inviato in PDF ovunque fosse possibile, con l’invito di stamparne un tot di copie – e proponendo alla popolazione di performare su quel foglio di carta appeso al muro, o appoggiato a una sedia, o tenuto in mano come fosse un cartello, il rito che i genitori della vittima non avevano potuto fare sulle sue spoglie.

Le foto che ci sono arrivate e che qui condividiamo, descrivono una risposta ovunque commovente: di lumini che rischiarano la serietà e il dolore sul volto delle donne, di anziane che a malapena stanno in piedi e di bambini che si ergono in punta dei piedi per punteggiare con il pollice intinto nella curcuma quel poster fresco di copisteria attaccato al muro.

Soprattutto descrivono una collettività che dopo essere stata così ingiustamente e profondamente ferita, ha trovato il modo di raccogliersi e uscire fuori, tutti insieme. Insieme in marcia, con megafoni e bandiere – o tutti intorno seduti anche tra uomini, per parlare, riflettere, dare voce all’umiliazione, per sentirsi uniti almeno tra di loro. E più forti, nell’unità.

Grazie all’India per queste immagini. E Grazie a Sannaki Munna, che ce le ha inviate.

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