Dietro un premio prestigioso… una storia appassionante!

Elena Camino

Un’avventura iniziata nel 2003… e anche prima

Nei giorni scorsi – quando ho ricevuto da Luisa una breve mail – ho faticato a ricordare in che anno aveva svolto il Servizio Civile Internazionale. Poi ho ritrovato i documenti, le lettere, le foto… Era il 2003. 

Il Gruppo ASSEFA Torino e il Centro Studi Sereno Regis erano riusciti a far approvare un progetto di Servizio Civile molto ambizioso, che prevedeva una parte dell’attività in Italia e una parte in India, presso l’Organismo Non Governativo ASSEFA – Association For Sarva Seva Farms – nato nel 1969 da un movimento gandhiano molto attivo soprattutto in TamilNadu.

Luisa, e con lei Prisca, Eva ed Elisa, hanno trascorso alcuni mesi ospiti dell’ASSEFA India: ciascuna aveva concordato con i responsabili un tema da sviluppare e un impegno da portare avanti. Luisa – allora studentessa di Scienze Diplomatiche e Internazionali nell’Università di Torino – era interessata a conoscere la vita e le relazioni sociali di un piccolo villaggio rurale, così la Direttrice delle scuole, Miss Vasantha, le aveva presentato alcune persone a Lakshmipuram, in Tamil Nadu, con le quali potesse avviare un dialogo ed essere gradualmente introdotta nella vita della comunità.

Luisa scriveva periodicamente, per aggiornarci del suo lavoro ma soprattutto per condividere almeno in parte questa straordinaria avventura. Dunque, l’avventura di Luisa Cortesi in India è iniziata ufficialmente nel 2003: ma già allora era presente in lei uno sguardo attento, una rara capacità di ascolto, una competenza linguistica particolare … insomma – una ragazza speciale aveva fatto capolino nelle nostre vite.

IL PERIODO DEL SERVIZIO CIVILE

Durante il periodo dedicato al Servizio Civile Luisa ha scritto lettere, appunti, bozze di relazioni… il suo modo di scrivere era insieme personale ed emotivo, ma anche ricco di informazioni tecniche, di riflessioni etiche e sociali, di osservazioni antropologiche. Ho selezionato alcuni brani, con il solo criterio cronologico.

22 dicembre 2003 

Viviamo in una casa magnifica, immersa nel verde..tra alberi di cocco e tamarindi, banani e misteriose piante medicinali.., caprette coscienziose, galli sbarazzini e mucche indolenti, enormi farfalle variopinte e vibranti, innumerevoli insetti uno diverso dall’altro.. in totale liberta’ e condivisione.

Nella nostra cucina abitano moltissime (significa una trentina sotto ogni lampada, almeno) creaturine multiformi e multisonore.. . uno scoiattolo in uno scatolone, due gechi timidi ma che ci dilettano con performance di caccia davvero superbe… il terrazzo della casa e’ nientemeno che triplo..e un po’ piu’ su un numero di stelle da tener la bocca aperta.. ma attenzione, ne cadono un sacco!

Guardarle nelle mie notti di poco sonno mi fa godere ancor di piu’ la pace di questo posto..

Ma la cosa piu’ dolce e stupefacente sono le miriadi (piu’ di mille, in effetti) di bimbi…di ogni eta’,dai 3 ai 18..occhi neri brillanti, musini sorridenti che gridano BYE..( ormai anche ciao ciao).. mi insegnano a decifrare gli strani ghirigori del tamil (leggo!!anche se lentamente) ,giochiamo a bandierina, parliamo tra gesti e sorrisi e poche parole in inglese di mille piccole cose..

13 aprile 2004 Visita a Karyampatti.

Accolta da Sathurbabu, project director dell’area, che per tutto il giorno mi ha mostrato e spiegato i programmi in atto. E’ stata una giornata particolarmente piacevole e proficua conoscere quest’uomo pieno di progettualità e soprattutto condividere con lui le mie umili opinioni sullo sviluppo e sul mercato. Ha il piglio di un manager e l’umanità di un membro dell’assefa: rispondeva con proprietà e prontezza alle mie domande e obiezioni e ne sollecitava di nuove, discutendo con interesse non comune.

Ho apprezzato il particolare fervore economico del progetto di Karyampatti: ogni cluster cerca di essere economicamente autosufficiente e chiede soldi all’assefa solo per investimenti consistenti e nuove attività.

A questo proposito alcuni programmi, come un ristorante e una nursery di piante, generano reddito per coprire i costi di gestione e i miglioramenti strutturali non troppo impegnativi.

Le donne dei SHG1oltre alle altre attività, risparmiano per un’assicurazione sulla vita, finalizzata a evitare l’indebitamento per morte di un familiare, innovativa e attenta ai bisogni delle famiglie.

