Dana Lauriola: lo sdegno non basta | Controsservatorio Valsusa

Non bastano le parole per esprimere il più profondo sdegno per la decisione del Tribunale di sorveglianza di Torino di negare misure alternative al carcere a Dana Lauriola, rea di aver manifestato pacificamente. Altrettanto sdegno provocano le motivazioni contenute nella sentenza del tribunale di sorveglianza: Dana deve andare in carcere perché non intende rinunciare alla sua militanza No Tav.

Il Controsservatorio Valsusa, che da quando è nato denuncia l’accerchiamento mediatico, politico e giudiziario di un movimento di lotta popolare qual’è il movimento No Tav, trova oggi l’ennesima conferma di quanto forte e ingiustificato sia l’accanimento giudiziario nei confronti di numerosi suoi militanti: basti pensare a Luca Abbà, a Nicoletta Dosio, a Dana Lauriola ed a tanti altri ancora.

In questi anni, nei confronti di militanti No Tav non sono bastate infamanti accuse di terrorismo  che hanno lasciato segni profondi nell’opinione pubblica e hanno provocato inutili sofferenze agli accusati, nonostante siano state poi respinte dalla stessa Cassazione; non sono bastati centinaia di processi conclusi con pene spropositate nel caso di reati accertati di lieve entità; non sono bastati processi conclusi poi con assoluzioni piene, nati da accuse infondate: basti pensare a Erri De Luca in relazione alle azioni di sabotaggio.

Oggi in Val di Susa il contrasto alla resistenza No Tav si manifesta soprattutto attraverso interventi della magistratura che “oggettivamente” si prestano a una lettura politica: ciò emerge sia dalla gravità delle accuse di fronte alla mancanza di adeguate evidenze che dal numero abnorme di imputati che non ha eguali nella storia del nostro paese.

Questo contrasto, che si configura come un’azione repressiva non giustificata, si palesa anche nella sproporzione delle condanne in relazione alla gravità dei reati accertati: nel caso di Dana, anche qualora si dovesse riconoscere il reato di violenza privata (peraltro escluso dalle evidenze processuali) è significativo che a fronte di una pena minima di 15 giorni sia stato applicato il massimo di due anni: due anni in carcere!

L’inaccettabile azione repressiva emerge anche dal numero e dall’entità delle misure di polizia inflitte a centinaia di militanti che, in assenza di una qualsiasi ipotesi di reato, vedono fortemente limitate le loro libertà attraverso obblighi di dimora, divieto di accesso in numerosi comuni della valle, ritiro della patente e altro ancora. Si evidenzia anche nella continua reiterazione di ordinanze prefettizie che, senza giustificati motivi di ordine pubblico, limitano fortemente la circolazione dei cittadini nella valle e si manifesta con evidenza nella militarizzazione di ampie aree e nella quantità di controlli di polizia tesi a dissuadere in ogni modo la partecipazione a pacifiche azioni di protesta.

La decisione del Tribunale di sorveglianza nei confronti di Dana è insomma solo l’ultimo atto, in ordine di tempo, di un potere giudiziario e di altri organi dello Stato che, piuttosto che limitarsi a punire i reati e fare opera di prevenzione, si propongono l’obiettivo di restringere con ogni mezzo la libertà di dissenso applicando la regola del “colpirne uno per educarne cento”. La Val di Susa rischia di diventare un laboratorio anche su questo terreno.

Di fronte a questa situazione lo sdegno non basta.

Occorrono iniziative politiche capaci di porre un freno al dilagare di metodi indegni di una democrazia. Occorre un ripensamento nel caso di Dana e di altre situazioni riconducibili ad analogo contesto. Occorrono un percorso e un confronto politico capaci di ridare spazio alla libertà di dissenso e dignità al conflitto sociale: ché di questo in definitiva si tratta nel caso della resistenza No Tav, così come nel caso di tante altre resistenze che nel paese chiedono un ascolto dei cittadini.

La nostra Costituzione ci dice che il conflitto sociale è il sale della democrazia, uno Stato che non punta a governare questo conflitto ma si limita a reprimerlo tradisce la Costituzione e si avvia su una china pericolosa.

Occorre fermare questa deriva, occorrono un impegno ampio e un confronto politico capaci di invertire la rotta. Questo è il percorso che proponiamo a tutte le forze sociali, alle forze politiche, al Parlamento, alla Magistratura, a tutte le istituzioni.

E in questo percorso va considerata anche l’ipotesi di un’amnistia sociale ricordando che all’indomani delle lotte operaie del ‘68 questo strumento è stato utile ed efficace.

In continuità con l’impegno degli scorsi anni contro la repressione giudiziaria dei Movimenti, il Controsservatorio Valsusa si impegna a promuovere da subito iniziative, a livello locale e nazionale, capaci di coinvolgere nell’analisi e nell’azione le realtà associative ed accademiche della giurisprudenza, ma anche aggregazioni di cittadini che si battono per la salvaguardia della democrazia e l’attuazione della Costituzione e dei diritti fondamentali dei Popoli.

Torino, 24 settembre 2020

2 commenti
  1. marialuisa
    marialuisa dice:

    la fiducia nella Magistratura ed in particolare nel Tribunale di Torino ne esce quasi azzerata da un caso come questo.
    L'aver condannato al carcere per due anni una persona giovane che vive del suo lavoro vuol dire volerla proprio rovinare dal punto di vista umano e lavorativo. Poi le motivazioni suonano proprio come un ritorno al periodo della dittatura che pensavamo di aver definitivamente superato. Esse ledono il diritto al dissenso espresso in modo pacifico. Maria Luisa

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  1. […] accertati di lieve entità; non sono bastati processi conclusi poi con assoluzioni piene. L’ultima incredibile carcerazione nata da accuse infondate è quella di Dana […]

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