Coltivare e custodire. Per una ecologia senza miti | Recensione di Rosa Mossù

Sandro Lagomarsini[1], Coltivare e custodire[2]. Per una ecologia senza miti, LEF, Firenze 2019, pp. 148, € 12,00

Perché studiare la Storia mentre l’Australia brucia? Cosa ha a che fare la microstoria con la salvezza del Pianeta? Ce lo spiega Sandro Lagomarsini in una serie di articoli pubblicati sul giornale «Avvenire» e ora raccolti in un volume per la LEF (Libreria Editrice Fiorentina).

In questi articoli, frutto di mezzo secolo di ricerche, osservazioni e vicinanza con la gente di montagna, l’autore – da 52 anni parroco di Càssego [un Comune di Varese Ligure, piccolo borgo della Val di Vara, nell’entroterra di La Spezia, NdR] – ci spiattella una serie di verità scomode quando non brutali: al lupo bisogna sparare (sale!), la più parte degli interventi legislativi sono risultati disastrosi; sia a livello locale che internazionale gli amministratori pubblici sono guidati da miti pseudoscientifici; abbiamo distrutto un intero ecosistema culturale (il cosiddetto «patrimonio immateriale dell’umanità») che aveva retto per millenni e che poteva suggerire le soluzioni ai problemi attuali.

Eppure la lettura è piacevole, fluida e leggera: sembra di camminare con don Sandro per gli sterrati dell’entroterra spezino, riconoscere le erbe e le essenze col loro nome scientifico, sentire sulla lingua l’aspro sapore delle prugne selvatiche. Balenano di tanto in tanto suggestioni montaliane. Le osservazioni dell’autore sono fondate su tre solidi elementi: un profondo e autentico amore per il territorio e la gente affidata alle sue cure spirituali, vissuti come un tutt’uno; la straordinaria preparazione scientifica e culturale di don Sandro; il sereno disincanto con cui l’autore registra piccole e grandi corbellerie, le insipienze pubbliche e private costate la sparizione di un mondo.

La tesi centrale è semplice ma niente affatto banale, anzi va decisamente controcorrente rispetto al sentire comune.

Negli ultimi quarant’anni si è imposta una visione idillica dell’ambiente, in totale contrasto con la realtà. Molti nostri concittadini sono convinti che l’ambiente si regola e si conserva da solo, senza nessun intervento dell’uomo (p. 121) La prossima volta che guardate una campagna ed ammirate la sua naturale bellezza, vale la pena ricordare una cosa: è lontana dall’essere naturale. Quello che state guardando è, nel bene e nel male, un paesaggio che è stato profondamente modificato e mantenuto per generazioni da pratiche agricole (p. 141).

Lagomarsini non si limita a descrivere gli effetti che l’abbandono di pascoli e coltivazioni ha prodotto ovunque, suggerisce anche la via per la rinascita:

«Se vogliamo che il mondo sia giardino, dobbiamo curarlo anche come orto»(p. 51).

Egli sfata il mito neo-positivista secondo cui i sistemi economici del passato erano solo fame, miseria e sfruttamento e lo fa grazie a una serie di ricerche storiche che fanno riferimento alla corrente di studi nota come «ecologia storica». Per esempio ci ricorda come

«recenti studi hanno dimostrato che le ‘terre di villaggio non erano misere fonti di sopravvivenza, […] ma elementi di una gestione complessa del territorio in grado di sostenere ed integrare la produzione dei singoli agricoltori (p. 25). E se questa fosse una possibilità da riaprire in tempo di crisi e con tante terre in abbandono?» (p. 27).

Guardare con disincanto il disastro eppure scorgere ancora qualche barlume di speranza, trovare ancora qualche soluzione praticabile e percorrerla: questa è Fede.

Per finire ecco un buffo aneddoto.

«Un piccolo possidente dei miei posti, avvocato devoto, ma avaro di investimenti agrari, chiese al parroco di benedirgli un vigneto che produceva poco. Il prete, persona di spirito e bravo conduttore dei terreni della chiesa, accettò. Accompagnato da un ragazzo di buona memoria, sparse l’acqua lungo i filari recitando a voce alta una formula poco liturgica ma efficace: buona zappa e buon letame, in nomine Christi, amen» (p. 69).

Tradotto ad usum Delphinii: dobbiamo metterci tutti di buzzo buono a studiare e lavorare se vogliamo contribuire a salvare il salvabile per noi e per i nostri nipoti; infatti «solo da una conoscenza approfondita e da una frequentazione amicale nasce la soluzione dei problemi» (p. 18).

[NdR]: Dal sito della casa editrice, «Dopo 50 anni dalla morte di Don Milani, Don Sandro Lagormarsini è il testimone che lo spirito del Priore è ancora vivo e attuale. Una testimonianza di vita che vale più di tante celebrazioni.

Altri libri dell’Autore: Lorenzo Milani Maestro Cristiano, Il Medico Dimenticato, La Bella Umanità, Un Invito a organizzarsi – della collana Ecologist: La Terra e l’Uomo, L’alimentazione come ecologia, Agricoltura è disegnare il cielo III».


[1] Dal sito della casa editrice:

«Don Sandro è un personaggio “scomodo”, e con la sua burbera bontà va in provveditorato per salvare la scuola elementare, nel lontano ‘85 dalle pagine di Famiglia Cristiana che “non è la città che deve spiegarci come si protegge l’ambiente”, fa corsi estivi agli studenti, ora insegna matematica agli immigrati che arrivano in zona, perché la conoscenza rende liberi, promuove l’integrazione attraverso la socializzazione e il dialogo fra i nuovi arrivati e gli abitanti della zona. Si sposta a piedi Don Sandro fra i tre comuni dove è parroco con la sua lunga tonaca. Organizza le presentazioni dei suoi libri e cura una rubrica su Avvenire –  “Ultimo Banco” –  da cui è poi nato il libro omonimo per la LEF con presentazione di Mario Lodi».

[2]Esiste un altro libro, con un titolo quasi uguale, pubblicato da Book Time nel 2015: Mario Capanna, Emanuele Severino, Bartolomeo Sorge, Coltivare e custodire la terra. L’ecologia tra messaggio cristiano e impegno civile, pp. 52.

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