Ho visitato la scuola, che cresce anno dopo anno per classi, numero di alunni, edifici, risultati e ne ho conosciuto la direttrice, una signora con uno sguardo che sa di pace. 

Mi hanno mostrato un corso di sartoria con prestiti assefa, un khadishop, e un training centre che testimonia le sinergie con le iniziative dello Stato in materia di formazione rurale.

9 luglio 2004 Torno al villaggio

Sono di nuovo in India, da poco più di una settimana. Mi sembra già un mese! Che emozione. Che emozione diversa. Ricordo che l’altra volta dovevo guardare tutto e a sera mi sentivo gli occhi stanchi e la testa piena e pesante. Questa volta mi sembra un viaggio di pancia. Si, cerco i particolari, per riprendermi le cose, per riappropriarmene, per ritrovare intimità. Mi accorgo del filo che mi lega a qui, e di come sento fisicamente ciò che vedo. Mi ha fatto più male che mai la gente dormendo sulla strada, al filo delle ruote, la fragilità di quegli esseri umani in un momento così interno e delicato come la notte. Il sentire con sensi senza nome è tremendamente potente, mi possiede. Sono tornata nel campus dove viviamo, nella mia scuola, poi nel mio villaggio. Ripercorro la strada nei campi, il mio rito di pace e riflessione, mentre incontro la forza del sole e il silenzio dell’addentrarmi, come fosse una metafora di dove voglio andare.. e un gioco di colori di farfalle mi risponde. Non so dire il tuffo al cuore nel rivedere la mia scuola, risentire “vanakkam akka” di voce di cristalli, nel ritrovarci con sguardi colmi, le mani unite nell’inchino di saluto con i maestri e i cuori che si toccano in segreto. E gli occhi si stringono. Beviamo il tè. I bambini si riappropriano di me lentamente, prima prevale il senso del rispetto, poi un po’ alla volta tornano i nostri giochi, i rituali con le mani per riconoscerci. E adesso i bimbi mi toccano, siamo di nuovo uno dell’altro. 

La conclusione del Servizio Civile

A ottobre 2004 Luisa manda la bozza della relazione finale del suo servizio civile: VIVERE NEL VILLAGGIO: RICERCA ANTROPOLOGICA SUGLI ASPETTI SOCIALI ED ECONOMICI DI UN VILLAGGIO TAMIL. E’ preceduta da una Piccola Introduzione.

Un filo di farina di riso scivola dalle dita precise di una giovane donna china davanti alla porta di casa. Unisce dei punti simmetrici disegnando un mandala bianco. Potranno cibarsene gli animaletti più piccoli, e sarà un segno di benvenuto per tutti in questa giornata appena cominciata. Alza lo sguardo e il suo sorriso mi accoglie.

Vorrei invitarvi nel villaggio indiano dove sono stata ospite per questi mesi, collegando le storie dei suoi abitanti, e raccontandovi come vi si vive. Vi narrerò la mia esperienza, quello che ho cercato e quello che ho vissuto, anche se non sempre ne sono stata all’altezza. E’ un invito alla condivisione e insieme un ringraziamento per tutto ciò che mi è stato donato. 

La sua relazione – approfondita e arricchita di dati e riflessioni – diventa poi il nucleo di partenza della sua tesi di laurea, che poi vincerà un premio della Provincia Autonoma e Università di Bolzano. Nel frattempo, insieme alle compagne che con lei hanno svolto il servizio civile, Luisa scrive un breve libro, in cui ciascuna racconta qualcosa di sé, della sua esperienza personale, del lavoro che ha svolto. I testi e le fotografie vengono inseriti in una cornice grafica artisticamente attraente, e assai curata, da due giovani amiche, Elisa e Alice. Il libro – I sei sensi dell’India – viene stampato a cura dell’Ufficio Nazionale per il Servizio Civile. Le quattro volontarie organizzano anche una mostra fotografica, che viene esposta in varie sedi di Torino e Roma e riscuote notevole successo.

STUDI, VIAGGI, RICERCHE DI ACQUA…

Dopo il Servizio Civile perdo un po’ di vista Luisa… tesi, lavoro, studi all’estero impegni professionali con altre ONG… prime ricerche in Bihar, nel Nord dell’India, inizio del dottorato; saltuariamente la intercetto, scoprendo ogni volta qualche novità: studi, bimbi, USA, ricerche, poi ancora India…

Per recuperare un po’ di notizie della sua storia professionale mi affido al suo sito web, in cui racconta: dal 2001 ho lavorato soprattutto in India, dove ho svolto lavoro sul campo in vari Stati (Bihar, Tamil Nadu, Jharkhand, Rajasthan, New Delhi, Orissa); ho coordinato delle ONG nel Nord Bihar su progetti relativi all’acqua e ho operato come ‘water-expert’ per le Nazioni Unite (UNDP, WFP, UNEP, sviluppo multilaterale). Lavoravo con antropologa e coordinatrice di NGO nel Nord Bihar quando è stato colpito dalle due peggiori alluvioni che si ricordino (2007-2008), poi sono tornata a vivere lì per svolgere il mio lavoro etnografico sul campo nel 2012-2015.

