Sapevo di non sapere – Recensione di Dario Cambiano

Nassim Nicholas Taleb, Il cigno nero, Il Saggiatore, 2007

2500 anni fa un ormai semisconosciuto filosofo greco, dialogando tra pari, ammise di essere cosciente della propria ignoranza. So di non sapere, diceva Socrate (Platone, Simposio). Ma noi abbiamo impiegato due millenni e mezzo per diventare una civiltà onnisciente, preparata a ogni evenienza, convinta di saper prevedere, controllare e gestire il proprio destino nel presente e nel futuro. Sappiamo di sapere, insomma, e ce ne vantiamo. Sappiamo fare previsioni su tutto quanto gestiamo, e su quanto capita attorno a noi. Siamo la società del sapere, l’homo sapiens sapiens.

Già.

Poi capita un crollo in borsa di dimensioni epocali (sto parlando di quello attualmente ancora in corso, non della crisi del ’29); e nessuno l’aveva previsto. Un paio di aerei si sfracellano contro le Twin Towers (e nessuno l’aveva previsto). Una festa di giovani si trasforma in un massacro (a Duisburg) e nessuno l’aveva previsto. Ma allora, sappiamo o facciamo finta?

In realtà, come ci spiega Taleb, sappiamo molto molto poco. Quasi nulla.

Gli eventi che ci atterriscono e che non sappiamo prevedere sono come i cigni neri. Eventi che non conoscevamo, che nessuno ha saputo prevedere prima che accadessero. Esattamente come nel ‘700 si pensava che esistessero solo cigni bianchi, finchè non scoprirono un cigno nero.

Insomma, quanto è valida la nostra scienza? Quanto possiamo fare affidamento sulle nostre conoscenze? Sulle nostre strategie euristiche?

Poco, pochissimo, a leggere Taleb.

Perché siamo affetti da fallacia narrativa, cioè tendiamo a narrativizzare il passato, insomma a “raccontarci storie”, ad attribuire valore causale agli eventi (“già , ripensandoci – diciamo – non poteva che andare così”) che in realtà sono slegati tra loro.

Perché siamo affetti da arroganza epistemica, cioè presumiamo di sapere molto di più di quanto in realtà sappiamo, e questo ci porta a distorcere le nostre previsioni.

Perché crediamo di vivere in un mondo dove gli eventi remoti sono ininfluenti in quanto improbabili, mentre la nostra storia, addirittura la storia del nostro pianeta è sempre condizionata da eventi drammatici e rarissimi (dalle glaciazioni alle rivoluzioni sociali, alle scoperte scientifiche inattese)

Perché abbiamo una fede inamovibile nella “curva gaussiana” che appunto ci dice che gli eventi improbabili (estremi) sono trascurabili nella media.

Si potrebbe continuare: e Taleb lo fa, implacabile e – tra l’altro – estremamente divertente: se tutti i saggi scientifici fossero scritti con questa disinvoltura letteraria, credo che le università sarebbero molto più affollate. Ma, come dice Taleb, gli scienziati, oltre a prendersi troppo sul serio, vivono come una nemica la pratica del dubbio. Quel dubbio che, invece, è il sale della nostra vita.

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