Attingendo di nuovo al mio piccolo archivio di lettere e mail, oltre a bellissimi racconti di persone, situazioni, avventure, ritrovo qualche accenno a un momento di paura: rischi e forti emozioni durante una delle disastrose alluvioni.

In Bettiah2. (data assente)

Notizie fresche. Partiamo. Faccio i bagagli. 

La strada è inondata. Allora non partiamo. 

Dove siamo passati ieri, è successo qualcosa. La gente è arrabbiata, vuole di più. Hanno assaltato macchine, bruciato pneumatici. Non si sa se ci sono vittime. 

Adesso sembra che la strada sia libera. Sistema tutto. Possiamopartireimmediatamente. 

[…]

Per decine e decine di kilometri, ai lati della strada è solo mare, popolato da alberi e tetti sommersi. 

Con le onde, il vento, i mulinelli. Ma anche tetti di case e altri oggetti fluttuanti.

Desolazione. Bambini che spostano con un ramo il corpo di un annegato.

La gente vive ai lati della ferrovia e delle strade ancora a galla. Riconosco delle persone. Due settimane fa erano qui. Altri li incontrati prima, riconosco un volto nelle mie fotografie. 

Come vive questa gente. Sotto un telo di plastica. Nel vento, nel sole, nella pioggia, in uno spazio minimo tra le automobili, senza sapere quando l’acqua si ritira, senza poter stare in piedi all’asciutto, senza poter cucinare un pasto normale, dormendo sulla strada. Un letto sulla ferrovia viene spostato sul binario in cui non passa questo treno. 

Quello che fa più male sono gli sforzi di normalità. Un chapati cucinato al volo—no, no, mangialo tu. Ti livellano all’umanità del corpo che hai davanti. Ti mettono al suo posto.

[…]

Mentre vi scrivo, ora, in macchina, mi telefona il mio collega indiano. Sta leggendo il piano strategico che ho preparato. Gli dico che ho visto sul giornale la foto di un posto che conosciamo invaso di gente che urla per avere cibo. Ha appena parlato con il coordinatore di quel distretto. Gli chiedo se è ancora nervoso, ieri sera quando l’ho chiamato io era una corda di violino. Mi dice di sì. Mi dice che racconta che la gente ha fame, che due donne della mia squadra sono state inseguite. Non oso chiedere chi sono. Ma lo so. Rimango di pietra. Devo andare lì. No, mi dice, che hanno detto che è meglio che neppure io non vada lì per un po’. E’ troppo pericoloso. Se sono arrivati a dire troppo a entrambi significa che fa davvero paura. Che rabbia essere bianca. Con la pelle che parla di lusso di soldi di comodo di aiuti di morbido. 

Una ricerca trans-disciplinare

Gli studi e le ricerche svolte da Luisa sono fortemente caratterizzate dalla molteplicità di sguardi, dall’approccio partecipativo (la capacità di ascolto!) e dall’esperienza diretta, sul campo. 

Adesso la sua formazione comprende le scienze sociali e le scienze naturali, che integra utilizzando anche gli strumenti concettuali della socio-linguistica e dell’epistemologia. Con le sue ricerche si propone di contribuire al dialogo interdisciplinare su problematiche che riguardano eventi disastrosi legati all’acqua (alluvioni, problemi di tossicità dell’acqua da bere) in una prospettiva di conoscenza ecologica e giustizia ambientale. 

Attualmente, dice il suo sito, è impegnata a indagare la relazione tra cambiamenti ambientali disastrosi, meccanismi di adattamento, e tecnologie per la gestione delle acque nelle aree del Nord Bihar soggette ad alluvioni.

UN PREMIO SPECIALE

Luisa ha conseguito nel 2018 un dottorato congiunto in studi ambientali e antropologia nella prestigiosa Università di Yale, USA. Durante tre anni di lavoro sul campo nel Nord Bihar, in India – un’area di 99.200 Km2con più di 100 milioni di abitanti – ha vissuto all’interno e appena fuori dagli argini fluviali, un’enorme regione che era stata per lo più ignorata dagli antropologi perché, fin dai tempi coloniali, è considerata troppo pericolosa. 

La sua tesi – Vivere in acque inquiete: Conoscenze e tecnologie nel Nord Bihar – è una indagine etnografica che esplora come le popolazioni che abitano nel Nord Bihar conoscono il loro ambiente in una regione dove le acque sono ‘disastrose, sostengono la vita tanto quanto uccidono’. Perché continuano a vivere lì, le chiede un alto burocrate indiano. Non dovremmo allora andarcene tutti, risponde lei, e dove? Perché non ci chiediamo chi gli rende impossibile vivere a casa loro? ma la vera domanda per me, dice Luisa, è come: come fanno a vivere qui? Come imparano di una natura che è sempre più difficile da vivere? E cosa possiamo imparare noi, che ora cominciamo a fare esperienza delle stesse acque disastrose con cui gli abitanti del Bihar hanno imparato a vivere negli ultimi 30 anni, e con cui fanno ancora fatica? 

Per questa tesi Luisa ha appena ricevuto un premio prestigioso attribuito dall’Università di Yale, il Theron Rockwell Field Prize(istituito nel 1957 Emilia R. Field in memoria del marito). Una commissione di giudici, formata da membri dell’accademia, è incaricata ogni anno di esaminare ed esprimere una valutazione su una selezione di tutte le tesi conseguite a Yale nell’anno in corso. Di solito riconosce lavori accademici di valore poetico, letterario o religioso: è raro che riconosca un lavoro di ecologia e antropologia. 

I giudici che hanno considerato la tesi di Luisa meritevole del riconoscimento descrivono il suo lavoro come una “esplorazione meravigliosamente descritta della molteplicità di sfaccettature che costituiscono il senso dell’ecologia” (“a beautifully written exploration of the multi-faceted meaning of ecology”). I giudici sono stati molto positivamente colpiti dalla qualità letteraria della tesi: la bellezza e la precisione del suo linguaggio, e le sue doti narrative costituiscono elementi che sono parte integrante del suo contributo scientifico.

In attesa che la tesi diventi un libro (su cui Luisa adesso sta lavorando dall’Università di Cornell, USA) un capitolo della tesi é diventato un articolo (in inglese).

Per gentile concessione di Luisa Cortesi

Ma Luisa, mi confessa, e’ orgogliosa di un altro premio che ha ricevuto qualche anno fa (e di premi, scopro, ne ha ricevuti parecchi), il Praxis Award,attribuito dagli antropologi professionali americani (dalla WAPA, Washington Association of Professional Anthropologists della Società per l’Antropologia Applicata, SFAA, Society for Applied Anthropology) per aver tradotto con successo la conoscenza antropologica in azione (“outstanding achievement in translating anthropological knowledge into action”).

Quello è lo spirito dell’ASSEFA, mi dice Luisa, la conoscenza empatica e scientifica di come vivono le persone come base della cooperazione. Ed è quello di cui il settore dello sviluppo ha più bisogno: la consapevolezza che i processi di conoscenza avvengono attraverso tutto il nostro corpo, il nostro essere. E che la conoscenza scientifica può e deve essere empatica, e come tale può, e deve, ispirare progetti di sviluppo. Quest’estate Luisa tornerà in India per fare una yatra, un cammino, per incontrare le tante persone che l’hanno accolta in Bihar e raccontare loro i risultati della sua ricerca. Spera anche in una tappa al sud, a Lakshmipuram, nel villaggio ASSEFA che, dice Luisa, “mi ha allevata come antropologa”. 


Note

1gruppi di auto-aiuto 

2Una città del Bihar

3 commenti
  1. Centro Gandhi onlus
    Centro Gandhi onlus dice:

    Siamo davvero impressionati da questa convergenza tra impegno personale volontario, cooperazione internazionale di ASSEFA e Centro Sereno Regis, sostegno delle più elevate autorità accademiche degli USA in indagini su tematiche ambientali urgenti.

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  2. elsa Bianco
    elsa Bianco dice:

    grazie per la notizia e per fatto memoria di una esperienza come questa! Bravissima Luisa! Sono contenta e commossa. Mandare un "rimando/restituzione" come avete fatto aiuta a ricondurci al senso delle cose, all'importanza di fare rete, a mantenere i nostri impegni associativi, a capire che cosa succede "dopo" ai ragazzi e alle ragazze che si sono formati e hanno partecipato alle varie iniziative.

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  3. Elana Ochse
    Elana Ochse dice:

    Ho conosciuto Luisa quando preparava la prima tesi di laurea. Da allora ci sentiamo quando capita, ma è sempre un piacere capire quanto questa ragazza/donna sia cresciuta. Senz'altro possiamo ancora aspettarci molto da lei.

    Rispondi

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